
Intervista a Luciano Regoli, leader dei Raccomandata con Ricevuta di Ritorno
Dialogo con un protagonista indiscusso del migliore prog italiano
I Raccomandata Ricevuta di Ritorno fu un gruppo di rock progressivo di Roma che si affacciò sulla scena musicale della Capitale negli anni 1972/1973. La line up dell’epoca vedeva musicisti di ottima formazione musicale: Luciano Regoli, voce e chitarra acustica, Nanni Civitenga, chitarra acustica e elettrica 12 corde, Stefano Piermarioli, tastiere, Francesco Froggio Francica, batteria e percussioni, Manlio Zacchia, basso e contrabbasso e Damaso Grassi, sax tenore e flauto traverso.
Luciano Regoli, vocalist e anima creativa del gruppo, ha accettato di parlare con Psycanprog di quella esperienza.
Dino Ruggiero: I Raccomandata Ricevuta di Ritorno pubblicarono il loro primo album, Per… un mondo di cristallo, nel 1972, l’anno della loro formazione, ma tu avevi iniziato a suonare già prima con i Bubble Gum e con Il Ritratto di Dorian Gray: vuoi raccontare ai nostri lettori qualcosa di quel primissimo periodo
Luciano Regoli: Quello fu un periodo indimenticabile, per molti versi anche più interessante e divertente di quello passato sotto l’egida del progressive.
Gli anni immediatamente prima del 1970, prepararono i giovani musicisti delle band emergenti romane (e penso alle RIVELAZIONI, ai FIORI DI CAMPO, alle ESPERIENZE, alla CRISALIDE, ai FOLKS, al PUNTO), nomi che non ti diranno niente, ma pieni di musicisti che si stavano facendo le ossa sulle cover di gruppi inglesi e americani, e che avrebbero dato la struttura portante a tutto il progressive italiano, che stava per esplodere.
Nel 1969 militavo in un gruppo che si chiamava BUBBLE GUM. Il nostro chitarrista veniva dall’alta borghesia romana, mentre io, il batterista e il bassista facevamo parte del proletariato. All’epoca pochissimi di noi viaggiavano all’estero, e chi tornava dall’Inghilterra o dall’America, portava le primizie su vinile, che nell’Italia dei Gianni Morandi e delle Rita Pavone ci erano precluse. Il nostro chitarrista un giorno portò in sala prove, il primo disco dei Led Zeppelin e il Crazy World of Arthur Brown. Buttammo giù un repertorio pazzesco, dal vivo facevamo fuoco e fiamme. Cominciammo da Roma e finimmo per girare un po’ in tutto il centro Italia, e una bella notte di Capodanno, spediti per suonare a Sulmona, ci bloccò la neve sulle montagne d’Abruzzo (poiché le autostrade costavano e quindi si facevano i passi).
Passammo tutta la notte, invece che nel locale dove dovevamo suonare, all’addiaccio sotto due metri di neve, con la benzina finita, a digiuno, senza riscaldamento, i lupi che ululavano, e una bottiglia si cognac che ci scolammo durante la notte, fino alle prime luci dell’alba, quando arrivò uno spazzaneve e liberarci da quel tormento e da quella paura. Arrivammo il giorno dopo, e suonammo il pomeriggio senza paga per rimediare al danno fatto al locale. E buttammo tutta l’energia dei nostri venti anni su quel concerto che fu memorabile.
Ho parlato dei BUBBLE GUM perché è un pezzo della mia giovanissima vita che non dimenticherò, come non dimenticherò l’humus di quegli anni impregnati di forza, vitalità, spirito di sacrificio, passione per la musica e la vita.
Proprio una sera che suonammo a San Lorenzo a Roma al Boite Club, conobbi Claudio Simonetti, che suonava dopo di noi. Alla chitarra aveva quello che sarebbe diventato il futuro chitarrista storico di Zucchero, con cui tra l’altro sto collaborando per un suo disco di prossima uscita: Mario Schilirò.
Con Claudio ci capimmo al volo e mi chiese se volevo entrare nella sua nuova band, che stava facendo con Walter Martino e Fernando Fera. Io portai Roberto Gardin alla chitarra, così suonavamo con due chitarristi senza basso e venne fuori un sound così aggressivo che diventammo una delle band più forti dell’area romana.
