
Solchi Sperimentali Controcultura. Cosa significa “musica sperimentale” oggi?
Intervista ad Antonello Cresti e Mirco Salvadori, a cura di Roberto Franco

Solchi Sperimentali Italia
L’incredibile (da qualunque punto di vista la si osservi) parabola di Antonello Cresti, riguardo i temi trattati nella seguente intervista, comincia nel 2014 con la pubblicazione di Solchi Sperimentali (Crac Edizioni), opera a metà tra un manuale e un percorso didattico di stimolo che, umilmente e senza nessuna pretesa di completezza, esaminava le esperienze che nella Storia del rock si sono poste a metà strada tra pop e avanguardia colta, sulle orme di Terry Riley in primo luogo. Visto il successo del volume, Cresti ha replicato l’anno successivo con Solchi Sperimentali Italia – 50 anni di italiche musiche altre (Crac Edizioni), in cui mezzo secolo di sperimentazione italiana non accademica, dal prog storico più vicino all’avanguardia, all’industrial, al neofolk, alla neopsichedelia, al post-rock veniva sviscerato, sempre senza impossibili pretese di completezza. La grandiosa operazione (da me a suo tempo tempo dettagliatamente recensita sul blog Critica Impura) ha suscitato numerosi consensi, quanto alcuni posizioni critiche, per ciò che so io in gran parte legittime e fondate, anche se non per questo per forza condivisibili. Simili posizioni critiche si sono accentuate quando al libro hanno fatto seguito una serie di serate di presentazione in giro per l’Italia che comprendevano l’esibizione di alcuni degli artisti trattati e la produzione di un DVD, nato attraverso una operazione di crowdfunding, presto disponibile, contenente un vero e proprio film che racconta addirittura la Scena sperimentale italiana con trama, attori ecc…Il giornalista Mirco Salvadori di Rockerilla, che ha seguito lucidamente il progetto sin dall’inizio alternando valutazioni positive e negative, si è detto disposto a rispondere a delle domande parallelamente a Cresti per un’intervista-confronto per PsyCanProg. Domande che io ho elaborato tenendo conto delle obiezioni di Mirco ma anche di altre di cui ero a conoscenza, per favorire uno scontro-incontro di idee tra i due giornalisti che credo abbia molti punti di interesse, non solo per il lettore specializzato.
Roberto Franco: La prima questione riguarda il significato dell’intera operazione seguita alla pubblicazione di Solchi Sperimentali Italia. Ha senso mescolare per eventi, film e quant’altro esperienze così differenti l’una dall’altra, così distanti nel tempo e nello spazio di esplorazione ed elaborazione?
Antonello Cresti: Il mondo underground, soprattutto in Italia, vive di settarismi, scomuniche, pose estetizzanti fuori tempo massimo… La critica musicale, ossessionata da definizioni, schematismi, fa la sua parte. Se devo riconoscermi un merito è quello di non aver mai voluto vivacchiare sulle mie singole passioni, ma di aver sempre cercato di allargare l’obiettivo. In un momento in cui non solo scompare la controcultura, ma anche la stessa cultura, occorre prendere dimestichezza con il concetto che le zone grigie non esistono più. Cantava Claudio Rocchi: O sei parte del problema, o sei parte della soluzione / Non c’è modo di mettersi in un’altra posizione, e dunque oggi, come musicisti o come ascoltatori, o ci si forma nella complessità del pluriverso di tutte le espressioni non massificate, oppure si cede unicamente al proprio ego, facendo il gioco del Mercato. Guardare oltre i confini della propria comfort zone, anche in ambito musicale, è operazione che arricchisce e, per esperienza, posso anche dire che raramente non esiste contagio alcuno tra musicisti provenienti da aree diverse. E’ questo il senso del lavoro che svolgo, e per ora, penso soprattutto alle situazioni live, questo travasamento sta dando i suoi frutti. Ma il punto essenziale di tutta l’operazione, della sua eterodossia, della sua volontà di cercare spazi e forme nuove, sta nel mio radicale rifiuto di due congenite caratteristiche del mondo underground: autoreferenzialità e mancanza di autoironia. Sono un ottimista e sono ben lieto di notare che ci sono decine e decine di musicisti ben lieti di smarcarsi da simili atteggiamenti incapacitanti, ma fatalmente so bene che ciò che faccio può provocare anche sospetto se non aperta ostilità. Quando ciò avviene significa solo che posso chiarirmi le idee su chi voglio come compagno di strada e chi no. Dunque è un bene. Inclusività non significa infatti imbarcare anche energie negative…
