
Solchi Sperimentali – Controcultura. Intervista al musicista Paolo Tarsi, protagonista dell’attuale scena elettronica, jazz e rock

Paolo Tarsi
Paolo Tarsi è un pianista, organista e compositore con alle spalle una collaborazione con Paolo Tofani nel progetto Area Open Project e con altri musicisti dell’attuale scena elettronica, jazz e rock. Le sue opere hanno avuto spazio nei musei dell’arte contemporanea, con performance in primis al MAXXI di Roma, ma non sono mancati riconoscimenti anche in luoghi di culto della musica contemporanea come lo Spectrum di New York.
Qui su PsyCanProg parliamo con lui di tutto questo e soprattutto delle due opere che ha pubblicato nel 2015: “Dream In A Landscape” (Trovarobato Parade) e “Furniture Music for New Primitives” (Cramps/Rara Records).
Antonio Silvestri: È davvero un piacere poter fare due chiacchiere con un musicista italiano contemporaneo di respiro internazionale, come te. Ti ho conosciuto, colpevolmente, solo con gli album del 2015, ma ho letto che in realtà hai avuto molte esperienze prima di queste pubblicazioni. Sicuramente spicca per un appassionato di musica Prog quella con Paolo Tofani, leggendario chitarrista degli Area. Che cosa ti ha lasciato quella prima collaborazione con Tofani?
Paolo Tarsi: Da “Indicazioni” (1977) ad oggi, senza dimenticare gli anni precedenti con gli Area, Tofani ha sempre accompagnato la sua avventura musicale con la ricerca di nuove soluzioni sonore, grazie anche alla capacità di andare oltre i limiti del suo strumento e a una straordinaria abilità improvvisativa. Quella con Paolo è stata un’immersione totale nella dimensione del suono.

Paolo Tarsi con Paolo Tofani
Antonio Silvestri: Parliamo di “Dream In A Landscape”, un album che mi ha colpito per la sua aura mistica, spirituale. Come molti album strumentali, sembra che molto spazio sia lasciato all’ascoltatore per lavorare d’immaginazione e viaggiare con la propria fantasia. Quali immagini e suggestioni ti hanno ispirato?
Paolo Tarsi: L’album ruota attorno a due brani di John Cage remixati insieme ai Fauve! Gegen A Rhino e rivisitati con elementi tanto concettuali quanto noise, techno, o ambient. Il titolo prende spunto proprio dai due lavori su cui ruota tutto il concept del disco: Dream e In A Landscape, entrambi del 1948, a cui seguono due tracce nascoste. La prima è una versione di 4’33’’ che combina tra loro suoni ottenuti da rumori di fondo, canali aperti a vuoto di mixer, white noise e resonators che generano armonici partendo dai rumori stessi. È così che ho sconvolto Red Ronnie. Vedendomi sulla sua Roxy Bar Tv un amico mi disse: “Sembrava di rivedere – neanche a farlo apposta – John Cage e Mike Bongiorno!”. L’altra ghost track è un remix di Erratum Musical, partitura vocale di Marcel Duchamp del 1913 pubblicata in seguito nella raccolta di appunti La Boite Verte.
Antonio Silvestri: “Furniture Music for New Primitives”, ispirato a “Le città della notte rossa” di William S. Burroughs, mi è sembrata un’opera più densa di spunti e riflessioni, laddove “Dream In A Landscape” era essenziale nei suoi pochi elementi. Si rimane nel solco del minimalismo, ma ho avvertito una tavolozza di colori più ampia e complessa. Anche qua però, l’apertura è tutta di Dreamtime, un brano lento, solenne e malinconico che riporta ancora una volta agli stati onirici. Che legame esiste con “Dream In A Landscape”? Sono nati da un’ispirazione simile?
Paolo Tarsi: Come hai giustamente intuito, ho voluto dare ai due album una continuità sottolineata proprio da Dreamtime, il brano-omaggio a Cage con cui si apre “Furniture Music for New Primitives”. A differenza del precedente, però, “Furniture Music…” è senza dubbio più articolato nei suoi innumerevoli riferimenti che in questo caso restano sottotraccia, quasi come dei codici da decifrare. In The Total Animal Soup Of Time, ad esempio, è un cut-up musicale ispirato al poema Howl di Allen Ginsberg in cui sono riassemblati, punctus contra punctum, brevi frammenti tratti da I.G.Y. (What a Beautiful World) di Donald Fagen (Steely Dan) e dal tema delle Variazioni Enigma di Edward Elgar, accanto a una lunga serie di Trompe l’oreille che neanche l’ascolto più attento da solo può svelare.
Antonio Silvestri: Non ti nascondo che “Furniture Music for New Primitives” mi ha attratto da subito. Ad ogni ascolto mi accorgo di alcuni dettagli, di sfumature e di variazioni che non avevo individuato. Ho letto che molti hanno collaborato ad arricchire l’opera: come sono nate queste collaborazioni e quanto hanno influito sulla costruzione dell’album?