Si viveva sempre in quell’humus di cui parlavo prima. Ora però qualcosa cambiava, c’era un certo fermento discografico che si muoveva e concertoni tipo Woodstock casareccio. Partecipammo al Festival di Caracalla nel 1971 e anche lì facemmo un figurone, mio fratello filmò tre minuti di concerto in super8 e Claudio lo registrò addirittura con un vecchio registratore a nastro. Purtroppo la registrazione negli anni andò perduta e questo è un vero peccato perché il RITRATTO DI DORIAN GRAY era una bella rock band giovane e cattiva, che aveva iniziato a comporre brani originali, e riarrangiava e sconvolgeva le cover.
Divenimmo amici dei FOLKS, che avevano suonato l’anno prima con Jimi Hendrix al teatro Brancaccio, e di notte ci alternavamo a suonare al Titan Club di Roma allora famosissimo.
Io credo che quegli anni ’69-’70 furono formidabili per la musica italiana a venire. Avrebbero dato i musicisti, i produttori, i manager, i tecnici e i discografici deli anni ’70, ’80 e ’90.
Valerio D’Onofrio: L’idea di un concept album che parla di un’astronauta che torna su una Terra distrutta da una guerra nucleare è davvero interessante, di chi fu l’idea? La scelta era anche segno di una visione pessimistica dell’umanità?
Luciano Regoli: La mia visione pessimistica rispetto all’umanità è sempre stata presente, e credo che abbia influenzato i testi di Marina Comin che essendo più grande di noi aveva anche più esperienza rispetto alle cose della vita.
L’idea del concept fantascientifico nacque dalla fertile mente del nostro manager Pino Tuccimei, che poi fu anche l’inventore del nome della Raccomandata con Ricevuta di Ritorno. Marina Comin trasse da questa prima idea tutte le situazioni che spiegano la storia dell’astronauta (IL NULLA che trova al suo ritorno, SU UNA RUPE osserva i disastri dell’umanità, L’OMBRA delle paure che avanza minacciosa, ecc).
Dino Ruggiero: In Italia proprio in quei giorni si stava affermando prepotentemente il progressive di importazione anglosassone e molti gruppi si misuravano con i nuovi stilemi di quella corrente che prenderà sempre più forza negli anni successivi. Quali erano i vostri punti di riferimento in quel periodo?
Luciano Regoli: Il prog italiano e quello romano in particolare nacque anche da una serie di shock positivi che ci vennero inferti dai musicisti di Albione all’inizio dei ’70.
All’improvviso a noi che eravamo a dieta da sempre, ci arrivò fra capo e collo una serie di concerti formidabili al teatro Brancaccio che ci annichilì e ci esaltò allo stesso tempo.
I primi furono i JETHRO TULL. Ricordo nel buio della scena Jan Anderson che da solo, illuminato dalla luce di un cannone, eseguiva l’inizio di My God, e improvvisamente dopo che gli altri musicisti gattoni nel buio, avevano preso la loro posizione, esplosero insieme ai suoni e alle luci. Formidabili!
Poi ci stesero gli YES. Ricordo che dopo tre ore di suono continuo, come loro sanno fare, senza momenti di pausa, eravamo esausti, e molti di noi nel teatro dormivano distesi in terra nei corridoi. Una strage. Da allora si susseguirono decine di nomi illustri, ma quello che mi esaltò fu Arthur Brown all’Olimpico. Saremmo stati una cinquantina a sentirlo, ma nessuno lo dimenticò più quel concerto furiosamente pazzo e psichedelico (e chi aveva mai visto roba del genere!).
I musicisti erano completamente truccati e mascherati, Arthur era vestito nella metà destra da Mago Zurlì, e nella metà sinistra in frac. Con la barba fatta e i capelli corti a sinistra, e a destra lunghi fino al culo e con la barba lunga.
Quando si girava e dava la destra era un uomo dell’800 e quando si girava a sinistra sembrava il diavolo. Erano tutti completamente sotto LSD e a concerto finito non lasciarono il palco ma iniziarono a bere e a sbracarsi con le loro donne. Un vero casino! Gli OSANNA devono molto a quella performance, anche il BATTIATO prima maniera, con le sue batterie elettroniche. Come potevamo noi rimanere insensibili a tutta quella esplosione di creatività? Ed è per questo che i musicisti italiani ci provarono anche loro e con ottimi risultati. Dopo aver visto loro!