Mirco Salvadori: Rispondo malvagiamente con un’altra domanda: esiste ancora vera sperimentazione in Italia? Esiste o siamo tutti immersi in un mare magnum nel quale si agitano alte onde di accozzaglia sonora, prettamente rumorista ma non nel senso alto del termine. Onde da cui emergono solo pochi e veri artisti. In un’epoca nella quale il termine underground ha perso completamente il suo significato, quando il minimo cenno di innovazione viene subito captato e catapultato in rete, sbranato da milioni di clic che lo divorano e restituiscono privo di senso, svuotato di significato, che senso può avere produrre sperimentazione senza un vero background e canali di protezione che ti permettano realmente di proporlo senza snaturarlo o, diversamente, proprio di ignorarlo? Venendo alla tua domanda; il confronto ovviamente ha sempre fatto più che bene ma bisogna essere severi – e torno a quanto detto sopra – bisogna selezionare perché sono pochi coloro che realmente creano arte sonora. Esiste poi il problema legato all’esaurimento di risorse e idee, un processo ovviamente naturale, fisico, a cui ben pochi si sottraggono. Insistere nell’iterare e proporre tali fenomeni aggregandoli ad altri di diversa natura e vigore, trovo sia cosa deleteria che va ad incidere profondamente in un progetto di ideale mappatura del territorio sonoro italiano altro.
Roberto Franco: Non si rischia, con questa stessa operazione, di giungere a costruire un immenso calderone indistinguibile da cui emergerà una sorta di scena alternativa fissata, sclerotica, inutilmente nostalgica come quella che già tristemente conosciamo?
Antonello Cresti: Perdonami, ma anche sulla base di quanto detto prima non capisco il senso di questa obiezione. Se si impronta tutto il proprio lavoro a facilitare il contatto tra diversi, ad aprire lo spettro dei propri ascolti, ad invitare ad un atteggiamento più propositivo nei confronti della propria musica, in che modo tutto ciò dovrebbe avere un effetto sclerotizzante? Io invece voglio lo spaesamento, voglio che non ci siano punti di riferimento troppo statici e riconoscibili, poiché sperimentare vuol dire soprattutto essere curiosi, giocare, mettersi profondamente in discussione… Il nostalgismo poi lo aborro poiché è l’altra faccia della medaglia dell’imbecille retorica del futuro propugnata dai nostri politici odierni. Io ritengo semmai che solo attraverso un fertile contatto con le proprie radici (che vanno riconosciute, innanzitutto) si possa poi davvero evolvere. Sono animato da una visione che vede l’eterna trasformazione delle cose, non la loro sostituzione…
Mirco Salvadori: Sono stato tra i primi a plaudire all’opera di ricerca di Antonello, trovo sia una sorta di grande enciclopedia consultabile che effettivamente mancava. Ciò che mi lascia dubbioso è la reale efficacia e il significato di rivincita che si vuol dare ad un’operazione come questa. Quasi si cercasse di creare una Terza Internazionale pronta al balzo per riappropriarsi di un’attenzione mai ricevuta. Una realtà altra formata però da troppi elementi lontani nel tempo, dislocati in epoche e situazioni le più disparate, senza un reale coordinamento che permetta loro di presentarsi sulla scena non solo italiana come nuovo interlocutore moderno, contemporaneo, in completa empatia rispetto ai nostri tempi. Penso si stia creando un ennesimo recinto nel quale rinchiudere espressioni sonore diverse facendole sentire magari più a proprio agio, riconosciute in quanto partecipi e presenti dentro quei solchi sperimentali che, come sopra detto, di sperimentale forse esprimono poco. Esiste poi quella che io definirei Questione italiana ovvero: perché mai devo racchiudere dentro i confini di un paese un’ideologia, un pensiero sonoro ed artistico universale? Se desidero che un sound artist venga apprezzato per il suo lavoro, cercherò di divulgare il suo suono senza etichette di nazionalità ma per ciò che produce, e cercherò di farlo in Italia ma anche e soprattutto all’estero dove, permettetemi, c’è assai più apertura mentale e voglia di ascolto. Ahimè questo è un dato di fatto che nessun movimento rivoluzionario-musicale potrà mai sovvertire. E’ altresì vero che in Italia disponiamo di un parco artisti di gran livello, alcuni dei quali già pubblicano e propongono spesso i loro suoni oltre confine e assai difficilmente nella loro terra. Concludendo, sarebbe auspicabile più umiltà e giocosità caratteriale da parte dei molti sperimentatori o simil-tali che agiscono nel nostro territorio e un più ampio confronto, ad altri e alti livelli, selezionando severamente i suoni ed evitando concentrazioni di inutile frastuono.
