
Intervista al compositore
Francesco Gazzara
Dopo anni di studi musicali, contest, provini e tour con band rhythm&blues ed acid jazz, di colonne sonore, e di molto altro ancora, torna all'improvviso la passione per i Genesis, insieme al bisogno irresistibile di ricostruirne la memoria, attraverso uno studio quotidiano al pianoforte del loro intero repertorio partendo dall'ispirazione pianistica di Tony Banks... e ad un tratto si concretizza il sogno: un album di solo piano con i brani più adatti alla sensibilità di un uomo moderno e profondamente calato nel suo tempo. In copertina: Francesco Gazzara in un'immagine di Romolo Fevola
Dino Ruggiero: Francesco, innanzitutto lascia che ti ringrazi per aver accettato un’intervista con il nostro magazine… vogliamo cominciare ricordando le tappe principali della tua carriera artistica?
Francesco Gazzara: E’ un piacere! Per le tappe principali sono costretto a una sintesi, visto che i primi lavori musicali risalgono alla fine degli anni ’80, dopo gli studi di pianoforte classico. Come compositore di musica per immagini (TV e cinema), che tuttora è il mio impiego principale, iniziai molto presto a 16 anni, sia in teatro con mio padre, il regista Paolo Gazzara, che come collaboratore di altri Maestri, come il grande pianista jazz Amedeo Tommasi, che incidevano soundtrack. Parallelamente però ho sempre mandato avanti i miei progetti discografici, il primo dei quali – che porta il mio cognome dal 1996 – è stato il più fortunato e il più longevo. Il progetto GAZZARA, ad ampio raggio tra l’elettronica e il jazz/funk/lounge, ha pubblicato 6 album in quasi tutto il mondo, è stato in tour in Giappone, UK, Portogallo, Russia, e alcuni brani originali sono stati utilizzati nel 2002 per gli episodi delle prime due serie del noto telefilm della HBO “Sex And The City”. Tra gli altri progetti quelli di HAMMOND EXPRESS (due album dedicati alle sonorità del magico organo elettrofonico) e di THE PIANO ROOM, in cui è tornato a farsi sentire il primo genere da me apprezzato in assoluto all’età di 13 anni ovvero il progressive rock. Tra i registi con cui ho collaborato in tv e al cinema vorrei citare Giuseppe Ferrara (colonna sonora del film “Donne Di Mafia”, nel 2000), Cristina Comencini (alcuni brani nel film “Bianco E Nero”), Peter Del Monte, Francesca Muci, Luca Archibugi, Simone Aleandri, Francesco Saponaro, Gino Cammarota…
DR: Hai pubblicato recentemente un bel doppio CD “Play me my song” per l’etichetta IRMA Records, 19 brani tratti dal repertorio storico dei Genesis “rivisitati”, con più volte hai sottolineato, e non semplicemente eseguiti al pianoforte: come è nata l’idea?
FG: Dopo anni di studi musicali, contest, provini e tour con band rhythm&blues ed acid jazz, di colonne sonore, e di quant’altro avesse parcheggiato in un forziere (prezioso) la mia passione per i Genesis (risalente al 1979), ecco che all’improvviso tutto è tornato a galla qualche anno fa. Prima il bisogno irrefrenabile di ricostruire la memoria, autoimponendomi lo studio quotidiano al pianoforte del loro intero repertorio – mai stato un talebano assoluto dell’era Gabriel, piuttosto un adepto della vera quintessenza banksiana del gruppo – e poi ipotizzando il sogno dei sogni: un album di solo piano con i brani che venivano meglio. Quindi in pratica l’idea è nata passo passo, all’inizio c’era solo la volontà di suonarli al pianoforte, poi mi capitò di suonare alcuni brani su uno Steinway ai mercati di Traiano a Roma, durante la Notte dei Musei. La reazione del pubblico, centinaia di persone sedute a terra, anche giovani, l’interesse nel riascoltare da parte dei meno giovani quelle melodie e armonie con le sfumature di un pianoforte a coda: tutti questi elementi mi hanno convinto a entrare in sala di incisione. Ma ero solo all’inizio dell’opera…
DR: Il gruppo dei Genesis è senz’altro uno dei più rappresentatitivi del rock progressive degli anni Settanta e hanno segnato profondamente la loro epoca con uno stile molto personale e ricchissimo di spunti colti: quali sono le ragioni che ti hanno spinto a farne punto di partenza per la tua ispirazione artistica?
FG: Il primo incontro con la musica dei Genesis non si cancella. Per me risale a una visita domenicale, mattinata di quelle uggiose, al mercato di Porta Portese con i miei genitori. 1979 circa, dodicenne già insofferente delle lezioni di pianoforte classico, diametralmente opposte alla disco music in vinile dell’epoca ovvero il primo approccio corporale alla musica. Le bancarelle degli LP erano già tutte lì dove si trovano adesso, solo che erano molte di più. Dalle ceste del vinile mi colpì questa foto, una band interamente seduta e solo il cantante in piedi, al centro, con una maschera di cartone dai contorni geometrici. Chitarre doppio manico, occhiali e basettoni, tende turchese sullo sfondo: “Genesis Live” tornava a a casa con me per essere ascoltato sul piatto mentre leggevo l’incredibile mini racconto sci-fi horror scritto da Gabriel sul retro copertina. Non c’erano ipod o itunes vari per sentirlo in macchina e l’impatto del Mellotron nell’apertura di “Watcher Of The Skies” – con tanto di brusio del pubblico – direttamente dal vinile lasciò in me un segno indelebile. Avrei voluto diventare un musicista e se oggi lo sono è anche grazie a quel disco.
