
Alla ricerca di Canterbury
Le voci dei protagonisti ci svelano alcune verità sulla scena di Canterbury.
E’ davvero esistita una Scena di Canterbury o è stata un’invenzione postuma di giornalisti fantasiosi? A leggere libri, siti internet specializzati, opinioni di critici musicali, giornalisti o semplici appassionati la risposta sarebbe certamente affermativa, ma paradossalmente, sono proprio i più importanti esponenti di questa presunta scena a negarne l’esistenza. La mia opinione è che una scena o una scuola di Canterbury sia esistita eccome, solo che nacque e si sviluppò in modo inconsapevole agli stessi autori e si manifestò in modo più evidente solo anni dopo.
Oggi, col senno di poi, ascoltando gli album dei protagonisti principali di Canterbury non si possono negare alcune caratteristiche comuni che tengono insieme gruppi tanto diversi, come ad esempio l’influenza fortissima del jazz, l’uso maggiore rispetto al rock classico o al progressive di trombe, sax tenori, sax soprani, clarinetti, strumenti a fiato in genere, una preparazione musicale superiore alla media, la caratteristica di essere una musica povera che non ha certamente arricchito chi ha avuto la fortuna e l’onore di farne parte, il disinteresse pressoché totale per le classifiche e le vendite. Chi suonava a Canterbury ascoltava più il jazz, l’avanguardia e, in particolare agli inizi, il rock psichedelico americano già maturo e quello britannico ancora agli esordi. L’influenza del blues o del rythm’n’blues era minore rispetto agli altri gruppi britannici, ma tutto sommato anche il progressive è una storia altra rispetto a Canterbury. Ritenere che i Soft Machine siano stati un gruppo progressive è un errore macroscopico abbastanza comune, discorso diverso andrebbe fatto invece per i Caravan, il gruppo più progressivo di tutta Canterbury. Ciò dimostra che Canterbury sia stata tante cose insieme, inizialmente, dai Wilde Flowers ai primi due album dei Soft Machine, è stato beat, psichedelia, patafisica, accompagnato da una certa improvvisazione se non addirittura immaturità. Negli anni successivi ha poi preso varie strade, alcune decisamente accostabili al progressive rock (Caravan, Khan, Egg, Steve Hillage), altre al rock sperimentale (Robert Wyatt, Matching Mole, 1984 di Hugh Hopper), al jazz (Ian Carr’s Nucleus, Henry Cow, i Soft Machine da Fourth in poi), alla psichedelia (Arzachel), ad un certo spirito dandy (Kevin Ayers, David Allen e i Gong), fino alla seconda ondata di Canterbury che ha visto nascere gruppi che hanno, in un certo senso, strutturato e riassunto il sound della scena (Hatfield and the North, National Health). Esulano da queste classificazioni gli album imprescindibili di Canterbury, quelli che vengono oggi riconosciuti come fondamentali per tutto il rock, che passando dal jazz alla sperimentazione, al viaggio nelle proprie paure, hanno raggiunto livelli nettamente superiori alla media, parlo ovviamente di Rock Bottom di Robert Wyatt e di Third dei Soft Machine.
Ricercare Canterbury vuol dire anche cercare di approfondire e comprendere le opinioni dei protagonisti. Partirei dall’indiscusso leader di Canterbury, Robert Wyatt:” Quanto a Canterbury direi che così come il cristianesimo è stato inventato settant’anni dopo la morte del pover’uomo, anche la “Scena di Canterbury” è stata inventata molto tempo dopo, dall’esterno. Da quel che ricordo, nessuno pensava che facessimo parte di una qualche scena. Ricordo invece molto bene che volevamo andarcene da Canterbury. È tutto ciò che rammento. Agli estranei, i musicisti raggruppati sotto quell’etichetta sembrano un assortimento di persone che avevano qualcosa in comune ma dall’interno non ricordo un grande rapporto. Ho allacciato amicizie molto migliori e rapporti più stretti in seguito, negli anni settanta e oltre.”
Wyatt nega fermamente l’esistenza di una scena, addirittura la descrive come un gruppo di musicisti con poco in comune e rapporti non sempre idilliaci. In altre interviste la sua idea si modificherà lievemente ma senza stravolgersi. Ma la sua opinione non è un caso isolato, anzi a leggerne altre appare persino moderata. Pye Hastings (Caravan) arriverà addirittura a dire di non sopportare più i giornalisti che insistono a fargli domande su Canterbury.