Iniziarono a moltiplicarsi le vostre partecipazioni ad importanti eventi dell’epoca, per citarne alcuni: il 1° Festival di Villa Pamphili, nel 1972, il Palasport di Roma, il Festival Pop di Palermo, e persino al Piper, il tempio della musica della capitale. Un momento davvero felice e voi eravate tutti giovanissimi… parlaci di quella magnifica atmosfera, di quel momento così intenso per la creatività musicale del nostro Paese.
Il periodo più bello e fecondo della mia vita si avverò in quei tre o quattro anni. Avevamo tutto ciò che ci serviva. La gioventù (vent’anni appena), la passione, la musica, le ragazze che ci correvano dietro, i tour faticosi e stressanti sì, ma le risate si sprecavano.
Avevamo il nostro primo bassista della RRR che era alto due metri e cinque centimetri, vestiva come un vichingo con gli stivali di pelle fino al femore, i capelli e la barba lunghissimi, tutto dipinto in faccia florealmente e sempre sotto acido lisergico. Il flautista era invece un efebo di sedici anni, sempre sotto tutela lisergica del bassista. Poi c’era il “corvo” sempre alla ricerca di risolvere qualche malanno immaginario. Voleva dormire sempre con me e con la stanza rigorosamente al buio. I più normali eravamo io e li chitarrista. A Cerignola in Puglia andammo alla riscossione della nostra serata e trovammo il proprietario con la pistola sulla scrivania. Girammo i tacchi e salutammo. Al Festival pop di Palermo, fummo inviati dalla Fonit Cetra in pompa magna. Aereo, albergo di lusso, una macchina ci prendeva e ci scarrozzava dall’albergo alle prove al concerto ovunque volevamo. Suonammo e subito dopo di noi ci fu un casino pazzesco con gli autonomi che sfondarono i cancelli dello stadio e ci fu un fuggi fuggi generale.
I festival erano l’occasione per farci vedere dal vivo e noi non li mancavamo quasi mai. Tutti i gruppi si sentivamo amici veramente. Sapevamo di far parte di una cosa nuova e quindi c’era solidarietà. Noi divenimmo amici stretti con i PROCESSION di Torino, che furono gentili e ospitali con noi che rimanemmo quasi tre mesi ad incidere “Per…un mondo di cristallo”.
Di Villa Pamphili non ricordo quasi niente, poiché passai le due giornate sdraiato nel nostro furgone con una bella bimba.
Dino Ruggiero: Alcune fonti parlano di pressioni persino eccessive della vostra casa discografica per una partecipazione al Festival di Sanremo e che queste sarebbero state la causa del vostro scioglimento: quanto c’è di vero in tutto questo? C’è qualcos’altro che possiamo dire a distanza di così tanti anni sui veri motivi di quella separazione?
Luciano Regoli: Nella tarda primavera del 1974 incidemmo a Roma negli studi della Fonit il provino per Sanremo. La casa discografica aveva questa intenzione dopo il successo dei DELIRIUM l’anno prima allo stesso festival credo. Venne fuori un pezzo alla Mina, che cantai alla Mina. A dire il vero alcuni di noi si vergognavano di partecipare a Sanremo e ci dividemmo in fazioni con rissa finale nello studio. Quello fu l’ultimo giorno che ci vedemmo.
Nella piazzola di un’area di servizio sulla via Tiburtina, in una mesta serata di anticipata estate, ci salutammo e non ci cercammo più.
Io e Nanni Civitenga formammo subito i Samadhi e gli altri continuarono per qualche tempo a suonare con il nome della RRR, ma eseguendo solo repertorio jazz e reclutando esclusivamente jazzisti. Il vero motivo per cui ci sciogliemmo credo di fondo è che la RRR aveva due anime. La mia, scura e rock, e un’altra jazz, che non si fusero mai, se non per fare quell’incredibile unico disco che fu “Per…un mondo di cristallo”.
La colpa se non andammo avanti e avevamo tutte le carte e gli appoggi per farlo, fu solo nostra.
