
Le Scuole dell’Avanguardia: il Minimalismo Americano a New York
La versione newyorkese del minimalismo americano: Steve Reich, Philip Glass e il minimalismo tecnico
L’altra faccia del minimalismo americano si trova a New York ed ha due protagonisti, Steve Reich e Philip Glass. A differenza della sponda californiana che ha prodotto musiche con aspetti mistici e sentimentali, a New York nasce un minimalismo estremamente tecnico, tanto tecnico, sopratutto Reich, da essere in molti casi di impossibile o comunque di difficilissima esecuzione dal vivo.
Steve Reich, filosofo, musicista allievo di Luciano Berio, è un personaggio incredibile, di giorno tassista a New York, di notte compositore d’avanguardia insieme a Steve Chambers e Jon Gibson. Estremizza l’idea di ripetizione trasformandola in una sorta di mania e diventando il maestro della contro-fase, cioè della ripetizione di frammenti di suoni o di voci, sia registrati su nastri magnetici, sia suonati dal vivo. Nei suoi primi anni di carriera spiccano le sue registrazioni su nastro magnetico, ad esempio It’s Gonna Rain (1965) o Come Out (1966), e i lavori ripetitivi per piano o violino, ad esempio Piano Phase o Violin Phase (1967). Questa musica non ha nulla di romantico o sentimentale, il musicista deve solo mettere in moto un processo che, una volta iniziato, va avanti in modo autonomo, senza possibilità di intervento. E’ una musica robotica, sembra prodotta da un computer più che da un uomo. I suoni che vengono riprodotti sono casuali, non scelti dal compositore. Mi spiego meglio. Nel 1966 scrive Come Out per motivi politici (difesa di un afroamericano accusato ingiustamente dell’omicidio di un poliziotto ad Harlem). Prende la registrazione della voce dell’afroamericano e fa partire il primo nastro magnetico. Il nastro ripete continuamente le parole Come Out to show them, a questo se ne aggiunge un altro in lieve contro-fase, cioè la registrazione è la stessa ma leggermente rallentata. All’inizio le due voci si sovrappongono quasi completamente ma dopo vari minuti entrano in contro-fase in modo significativo. Il susseguirsi continuo crea suoni assolutamente inattesi, fino al finale, per un totale di otto nastri magnetici, dove le parole non sono più riconoscibili. Il processo è solo iniziato dal compositore, una volta partito non può più essere fermato.
L’anno seguente, nel 1967, Steve Reich tenta di proporre la stessa tecnica delle sovrapposizione con strumenti classici e crea delle composizioni di una complessità di esecuzione inaudita. E’ la volta di Piano Phase e di Violin Phase. Qui il musicista può suonare sovrapponendosi a nastri magnetici che ripetono, sempre con velocità diverse, il suo stesso spartito, oppure sono più musicisti a suonare insieme. Ovviamente la difficoltà di esecuzione è elevatissima, è richiesto da parte del musicista un livello di concentrazione impressionante, questi deve avere la capacità di suonare un breve gruppo di note alla sua velocità per tutta la durata della composizione, circa 15-20 minuti, quando contemporaneamente un secondo musicista suona le stesse note a velocità lievemente diversa. Il musicista è come un robot, una macchina, non più un uomo. Si nota che sovrapponendo i piani si creano melodie inaspettate, non prevedibili, non prestabilite dal compositore. Come in Come Out, il musicista fa solo partire un processo che è inarrestabile.
Ma il capolavoro di Reich è probabilmente il colossale Music for 18 Musicians, un’opera estremamente complessa che deve essere suonata da almeno diciotto musicisti, semmai di più ma non di meno. La strumentazione è amplissima, è un susseguirsi di undici accordi differenti che si alternano circa ogni cinque minuti, i musicisti cambiano accordo tra di loro con dei cenni, non c’è un direttore che decide. Anche qui l’esecuzione è difficilissima e il livello di concentrazione richiesto è quasi non umano. I musicisti suonano tutti brevi frammenti in modo continuo per tutta la durata dell’opera. Ci sono persino due musicisti che suonano la stessa nota col piano o con le marimbe (nel video proposto con le marimbe), sempre alla stessa velocità ma uno lo fa in battere, l’altro in levare. Questo crea una pulsazione ritmica molto veloce che accompagna l’intero brano ma che richiede da parte del musicista quasi di alienarsi dal resto del gruppo. Music for 18 Musicians è il capolavoro del minimalismo tecnico, una svolta per Reich che resta però nell’ambito di una musica fredda e glaciale, lontana mille miglia dal sentimentalismo di Terry Riley.
Philip Glass, prima di diventare uno dei più noti compositori di colonne sonore di Hollywood, è stato un compositore minimalista ripetitivo sulla scia di Steve Reich. Tra i musicisti minimalisti è quello più conosciuto e che ha avuto maggiori riconoscimenti di pubblico. Inizialmente anche la sua musica è caratterizzata dalla totale mancanza di emozionalità e da un approccio matematico, come Reich, ad esempio nei suoi primi lavori, Two Pages (1968) o Music In Contrary Motion (1969). Le cose iniziano a cambiare con il lunghissimo Music In Twelve Parts che mostra un lieve allontanamento dalla freddezza di Reich. Inizia poi ad occuparsi di teatro e crea, con la collaborazione di Robert Wilson, uno dei suoi lavori più noti, Einstein on the Beach. Si tratta di un’opera lunghissima, cinque ore circa, che quando viene proposta per la prima volta a Manhattan, è accolta con entusiasmo. E’ un’opera teatrale senza trama, un insieme di immagini o quadri che vogliono testimoniare come il pensiero abbia cambiato la storia umana più di quanto abbia fatto la guerra. La presentazione di Einstein on the Beach al Metropolitan di New York è un evento a suo modo storico, il minimalismo ha abbandonato le soffitte di La Monte Young o di Terry Riley ed è riconosciuto e apprezzato (anche odiato) da una piccola parte di pubblico e da una grande parte di critica.
Le monografie sul Minimalismo Americano:
1) I precursori; John Cage e Morton Feldman
2) Il Minimalismo californiano; La Monte Young e Terry Riley
3) Il Minimalismo newyorkese; Steve Reich e Philip Glass