Kevin Ayers, bassista nel primo album dei Soft Machine, fece affermazioni anche più dure:” Ho sempre negato che l’esistenza di una scena di Canterbury, eravamo una mezza dozzina di persone che suonavano nella città della cattedrale ma se dovessi trovare qualcosa davvero in comune erano i nostri studi letterari che sono stati il motivo che ci hanno fatto ritrovare nei primi anni. Questo però non giustifica la presenza di una scena, quella è stata inventata molti anni dopo”. Ayers descrive anche il clima che lui respirava a Canterbury e senza rendersene conto ci da un’idea originalissima sulla genesi della scena:” Daevid Allen è stato il primo hippie che ho incontrato. Era un vero hippie venuto fuori dalla scena beat ed era molto convincente (ride). Leggeva molto, era una persona complessa, vivace ed esotica che ci diceva sempre leggi questo, fuma questo, ascolta qui. La sua presenza ha acceso me, Robert e Mike, ci ha fatto conoscere tantissima letteratura, soprattutto americana. Egli in realtà aveva qualcosa da dire, aveva cioè idee proprie molto forti. Penso invece che noi non avevamo ancora alcuna idea particolare. Eravamo appena usciti dalla scuola e, come una sorta di vagabondi, andavamo in giro in cerca di lavoro, ci chiedevamo “che cosa faccio adesso”. Ayers quindi nega anch’esso l’esistenza di una scena ma vede nella presenza dell’australiano David Allen la scintilla che fece nascere tutto.
La teoria che Canterbury nacque in Australia è stravagante ma certamente affascinante. C’è da dire però che Kevin Ayers, come anche David Allen, visse a Canterbury per pochi anni, dopo il primo grandissimo album dei Soft Machine, Ayers si trasferì a Ibiza dove intraprese una magnifica carriera solista e David Allen ancor prima andò in Francia dove formò i Gong. La scelta di Ayers era dettata dal suo carattere solitario che mal sopportava lo stress della vita di città e i ritmi dei tour cui era stato sottoposto, suo malgrado, dai Soft Machine. Ecco un suo ricordo del tour americano dove i Soft Machine facevano da gruppo di supporto a Jimi Hedrix: “La prima parte del tour durò due mesi ma a me sembrarono sei; si viaggiava e ci si esibiva sovrastati da un’incredibile intensità, un vero e proprio tour de force. Fu dura iniziare come spalla a Hendrix perché poteva contare su un pubblico assai vasto e noi proponevamo un genere che non aveva nulla in comune col suo. A ogni modo finii col non distinguere più le notti dai giorni poiché in quella trasferta mi buttai a capofitto nello stile di vita che si suppone tipico del rock’n’roll, ma subito dopo mi stancai di quei ritmi e per venirne a capo mi trasformai in una specie di recluso. Non partecipavo neanche alle feste post-concerto. L’aspetto che mi restò impresso di quell’esperienza fu ovviamente il fenomeno Jimi Hendrix. L’indicibile energia che sprigionava era al di là dalla nostra portata, oltre ogni mia aspettativa. Mai vista roba del genere. La facilità con la quale riusciva a generare quel potere, quella luce abbagliante… era chiaro si trattasse di una stella cadente in rapida collisione con la Terra, una stella prossima a disintegrarsi a causa della sua stessa insostenibile intensità”.
Quindi l’opinione di Ayers può essere influenzata sia dal suo particolare carattere, sia dal fatto di essere “fuggito” da Canterbury molto presto e di aver vissuto solo una primissima fase di una scena che ancora doveva evolversi e diventare tale. Se cerchiamo l’opinione di chi lo sostituì al basso nei Soft Machine, Hugh Hopper, anche questa non si discosta molto. Hugh disse:” Penso che sia un marchio piuttosto artificiale, una cosa giornalistica. Nel momento in cui i Wilde Flowers iniziarono a suonare, a Canterbury nessuno suonava dal vivo. Canterbury non è mai stato un posto veramente buono per suonare. Non è un luogo musicale, non ci sono mai stati spazi davvero adatti per un musicista.”
