
2014 – Gli album consigliati
I migliori album del 2014 secondo Psycanprog, avanguardia, ambient, progressive, psichedelia, post-rock, elettronica, senza limiti di genere.
Come tutti gli anni, a Dicembre, proponiamo una breve lista degli album consigliati dell’anno in corso. Il limite dell’elenco proposto, come anche nel 2013, non è il genere musicale; quella che segue non è una lista dei migliori album progressive, non la riterremmo utile. Psycanprog non vuole essere un sito che tratta solo progressive o psichedelia ma cerca, da sempre e col passare degli anni sempre di più, di trattare tutti i musicisti che sperimentano, propongono suoni nuovi e che rifuggono il più possibile dal mainstream. Per questo motivo nei nostri consigli troverete pochi album progressive, semplicemente perchè non siamo più negli anni settanta; oggi, a nostro avviso, la vera sperimentazione va cercata altrove. Per questo troverete album di Avanguardia pura, post-rock, musica elettronica, ambient, jazz-rock, rock massimalista, folk. Ad ogni modo non mancano alcune meritevoli eccezioni (Fabio Zuffanti, Gong) che troverete segnalate. Il vero limite della lista è, come ovvio che sia, quello del numero di album ascoltati, che pur essendo molti, sono molto meno di quelli pubblicati. Una premessa forse inutile ma doverosa (VD).
Pochi dubbi quest’anno. Secondo noi il miglior album non può che essere Lament, il pregevole lavoro dei tedeschi Einsturzende Neubauten, che in occasione del centenario dell’inizio della prima guerra mondiale creano una grandiosa opera di avanguardia pura, musica concreta, rivisitazioni di brani dell’epoca, teatro, cabaret di inizio novecento, che ripercorre tutta la storia della guerra, dal suo preludio sino al ritorno a casa dei sopravvissuti. E’ un lavoro originalissimo, da ascoltare come fosse un libro diviso in capitoli. Non un esperimento freddo di avanguardia astratta ma un lavoro commovente e coinvolgente che fa ben comprendere la sofferenza e il senso di immane tragedia vissuto da chi a quella guerra ha partecipato. La vera poesia si raggiunge con Pater Pecavi, un mottetto rinascimentale rallentato cui vengono aggiunte in sottofondo vere registrazioni di prigionieri di guerra. Questi reperti storici di enorme valore, registrati con il cilindro fonografico di Edilson (praticamente il primo supporto di registrazione audio della storia) sono stati reperiti nell’università di Berlino. Le voci originali dei testimoni di quei tempi bui, ormai deceduti da quasi un secolo, sembrano far rivivere per un’ultima volta quegli uomini sfortunati; le lunghe note dei violini creano un’atmosfera angosciante e tragica che strappa quasi le lacrime (VD).
Il 2014 è stato anche un anno di grandi ritorni, dai Pink Floyd ai Gong, dagli Yes a Ian Anderson. Un ritorno di grande valore che non fa rimpiangere gli antichi fasti di uno dei più grandi gruppi della scena New Wave è quello dei Tuxedomoon. Pink Narcissus, ideale colonna sonora di un film del 1971 mai terminato, continua, nella tradizione dei Tuxedomoon, con le ossessive linee di basso di Peter Principle, cui seguono le note del violino di Reininger. L’ambientazione noir, mittleuropea, cupa e decadente, divenuta un marchio di fabbrica dei Tuxedomoon, è un lungo flusso che, senza soluzione di continuità, scorre dal primo fino all’ultimo brano. La lunga “onda” dei Tuxedomoon non si è ancora esaurita dopo trentacinque anni di carriera (VD).
Altro gradito ritorno è quello dei folli e longevi Gong: “I see you”. Il titolo richiama in qualche modo (solo in quello) il loro capolavoro del 1974, “You” appunto, sebbene nel complesso l’album si attesti quasi interamente su sonorità e soluzioni creative già ascoltate nel precedente “2032”, con un 50% di brani veramente interessanti (in primis “When God Shakes Hands with Devil”, “The Eternal Wheel Spins” e “You see me”, compresa la cosmica chiosa finale di “Shakti Yoni & Dingo Virgin”). I Gong non sembrano però voler sorprendere con pezzi inaspettati o sperimentali ma c’è da dire che la forza di “I see you” sta proprio nella volontà di riproporre uno stile consolidato e tarato nel tempo, dunque efficace, piacevole e straniante (nonostante l’assenza evidente di Hillage); in altre parole, del tutto imperniato a riprodurre la classica ricetta Gong (con un Daevid Allen in primo piano) costituita da composizioni forse non troppo originali ma alquanto perfette nel rievocare un marchio di fabbrica inconfondibile (FT).