DR: “Play my song”, come dici nella tua presentazione, ha richiesto 12 mesi di preparazione con un’operazione impegnativa di ricostruzione delle partiture dei brani spesso carenti o inesistenti, quasi tu volessi creare una sorta di colonna sonora di un film dedicato ai ricordi collettivi della storica band e di almeno due generazioni che ne hanno seguito con passione la musica. La domanda sorge spontanea: perchè presentare proprio oggi un lavoro con questi contenuti, cosa significa ancora pensare progressive, cosa può dare ancora ai giovani di questo momento storico quella musica?
FG: Le risposte o motivazioni, secondo me, arrivano più forti quando pensiamo a due fasi precise della nostra vita o della nostra carriera. Da una parte la cosiddetta maturità, che per me non è altro che il momento in cui ci si chiude a far musica senza pensare al mercato, ai formati digitali della musica odierna, all’eventuale guadagno fine a se stesso: solo adesso io ho potuto trovare la tranquillità necessaria per affrontare un progetto così mastodontico per me. Non si tratta di una cover band o di un album in stile Genesis, qui l’operazione è più simile alla creazione di un’Opera cameristica, dove ogni piccolo meccanismo a orologeria “elettrica” dei Genesis, è stato trasportato e reinventato per un elemento diverso dell’orchestra, partendo ovviamente dal piano. Questo anche per rispetto alle diverse generazioni cresciute con la loro musica, e per quelle che verranno, che così avranno sempre un riferimento – quasi bibliografico – per analizzare la scrittura “orchestrale” dei Genesis. Dall’altra parte c’è invece la fase più incosciente dei primi approcci musicali… ed è qui che entra il “pensare progressive”. Per me si tratta di uno stato della mente, senza limiti di età, e così come lo può essere anche con certa musica jazz o elettronica, il progressive deve essere linfa vitale del rock e non solo. Quella sensazione di apertura estrema, di progressione armonica e ritmica, di accordi spesso fuori dalla norma accademica, di sound onirico e romantico al tempo stesso, è qualcosa che da quando ascoltai per la prima volta “Watcher Of the Skies” ho sempre cercato in tutte le musiche che ho frequentato. Ebbene, per interpretare i Genesis in maniera interessante, a mio avviso serve l’uno e l’altro: la maturità di un ascolto “saggio” e anche la follia di una ricerca più “giovanile”.
DR: Per le sessioni pianistiche hai usato la Sala Assunta, nel Vaticano, muta testimone di molte registrazioni storiche dal Quartetto Cetra al maestro Ennio Morricone: vuoi parlarci degli artisti che hanno collaborato con te alla creazione della tua opera?
FG: Fondamentale è stata la partecipazione del fiatista polistrumentista toscano Dario Cecchini, l’unico che potesse eseguire le parti scritte per così tanti legni e fiati: flauto, flauto in sol, clarinetto basso, sax soprano, sax baritono e tenore. Poi un trio d’archi d’eccezione: la violista fiorentina Giulia Nuti, importantissimo il suo apporto anche per la sua dimestichezza con il prog in generale, il violinista Fabrizio Paoletti, spesso presente nelle mie colonne sonore come strumento solista, e la cellista Giorgia Pancaldi, particolarmente efficace proprio nell’arrangiamento di “Watcher Of The Skies”, in assoluto quello più lontano dall’originale ma di grande ispirazione. Infine, l’utilizzo della Sala Assunta per il pianoforte, un Bosendorfer Gran Coda, è qualcosa che poi è tornato indirettamente in fase di missaggio del doppio album. Il responsabile e supervisore delle registrazioni in Vaticano, Stefano Corato, è un amico e collega di vecchia data che ha lavorato per diversi anni alla BMG Ricordi di Roma come produttore interno. Grande esperienza con le orchestre, ha lavorato con Morricone, con Geoff Wesley ad Abbey Road, e tra l’altro ha anche suonato il contrabbasso con l’orchestra nell’album “Di Terra” del Banco Del Mutuo Soccorso. Ebbene, avere Stefano come assistente al mix e supervisore della produzione è stato per me un onore, oltre alla garanzia di completare il lavoro nel modo più professionale.
DR: Francesco, per concludere, cosa c’è nel tuo futuro, quali sono i tuoi impegni più immediati, dove sarà possibile ascoltarti di nuovo?
FG: Sicuramente c’è l’intenzione di portare Play Me My Song dal vivo in luoghi suggestivi e ispirati. Non sarà facile, visto che soltanto un pianoforte acustico può restituire le sfumature armoniche di un disco del genere, non certo una tastiera digitale. Non solo, il piano recital solista è la formula di base, ma l’inserimento di alcuni ospiti dal disco, come è successo di recente al Teatro Del Sale di Firenze, oltre all’utilizzo di diapositive sul palco, sono sicuramente auspicabili. Invito tutti a seguire il sito www.gazzaraplaysgenesis.com (da cui è possibile anche l’acquisto di CD e LP via paypal) per eventuali news sui concerti dal vivo. Per il resto il 2015 sarà dedicato a un nuovo lavoro come Gazzara con brani originali e con una paletta sonora a 360°.
DR: Grazie, dunque, per questo nostro interessante incontro e buona fortuna per il tuo lavoro.
FG: Grazie a te!!!