Tornando a Wyatt, in quest’altra intervista, da una parte rincara la dose ma da un’altra accenna a quelle che mi sembrano essere le vere prove dell’esistenza di una scena unitaria “Io non sapevo nemmeno cosa volesse dirmi il primo giornalista che mi fece una domanda su questa scena di Canterbury, ma poi queste domande divennero sempre più frequenti, oggi non esiste persona o giornalista che non mi faccia domande in proposito. Io andai a Canterbury a studiare ma venivo da fuori. Hugh Hopper e Richard Sinclair erano i veri musicisti di Canterbury, li ho incontrati lì e sono eternamente grato di aver incontrato qualcuno come Hugh che mi ha dato qualcosa che nessun altro avrebbe potuto darmi”. Wyatt pur affermando di non conoscere neanche cosa volesse dire la frase Scena di Canterbury, prima che un giornalista gliela chiedesse, affermava però che dei musicisti della città della cattedrale, che li si erano formati e che suonavano insieme, esistevano. Sembra esserci qualche speranza per Canterbury.
Richard Sinclair, ritenuto da Wyatt, insieme a Hugh Hopper, il vero musicista di Canterbury, aprì ancor più le porte:” Il Canterbury Sound è nato da un gruppo di amici. Ci conoscevamo tutti: Hugh Hopper, Robert Wyatt, io, mio cugino Dave Sinclair, Pye Hastings. Suonavamo insieme, andavamo a scuola insieme, eravamo una grande famiglia. Ho avuto la fortuna di stare in mezzo a persone di grande talento, ci stimolavamo a vicenda. Nessuno di noi si rendeva conto di stare creando qualcosa di nuovo. Volevamo solo suonare e diventare famosi. Ogni musicista desidera solo che la propria musica venga ascoltata. Penso che quando nasce un nuovo genere musicale, da qualche parte del mondo, in qualche modo, già esisteva. Le note e le possibilità non sono infinite. Ma la personalità e il modo di pensare la musica di chi la suona cambiano tutto. Accordi e strutture probabilmente esistevano già, ma nel Canterbury Sound vennero usate in modo del tutto nuovo. Alla fine non siamo mai stati veramente famosi, ci mancava l’equilibrio tra la musica e il business. Gruppi come i Genesis e gli Yes erano molto più conosciuti di noi. Noi, però, volevamo essere originali. Cercavamo sempre strutture interessanti e modi per sfruttare le nostre capacità di strumentisti.”
Il musicista che più apre all’idea di scena di Canterbury è Didier Malherbe, flautista e sassofonista dei Gong, tra l’altro un gruppo che ha più a che fare con la Francia che con l’Inghilterra. “La Scuola di Canterbury può essere definita musicalmente: alcuni cambi di accordi, in particolare l’utilizzo di accordi minori, certe combinazioni armoniche, una grande chiarezza nei suoni e un modo di improvvisare che è molto diverso da ciò che si fa nel jazz. Ho apprezzato molto i Soft Machine di Third per questo. Il modo in cui suonavano era di assoluta chiarezza”.
Che Canterbury abbia avuto inizio da David Allen, come dice Ayers, da Hopper e Sinclair, come dice da Wyatt, da un gruppo di amici o semplicemente da alcuni combinazioni melodiche, non è facile dirlo. Quello che credo si possa affermare con certezza è che un sound di Canterbury è esistito ed ha avuto caratteristiche proprie e riconoscibili. Anzi, se lo paragoniamo ad altri movimenti (penso ad esempio al krautrock o alla new wave) ha avuto caratteristiche molto più unitarie. Questo, per vari motivi, non era affatto evidente proprio a chi quella scuola ha creato o a chi quegli anni ha vissuto. Probabilmente la vera genesi andrebbe riconosciuta nei Wilde Flowers, vero embrione di Canterbury, che contenevano già, come fossero una molecola di DNA tutte le informazioni necessarie per lo sviluppo successivo. Tutto era ancora embrionale, immaturo, persino infantile, ma aveva già tutti i protagonisti dentro. La concentrazione di genialità, David Allen, Robert Wyatt, Kevin Ayers, era sorprendente e dai Wilde Flowers cominciò un’evoluzione che seguì, in modo quasi darwiniano, strade diverse, come tracciato all’inizio dell’articolo. Già la prima scissione dei Wilde Flowers in Soft Machine e Caravan conteneva i germi di un grande cambiamento musicale, che portò, tramite varie influenze, alla crescita artistica di uno dei più grandi musicisti del secolo scorso, Robert Wyatt, che, partendo nel 1964, come giovane batterista dei Wilde Flowers, arrivò in appena sei anni alla pubblicazione di Third, e in appena sette anni a quella di Rock Bottom. Un’evoluzione rapida e decisa che ha lasciato il segno.