“Una materia sonora deforme può essere accettata solamente da colui il quale porta con sé un handicap”; poche linee dal booklet di Heavy Dance che basterebbero a descrivere lo spirito irriverente e fuori dagli schemi di questo incredibile primo lavoro degli Andymusic, trio di musicisti romani che orbitano nel circuito jazz nazionale e internazionale. Uno stile, il loro, tra i più innovativi e fuori dagli schemi che io abbia mai sentito, perennemente al confine tra jazz e rock, in cui le strutture armoniche, le melodie, le scansioni ritmiche vengono continuamente demolite e riproposte all’ascoltatore in una veste inafferrabile, perennemente instabile e dissacrante. La versatilità e preparazione tecnica dei musicisti in questione (Maresca, Morello, Scarpato) è tale poi da permettergli di sconfinare e distorcere i generi musicali più disparati, dalla samba all’alternative rock, al jazz di stampo più hardcore e persino alla musica elettronica. Consigliatissimo (in rete si trova molto poco, per chi è interessato fare riferimento al sito della Auand Records) (DM).
L’album Commune degli svedesi Goat è stato uno dei più apprezzati dell’anno. La musica dei Goat continua la nobile missione dei gruppi psichedelici classici più contaminati con sonorità orientali come i Fifty Foot Hose o i Kaleidoscope, creando un’atmosfera da happening estremamente coinvolgente che non può non ricordare i migliori momenti della psichedelia hippie americana. La loro missione di una musica che sia aggregante e non alienante, di sacrificio della propria individualità per il bene della collettività, li rende del tutto estranei ai messaggi mainstream di oggi. Cultura pagana, antiche tradizioni, ritmi tribali, riscoperta di un comunitarismo ormai perduto, ricreano quell’atmosfera che gli Amon Duul seppero creare più di quarant’anni fa (VD).
Gli scozzesi Mogwai, gruppo fondamentale del post-rock degli ultimi quindici anni, tornano col loro ottavo album in studio. Non saremo ai livelli dei loro capolavori come Young Team, ma Rave Tapes resta comunque un bellissimo album di ottima qualità. Dieci brani perfetti, godibilissimi, che, con tutte le caratteristiche del post-rock, li rendono tra i migliori allievi dei grandissimi Bark Psychosis. I lunghi dialoghi tra chitarre e tastiere, con caratteristiche sia della musica progressiva che psichedelica, ma ormai superati in quanto postrock, sono un lungo viaggio nel quale piacevolmente perdersi (VD).
Steve Ellison, meglio noto come Flying Lotus, è uno dei producer più eclettici di questi ultimi dieci anni. Pronipote di John Coltrane (si proprio lui) è stato influenzato dai generi più disparati dall’hip-hop al jazz, dal rock alla musica elettronica. In questo lavoro a spiccare sono in particolare la componente jazz (tra gli ospiti del disco vi è addirittura Herbie Hancock) e i richiami alle sonorità dei primi Soft Machine, decisamente “inusuali” per un artista di musica elettronica. In tal senso si potrebbe definire come un vero e proprio album di fusion intesa in senso lato, che cerca di distaccarsi dalle definizioni di genere e abbraccia la musica in tutte le sue forme, in cui la musica dance sta accanto al rock e il jazz si interseca con sonorità sintetiche da videogames. Forse meno ispirato rispetto ai lavori precedenti ma comunque un album da sentire (DM).
Una gran classe, eleganza e toni introspettivi sono gli elementi di questo sesto album degli Elbow, band di Manchester attiva ormai dai primi anni del nuovo millennio. I brani sono molto curati e di ampio respiro, ma quello che colpisce di più forse è l’attenzione nell’accompagnare con il crescendo sonoro le atmosfere e le tematiche dei testi, per lo più incentrate attorno al tema dell’amore, della maturità e delle paure che questa tende a portare con se. Il disco è un piccolo gioiello, un lavoro delicato e dai colori tenui in netto contrasto con la frenesia e la meccanicità dei nostri tempi (DM).