Antonello Cresti: Sono in grandissima parte in consonanza coi rilievi ed i dubbi di Mirco. Anzi, anche se sembrerà un paradosso, non sono affatto affezionato al termine sperimentazione, un termine che crea divisione ed anche – per ragioni lunghe da spiegare qui – antistorico. Se posso permettermi però, vedo una sorta di incoerenza di approccio tra le due analisi sin qui fornite da Mirco. Proprio poiché sono anche io quantomai critico su certi tic del cosiddetto underground, credo si debbano trovare metodi ed azioni radicalmente diverse per far cadere questa sorta di auto accerchiamento. Esempio: senza fare nomi, mi è capitato spesso di sentire commenti di artisti che ritengono esclusivamente la propria aerea di riferimento come sperimentale (e dunque pura). E’evidente che occorre uscire da queste pastoie, che oltre che incapacitanti sono anche ridicole. Io ritengo che ciò possa avvenire solo con l’apertura dei confini stilistici, con l’eterodossia, con l’unione degli opposti. Dunque un’operazione di auto consolatoria nicchia è l’ultima cosa che intendo fare. Per il resto, non sono animato da spirito di riscossa, ma dal prendermi ciò che è mio: le mie posizioni nei riguardi dell’esistente oramai sono sclerotizzate, quindi è inevitabile che questa forma mentis si riversi in ciò che faccio. Ovviamente non lo ritengo un male in un’epoca di generale supinità. Infine, pur essendo l’arte una forma globale e trascendente io ritengo che sia necessario compiere delle analisi territoriali. Certamente non per protezionismo o spirito patriottardo, ma perché ritengo che in epoca di globalizzazione, massificazione e pensiero unico sia necessario anche valorizzare le differenze e sensibilità espressive che ogni genius loci produce. E poi metterle a disposizione del pubblico, ovviamente anche quello estero. Rivolgersi al mercato straniero? Riterrei errato farlo in via esclusiva, ma ovviamente lo vedo una cosa buona e giusta. E, personalmente, dichiaro la mia disponibilità.
Roberto Franco: Il prog italiano è stato, nel bene o nel male, la prima grande onda cavalcando la quale innumerevoli musicisti italiani hanno potuto esprimere una vena di ricerca, quando non di sperimentazione. Riconoscendo ad Antonello il merito di aver selezionato nella sua opera e nei suoi eventi i musicisti prog più vicini all’area della sperimentazione pura, chiedo se quella stagione, ormai lontana nel tempo, abbia ancora una qualche attualità; oppure non possa finire per offuscare nuovi e /o nascenti, per quanto poco visibili, panorami di ricerca.
Antonello Cresti: Come tutte le cose del passato, anche il prog rischia di diventare un santino. Questo è un atteggiamento sbagliato, poiché mi sembra una vera e propria resa creativa. D’altra parte i progetti artistici di puro revival non li comprendo poiché se devo scegliere inevitabilmente propendo per gli originali. Detto questo poiché si possa andare avanti, senza essere bloccati da complessi di inferiorità (o superiorità) occorre anche abbandonare l’ossessione che tutto debba essere attuale. Il madrigale certamente non lo è, ad esempio. Fa parte di un mondo lontanissimo dal nostro. Eppure solo se si accetta questa lontananza si può creare una forma di comunicazione con esso. Che può tornarci utile. Quindi per tornare al prog io ritengo semplicemente si debba fare una onesta valutazione critica su ciò che è valido e ciò che lo è meno, senza mitizzare qualsiasi cosa provenga da quel momento storico. E – anche – da lì ripartire. Senza bisogno di uccidere il padre e la madre e senza vivere nell’adorazione mistica delle icone sacre. A volte la svolta artistica deriva dal raggiungimento di un equilibrio interiore.