Dino Ruggiero: Parteciperai, successivamente, al supergruppo dei Samadhi, di orientamento jazz-rock, che tuttavia non riuscì a sfondare, sembra, per una cattiva politica della Fonit Cetra, che preferì lanciare altri interpreti: tutto vero? Vuoi toglierti qualche sassolino dalla scarpa?
Luciano Regoli: Me lo tolgo volentieri il sassolino.
Samadhi, fu un gran bel lavoro anche se era lontano dai miei gusti. Troppo pop-rock. Parteciparono grandi musicisti, fra tutti svettava il jazzista Stefano Sabatini.
Inspiegabilmente la Fonit Cetra ci dette carta bianca e mezzi che oggi se li sognano. Orchestra di 40 elementi, coro della RAI e poi spazio e tempo a volontà, mesi a Torino spesati. Io disegnai la copertina dell’album, e facemmo alcune prove per il live, e uscì fuori un vero Supergruppo, ma all’uscita del disco la Fonit latitò. Aveva puntato tutto sugli UNO, prodotti da Corrado Bacchelli e a noi ci liquidò con un silenzio inconcepibile dopo aver speso tutti quei soldi. Fu allora che decisi di abbandonare il mondo della musica (e lo feci per 13 anni) deluso e amareggiato. Mi chiamarono al telefono IL ROVESCIO DELLA MEDAGLIA, che cercava un cantante dopo Ballarini, poi Claudio Simonetti mi offrì un posto di cantante nei futuri GOBLIN, ma rifiutai e mi ritirai. Ero già nel mondo della pittura.
Dino Ruggiero: Negli anni successivi abbandoni il mondo della musica per dedicarti con successo alla pittura; ma negli anni novanta torni sulle scene musicali del nostro Paese con tre cd incisi con DGM e come produttore di docufilm, finchè nel 2010 fondi il progetto della Nuova Raccomandata con Ricevuta di Ritorno, pubblicando un nuovo album per l’AMS Vinyl Magic/BTF, Il Pittore Volante a trentasei anni di distanza dallo scioglimento della band. Quali sono le ragioni che ti hanno spinto a questo ritorno e quali le radici di questo nuovo progetto?
Luciano Regoli: Erano ormai quasi nove anni che dal progetto DGM mi occupavo solo della produzione della mia ex compagna cantante bravissima Cristina Cioni e di docufilm e della pittura ovviamente.
Osservavo sempre il panorama prog attentamente comunque e un bel giorno d’inverno davanti al caminetto decisi improvvisamente di riformare la mia vecchia Raccomandata con Ricevuta di Ritorno. Perché no? D’altronde c’era un certo interesse al vecchio prog. Provai a ricontattare i miei vecchi compagni, ma dopo varie vicissitudini solo Nanni Civitenga fu veramente convinto, e allora scelsi di coinvolgere tutti gli amici musicisti disponibili vecchi e nuovi in questa avventura che non fu certo facile. Non mi sono di sicuro pentito poiché ho partecipato a manifestazioni come Prog Exhibition, con Thijs Van Leer ospite e poi a Le Radici del Rock a Viterbo. Evito comunque per scelta di esibirmi nei locali. Non è più come una volta e diventa tutto un po’ triste. I festival invece sono sempre eccitanti.
Credo che “Il Pittore Volante” sia un ottimo lavoro, eseguito con la passione di sempre e proprio in questi giorni sono alla fine dei provini del nuovo album. Sette lunghi brani nuovi di zecca, che spero usciranno ma solo in vinile all’inizio del 2014, sempre per la AMS-Volomagico di Matthias Scheller.
Lo scorso anno a Viterbo la Nuova Raccomandata Ricevuta di Ritorno ha partecipato ad una fortunata manifestazione musicale: Le Radici del Rock: due giorni di rock progressivo! insieme con gruppi storici del progressive come PFM, Analogy, New Trolls, Osanna, Gianni Leone dei Balletto di Bronzo, The Trip, Banco del Mutuo Soccorso. Segno di un rinnovato impegno?
Il mio impegno è sempre cristallino. Purtroppo i tempi sono quelli che sono. Ci sono poche occasioni per suonare come piace a me, mi auguro che si torni ad una promozione del progressive italiano con più decisione e partecipazione. Io sono pronto.