
2017 – Gli album consigliati
Il 2017 è stato un anno molto particolare; se il 2016 è stato segnato da grandi lutti e grandi album, il 2017 sembrerebbe un anno di transizione, di grandi ritorni (Faust, Jesus And Mary Chain, Slowdive, Dream Syndacate, Roger Waters, Linda Perhacs), di nuovi super gruppi (Sufjan Stevens, Nico Muhly, Bryce Dessner, James McAlister), di cavalcate psichedeliche (In Zaire, Black Angels, King Gizzard and Lizard Wizard), di sorprendenti cross-over (Zela And Ardor, Igorrr) e di nuove ricerche elettroniche (Arca, Iglooghost). Il progressive non ha dato particolari segni di vita; colpisce il fatto che tanti dei suoi protagonisti della prima e dell’ultima ora abbiano prodotto album lontanissimi dalle classiche sonorità prog; tra questi la svolta pop di Steven Wilson e le sonorità intimiste di Peter Hammill. Non potevamo che dedicare una particolare attenzione alla scena italiana, che anche quest’anno ha dato vita a tantissimi lavori di grande valore. Nonostante non passi nelle tv, nelle radio o nei giornali – lontano dagli orribili talent, dal mostruoso X Factor o da Fedez e cloni vari – la scena italiana rimane sempre tra le più innovative e interessanti del mondo. Se non siete convinti guardate cosa dicono di noi all’estero.

No Trump
Cercare di trovare elementi in comune in un calderone tanto vasto e variegato non è facile; a nostro avviso il 2017 è stato certamente segnato dall’avvenimento più inatteso del 2016, l’elezione di Donald Trump (8 Novembre 2016). Molti artisti hanno dovuto metabolizzare questo evento per poterlo tramutare in musica, in arte. Tanti sono stati gli album segnati da questa elezione ma quelli che abbiamo ritenuto più significativi sono quattro; il grande ritorno di uno dei gruppi più amati dalla nostra redazione, i giganti del krautrock, i Faust, che più che contro Trump si scagliano contro le politiche liberiste dell’Unione Europea e contro la politica estera francese; emblematico nel loro “Fresh Air” è l’inno francese destrutturato per sottolineare le guerre e le stragi di immigrati causate dalle nefaste scelte politiche d’oltralpe. E’ straziante il loro monito rivolto ai musicisti di tutto il mondo: “Artisti, impegnatevi nelle vostre canzoni: l’arte per arte è finita“, sottolineando come – in un mondo così ridotto – l’arte come distrazione di massa o come mera evasione non ha più motivo di esistere. Un messaggio molto simile a quello degli eroi del movimento del Rock In Opposition, gli Henry Cow, che nel 1978 dicevano: “L’arte non è uno specchio, è un martello“; la vera arte non deve descrivere l’esistente ma trasformarlo. Il finale è poetico, con la figura del pesce (“The Fish“), unico testimone degli orrori delle migrazioni di massa, figlie di un sistema che accentra sempre più ricchezza ai danni di sempre più numerosi poveri. Il grande compositore elettronico Rafael Anton Irisarri ha pubblicato il manifesto di questi “anni senza vergogna” con il potentissimo “The Shameless Years“. Infine altri due ritorni; quello dei canadesi Godspeed You! Black Emperor che individuano nei grattacieli degli imperi occidentali, le Torri Luciferine, il simbolo da abbattere del capitalismo imperante; quello di Roger Waters che torna ispiratissimo – dopo ben venticinque anni – contro il suo nuovo nemico e ispiratore Trump, con un Lp malinconico e commovente ma lucidissimo nella sua critica anti-bellica. Quattro album molto diversi tra loro, segnati da un fatalismo di fondo che trova in Trump solo un simbolo, ma che resta cosciente del fatto che se avesse vinto la Clinton non ci sarebbe stato nulla da rallegrarsi, perchè la vera opposizione sensata non è quella al singolo individuo ma al sistema capitalista dominante.
Come tutti gli anni, la lista è parziale e non ambisce a essere una classifica dei migliori album in assoluto; è una serie di consigli di un gruppo di appassionati che hanno ascoltato centinaia di album durante l’anno. Come nel 2016 la lista è stata suddivisa in varie categorie. All’inizio troverete gli album che si oppongono fieramente all’esistente, elemento che ci sembra importante per questo 2017. Poi una lista divisa per vari generi e un corposo speciale dedicato agli “Italiani all’attacco!“. (Valerio D’Onofrio).
No Trump (pag. 1), Avant-rock (pag. 2), Progressive (pag. 3), Folk (pag. 4), Psichedelia (pag. 5), Metal (pag. 6), Elettronica, ambient (pag. 7), Post-rock (pag. 8), Dark, Hip Hop (pag. 9), Crossover, Pop (pag. 10), Italiani all’attacco!!!! – Elettronica tricolore, ambient (pag. 11), Post-rock, Canterbury in Italia, Progressive (pag. 12), Metal, Jazz-Core, Math-Rock (pag. 13), Cantautori e dialetto (pag. 14), Psichedelia (pag. 15), Minimalismo italiano (pag. 16), Neo-classical, Experimental, Coatto-wave (pag.17).
Trump Is A Pig. L’opposizione a Trump
- Faust – Fresh Air
- Rafael Anton Irisarri – The Shameless Years
- Godspeed You! Black Emperor – Luciferian Towers
- Roger Waters – Is This The Life We Really Want?