Mirco Salvadori: Se intendiamo usare il prog come mezzo di ricerca, senza nulla togliere ad un genere che per ovvi motivi anagrafici ho frequentato e molto, credo siamo fuori strada. E’ giunto il momento -e da mo’- di allontanarvisi, in quanto realtà aliena rispetto alla contemporaneità. Ovviamente ognuno è felicemente libero di ascoltare ciò che meglio crede, Dio volendo! ma credo che -e nessuno si offenda- ogni epoca racchiuda dei suoni precisi, questa non è certo epoca adatta al rock, tantomeno quello progressivo.
Roberto Franco: E’ ancora pensabile e avrebbe ancora senso il sorgere di una corrente musicale di radicale rottura con il passato, che faccia di questa rottura il punto di partenza di una creatività altra, come, mettendone tra parentesi i limiti storici e le contraddizioni, lo sono stati il punk o l’industrial originario?
Antonello Cresti: Patrick Curry in un suo saggio afferma: Il disperare è per le persone che sanno, senza alcun dubbio, ciò che il futuro ci porterà. Nessuno si trova in questa posizione. Dunque la disperazione non solo è una tipologia di peccato, teologicamente, ma anche un semplice errore, poiché in realtà nessuno è in grado di sapere. E in questo senso esiste sempre la speranza. Faccio mie queste parole per risponderti che, si, certamente è ancora possibile vedere una controcultura globale che si opponga all’esistente così come è accaduto nei decenni passati. Peraltro il sorgere di un simile spirito di scissione, per dirla con Gramsci, sarebbe oggi non solo auspicabile, ma vitale. Il problema però, osservando la realtà, è che non vi è per ora traccia di un simile punto di rottura, ed è peraltro questa la ragione che anche nelle migliori opere creative oggi prodotte non respiro quello spirito di ebbra vitalità che invece ritrovo in tanti lavori del passato… I motivi sono molteplici e non è qui la sede per elencarli, ma posso in qualche modo far riferimento alla mia vicenda per indicare un chiaro cortocircuito delle subculture, in particolari quelle giovanili, oggi; ebbene in questi anni non so in quanti, e si trattava di amici, hanno cercato di dissuadermi dal fare delle cose in quanto improbe, immense, impossibili. Il fatto che, puntualmente, i progetti avviati siano andati in porto non dimostrano che io sia beneficiato da superpoteri, ma mettono piuttosto in mostra quanta sfiducia ci sia tra le persone al giorno d’oggi. E, se il semplice atto volitivo, con un po’ di impegno, è considerato impossibile, come diamine potremo pensare di riacquisire un protagonismo nei confronti della barbarie politica, sociale, culturale che ci avvolge? Riprendiamoci la vita recitava uno slogan del Movimento del ’77… Temo che se non recupereremo questa convinzione, saremo destinati ad un panorama, anche creativo, che si limiterà al ruolo di testimonianza.
Mirco Salvadori: Bella domanda, in stile Dio esiste?. Sono convinto che incredibili correnti musicali che hanno creato la storia, sarà impossibile ritrovarle. Di sottogeneri ne nascono in continuazione ma durano il tempo di un disco. Quando si parla di musica credo si debba sempre cercare di tenere a mente quale è il bacino di ascolto, per esempio, del rock – genere oramai esausto ma ancora rivoluzionario per antonomasia – e quale quello, sempre per esempio, del suono industriale, genere probabilmente e tuttora ancora sconosciuto ai più. Io credo stia avanzando qualcosa di nuovo, credo che i nostri ascolti oramai saturi di musica antica post-qualcosa, riciclata, copiata e incollata, si avvieranno verso un futuro, come dice Reynolds, che deve ancora venire. Si inizierà a scoprire il SUONO, quella componente assai più vasta e complessa del pensiero umano che ci sta aspettando lì, oltre il segno lasciato da una oramai desueta idea di sperimentalismo. Credo sarà comunque un percorso dedicato ai pochi interessati, gli altri continueranno a porsi domande sulla realtà sperimentale italiana mentre altri ancora, la maggioranza, continuerà a somministrarsi dosi massicce di musichetta letale.