Paolo Tarsi: Le musiche che scrivo nascono per degli interpreti specifici, al punto che ritengo la scelta stessa dei musicisti con cui lavorare un elemento fondamentale del comporre. Sono il regista della mia musica e in quanto tale, come è facile intuire, le collaborazioni sono un fattore molto importante e nascono tutte da un desiderio comune di condividere ed esplorare insieme nuovi orizzonti. Un ringraziamento speciale, poi, va agli autori dell’artwork Luca Domeneghetti e Roberto Masotti, quest’ultimo già al lavoro con etichette prestigiose quali Cramps Records, ECM o artisti come Franco Battiato (Sulle corde di Aries, Clic, Patriots, etc.)
Antonio Silvestri: Nel titolo di “Furniture Music for New Primitives” fai riferimento a Satie e alla sua definizione di musica d’arredamento che ha preceduto l’ambient di Brian Eno. Cosa pensi dell’elettronica più atmosferica e della musica ambientale degli ultimi anni? Quali sono gli artisti che segui con più interesse?
Paolo Tarsi: Penso che se si utilizza l’elettronica senza conoscere a fondo la musica, anche in maniera più tradizionale se vuoi, il rischio è quello di farsi trascinare dalle macchine, quando ben saldo al timone dovrebbe esserci sempre il musicista con scelte consapevoli e mirate. Premesso questo, nutro un sincero interesse verso chi sa plasmare l’elettronica per forgiare nuove frontiere sonore, dai Kraftwerk a Tim Hecker, passando per l’hip hop dei Kill the Vultures o le bellissime sonorità di Pantha du Prince.
Antonio Silvestri: Che rapporto hai con la musica pop e rock? Una passione che hai sempre coltivato oppure un impegno minoritario rispetto a studi più incentrati su classica e elettronica? Nelle tue opere sembri provenire da un mondo dove il rock sembra avere nessuno o pochissimo spazio.
Paolo Tarsi: Sono cresciuto ascoltando e suonando principalmente progressive rock e musica classica, col tempo però ho perso interesse verso alcuni aspetti contenuti in entrambi, soprattutto quando riconducibili a un eccessivo manierismo. Amo da sempre i francesi Satie, Debussy, Ravel, Messiean e guardo con rinnovato interesse il Krautrock e la Kosmische Musik, così come le principali avanguardie del secolo scorso. Ma ho sempre provato una forte attrazione anche per la forma canzone in tutte le sue accezioni: Burt Bacharach, David Sylvian, Moondog, i Genesis di Turn It On Again, Home by the Sea, Domino (che non hanno nulla da invidiare al loro periodo precedente) così come Damon Albarn, sono artisti che reputo straordinari autori di canzoni. Potrei continuare con un elenco infinito, semplicemente sto citando i primi nomi che mi vengono in mente. Con “Furniture Music for New Primitives” ho sentito l’esigenza di concentrare tutta una serie di esperienze che sono state fondamentali nei miei primi trent’anni di vita sul piano strumentale. Il risultato è un album coerente ma al tempo stesso caleidoscopico, un disco di musica da camera con strumenti tipici del rock e del jazz (hammond, chitarre elettriche, fiati) a cui si aggiunge un pizzico di elettronica. Il rock è ben presente, in forme diverse, in almeno due brani: “Electric Sakuhin” e “Cluster #2”. Ad ogni modo è appena uscita una canzone che ho scritto per Miro Sassolini (Diaframma) con Gianni Maroccolo (Litfiba, CCCP, CSI) dal titolo L’attesa del canto in cui partecipo anche in veste di musicista. Un titolo che grazie a una piacevole coincidenza assume per me un significato emblematico, nell’attesa di capire appunto se avrò ancora qualcosa da dire anche attraverso uno strumento per me nuovo ma così affascinante come la voce.
Antonio Silvestri: Come si porta nella dimensione live la tua musica? Soprattutto “Furniture Music for New Primitives”, dove sei affiancato da molti altri musicisti?
Paolo Tarsi: “Furniture Music..” ha intrisa nel suo DNA una dimensione decisamente aperta: l’ho presentato in chiave elettronica con live remix insieme ai Fauve! Gegen A Rhino, con piccole formazioni e in solo. Tra giugno e luglio lo porterò nuovamente dal vivo in luoghi particolarmente suggestivi, in una veste di volta in volta sempre più rock grazie anche alla partecipazione di altri musicisti. L’invito, per essere sempre aggiornati, è di rimanere sintonizzati sulla mia pagina facebook ufficiale ‘Alis non tarsis’ e, naturalmente, di venirci ad ascoltare dal vivo. Vorrei ricordare, infine, che l’album è disponibile in una tiratura limitata e come tale si tratta di un’edizione unica che non verrà mai più messa in commercio. Un’eventuale ristampa sarà in ogni caso qualcosa di differente, per lasciare un’esclusiva a chi ha creduto fin da subito in questo lavoro.