Faust – Fresh Air
Faust | Fresh Air
Estremamente politico, e non poteva essere altrimenti, è il gradito ritorno dei Faust con “Fresh Air“. Oltre ai fondatori Werner “Zappi” Diermaier (batteria) e Jean-Hervé Péron (basso, chitarra, voce) troviamo anche Barbara Manning con le sue live lecture, Jürgen Engler (Die Krupps) alle sovraincisioni e Ysanne Spevack con la sua viola. L’album si apre con l’imponente title track (17 min.) riempita di recitativi, voci operistiche e spettrali bordoni. C’è l’invito ripetuto a respirare aria fresca da Tokyo a New York all’interno dei versi della canzone, ricavati da una poesia di un compagno di scuola francese di Péron (qui tradotta e recitata in polacco). Dopo un paio di pezzi più brevi – la rurale “Bird Of Texas” e il coro dadaista di “Partitur” – l’album si arena nei ritmi rilassanti di “La Poulie“, con la chitarra e il basso che si adagiano sulle texture elettroniche della traccia. In “Chlorophyl” Péron riscrive la Marsigliese adattandola ai tempi odierni, facendo un appello disperato ai musicisti in un mondo ormai prossimo al collasso (“artisti, impegnatevi nelle vostre canzoni: l’arte per arte è finita“). La chiusura “Fish” offre invece uno sguardo verso questioni ambientali e politiche nelle declamazioni franco-inglesi di Péron e della Manning (“il mare non si cura dei cadaveri dei profughi, che lentamente affondano nel Mediterraneo”), rasentando le composizioni devastanti dei Godspeed You! Black Emperor. (Valeria Ferro).

Rafael Anton Irisarri – The Shameless Years
Rafael Anton Irisarri | The Shameless Years
Dopo le tristi storie di tragedie figlie della cupidigia umana di “The Unintentional Sea” (2013) e gli imponenti muri sonori di “A Fragile Geography” (2015), Irisarri continua a volgere sguardo e pensieri verso la contemporaneità, descrivendola in modo tanto potente da essere riuscito a creare – nell’arco di questi anni – una nuova grammatica ambient malinconica ma non deprimente, allo stesso tempo imponente e minimale. Gli anni senza vergogna sono il nuovo oggetto di osservazione di Irisarri, vissuti in prima persona da spettatore impotente che ha come sola arma la sua capacità comunicativa. Gli anni di un rinascente razzismo, del capitalismo senza freni, dell’odio dell’uomo verso l’uomo, dell’estremismo religioso e della guerre senza fine. Ma sono anche gli anni del trumpismo che, agli occhi di Irisarri, diventa un sorta di involontario simbolo della contemporaneità, di illusioni di muri salvifici, di improbabili ritorni a presunte identità “etniche” o “razziali”, di egoismi che prevaricano ogni senso di comunità.
Irisarri trova due strade per manifestare il proprio essere “altro” rispetto all’esistente, diventando esso stesso testimonianza di fiera diversità; fa produrre “Shameless Years” a un’etichetta messicana – la Umor Rex – nazione continuamente vilipesa nella recente campagna elettorale americana, e registra gli ultimi due brani con la collaborazione dell’artista iraniano Siavash Amini, cittadino di uno stato ritenuto “canaglia” dalla maggioranza dell’opinione pubblica. E’ la tragica imponenza dei synth a colpire l’ascoltatore, una magniloquenza che trova in sprazzi di melodia la sua chiave emotiva (“Indefinite Fields“). Le gelide distorsioni di “RH Negative” sconquassano ogni sicurezza e descrivono, come vere pennellate, i sentimenti di chi ha coscienza di vivere in questi “anni senza vergogna”. (Valerio D’Onofrio).