Torniamo in Italia e ci dirigiamo dritti verso il prog-rock. Il nuovo album di Fabio Zuffanti, principale protagonista del progressive italiano dell’ultimo quindicennio, pubblicato nei primi giorni del 2014, era fin da subito candidato per essere uno dei migliori album dell’anno, almeno nell’ambito del prog-rock. La Quarta Vittima, un concept album su un libro dello scrittore tedesco Michael Ende, è un progetto ambizioso e complesso che avrebbe meritato maggiore successo. Nelle sette traccie trovano spazio momenti Floydiani, prog, neo-prog con influenze jazz. Si intuisce chiaramente che il lavoro di Zuffanti dietro la scrittura di questo album è tantissimo, è tangibile la fatica nascosta per ideare sette brani lunghi e complessi, che cercano di essere un compendio dei generi amati da Zuffanti. Un’album a tratti intimista, in altri pomposo e magniloquente, come deve essere un certo tipo di progressive (VD).
Andiamo alla musica elettronica/ambient. Anche quest’anno sono tanti gli album interessanti, tanti da essere impossibile consigliarne uno in particolare. Preferisco a questo punto segnalarne quattro. Forse l’album ambient migliore del 2014 è stato Sea Island dell’ormai affermatissimo musicista Loscil, maestro nella descrizione di paesaggi descritti nei suoi album in modo quasi maniacale. Dopo le piogge senza fine di Endless Falls, la neve di Cost/Range/Arcun eccoci al mare, inteso come immenso luogo dove perdersi ed esplorare. Un grande album per un grande artista. Altro consiglio è certamente il tenebroso ambient drone di Lawrence English (Wilderness Of Mirrors). Non è un lavoro facile, ha bisogno di tempo e pazienza per essere compreso. Assolutamente imperdibile l’album di Pjusk (Solstøv), lavoro più arioso dei precedenti ma che percorre sempre strade simili. Infine restando nell’elettronica, ma in un’elettronica distorta, estrema e totalmente diversa dall’ambient di Loscil o di Pjusk, credo che sia stato molto sottovalutato un pò da tutti, Hephaestus della coppia Arne Deforce & Mika Vainio (VD).
Non è stato un album eccezionale, ma voglio ugualmente consigliarlo perchè, in ogni caso, gli Swans restano un gruppo fondamentale che, anche nel 2014, ha ancora tanto da dire. I loro suoni estremi, concilianti massimalismo, minimalismo e psichedelia, continuano riproponendo sonorità già sviluppate nel precedente The Seer. Terrificanti muri di suono, droni assordanti ripetuti all’inverosimile, litanie, testi apocalittici, la totale assenza di stacchi ambient o folk dei lavori precedenti, rendono To be kind un fiume unico che non conosce tregua. Grandioso e monumentale, quello che ci si aspetta da Michael Gira (VD).
Vorrei fare anche i complimenti alla Snowdonia Dischi, etichetta italiana che nel 2014 ha pubblicato Scimmie di Luigi Porto, Ukiyoe di Claudio Milano (o sarebbe meglio dire NichelOdeon/InSonar, i due nomi dei suoi precedenti progetti) e Una cometa di sangue di Andrea Tich. Si tratta di tre abum molto diversi tra loro, ma tutti, a loro modo, importanti. Scimmie (stampato dall’etichetta austriaca Cineploit) passa con disinvoltura dalla musica classica all’elettronica, dalla musica lirica all’avanguardia, dalla musica da camera al cabaret, dalla psichedelia alla sperimentazione, dalla musica da film fino alle contaminazioni hip-hop. Ukiyoe è un lavoro di musica e teatro, che ha come tema centrale il mare, innovativo e vario, scritto da un vero artista e poeta che meriterebbe ben altri riconoscimenti. Una cometa di sangue di Andrea Tich, che contiene brani scritti negli anni settanta e rielaborati oggi, rientra in un ambito più tradizionale (Rocchi o Battiato) ma ciò non toglie nulla alla sua bellezza (VD).
Infine chiudiamo restando in Italia. Niente sperimentazione, niente ricerca, niente fronzoli, niente tecniche digitali. Solo blues; hard blues di quello più selvaggio, acido e grintoso come non se ne sentiva da anni per il nuovo album degli italiani Bud Spencer Blues Explosion, una band che in questi ultimi anni si è piano piano conquistata l’interesse della stampa specializzata e del pubblico grazie soprattutto alle loro incredibili performance dal vivo. La testimonianza che un linguaggio così vecchio ha ancora tantissimo da dire e che il buon rock non è solo di stampo anglofono (DM).
Autori
VD – Valerio D’Onofrio
FT – Fabio Truppi
DM – Daniele Modica