Godspeed You! Black Emperor – Luciferian Towers
Godspeed You! Black Emperor | Luciferian Towers
Da oltre vent’anni i canadesi Godspeed You! Black Emperor sono tra gli artisti più capaci di descrivere la contemporaneità, creando imponenti e strazianti sinfonie dove l’epicità dei vertiginosi crescendo si coniuga con una sfiducia di fondo nelle capacità umane. Quella dei canadesi è una sorta di orchestra del Titanic in versione post-rock che non può far altro che testimoniare la propria diversità rispetto alle moderne torri del potere contemporaneo, le “torri luciferine“. Le grandi torri, i palazzi di vetro, acciaio e cemento – facilmente identificabili nelle dimore del moderno capitalismo imperante, del pervasivo potere finanziario – diventano i simboli da abbattere. Sono le dimore segrete dei capi che creano il “lavoro alienante”, esportatori di guerre per interesse, creatori di continui bisogni consumistici che – come nuovi “vitelli d’oro” – vengono venerati da masse disposte a qualunque sacrificio pur di ottenere il tanto agognato benessere. Abbattere le torri luciferine (“Undoing A Luciferian Towers”) diventa la strada verso una nuova catarsi, una liberazione dalle catene (“Immagina quegli edifici molto più tardi, svuotati e spogliati dei cavi e del vetro, ascolta – il vento sta fischiando attraverso tutte le fessure delle loro tremila finestre in fiamme!”). Come in un sogno ci viene descritta la strada per arrivare a tanto; impiccare i capi (“Bosses Hang”), un’imponente sinfonia post-rock che usa la ripetizione ossessiva per creare ipnosi, che cresce sempre di più per creare immedesimazione e catarsi. “Luciferian Towers” è dedicato a “tutti coloro che sono persi e che si pongono delle domande”. Sembra poco, ma queste caratteristiche, in un mondo così omologato, sono rivoluzionarie. Come da vent’anni la musica dei Godspeed You! Black Emperor. (Valerio D’Onofrio).

Roger Waters – Is This The Life We Really Want?
Roger Waters | Is This The Life We Really Want?
Ci sono voluti ben venticinque anni per poter ascoltare un nuovo album di Roger Waters, un quarto di secolo in cui il mondo ha subito enormi cambiamenti che l’hanno reso quasi irriconoscibile rispetto al lontano 1992 di “Amused To Death“. Un quarto di secolo di silenzio e di live con spettacoli sempre aggiornati al presente, in cui compare l’ormai celebre slogan “Trump is a pig“. Nessuna ambiguità neanche sul nuovo album, che come Waters ha più volte ribadito è un vero e proprio manifesto contro Donald Trump. La domanda retorica posta nel titolo – “è questa la vita che davvero vogliamo?” – appare come la presa di coscienza finale del tramonto delle speranze, della morte dei sogni e dello svanire nel nulla dei futuri rosei immaginati dopo la Seconda guerra mondiale; la morte del padre non è quindi un evento accaduto davvero ad Anzio nel 1944, ma si ripete ogni giorno in mille guerre in ogni parte del mondo. Se i pensieri di Waters si sono evoluti e aggiornati con i tempi, la musica invece continua sulla strada iniziata addirittura con “Animals“. In effetti l’impressione che si ha, da questo punto di vista, è di ascoltare una lunga selezione dell’intera discografia di Waters in modalità random; il gioco delle citazioni è pressoché continuo ed è la parte meno interessante per chi vuole capire davvero quest’album; perché per entrare davvero dentro bisogna esaminare i testi, quasi un testamento ideologico per uno degli ultimi poeti del rock. (Valeria Ferro).