
Intervista all’oboista e sassofonista Max Fuschetto
Max Fuschetto, oboista e sassofonista campano, con già all’attivo due album solisti, torna nel 2015 con il nuovo Sun Na, un bellissimo esempio di world music, cioè di musica capace di contenere in sè vari aspetti di mondi e culture totalmente differenti. Qui potete leggere una mia recensione. Oggi ho il piacere di conoscerlo e intervistarlo.
Valerio D’Onofrio: Ciao Max, complimenti per il tuo nuovo album. Sun Na è il tuo secondo lavoro, qual’è stato il tragitto che hai percorso per arrivare fin qui, la tua formazione musicale?
Max Fuschetto: E’ un percorso lungo che nasce in maniera casuale seguendo un mio amico che prendeva lezioni di pianoforte, prosegue con il conservatorio a Benevento e il conseguimento del diploma di oboe per poi prendere una direzione sempre più precisa verso quello che già da adolescente era l’interesse predominante: la composizione musicale. Da ragazzo ho fatto svariate esperienze: non dimenticherò mai il primo brano che ho suonato come oboista in una buona orchestra giovanile, quella dei corsi estivi di Lanciano; dieci giorni immersi dalla mattina alla sera nella realizzazione di Ma mere l’Oje di Ravel. Entrato in quella sorta di campana di Gauss timbrica è difficile uscirne…
Valerio D’Onofrio: Come è nata l’idea di Sun Na, cosa volevi dire di diverso rispetto ai tuoi lavori precedenti?
Max Fuschetto: In realtà il disco Sun Na contiene varie cose anche moto distanti. In Paisagem do Rio, la cui prima versione risaliva al 2000 ed era inserita in una trilogia costruita su delle varianti dello stesso motivo dal titolo A sud delle Nuvole, ripensavo alla bossa nova in una maniera mia, personale. In Si trendafile, l’unico traditional dell’album, ho preso un’antica melodia arberesh, che mi ha cantato per la prima volta la mia amica e cantante Antonella Pelilli, e l’ho riletta alla luce di un’armonia costruita su un scala difettiva che richiama il sud est asiatico e di un contrabbasso che volge al blues. Il mio desiderio era quello di sperimentare processi compositivi che avrebbero ridotto questa distanza facendo di Sun Na un luogo dalle coordinate sonore omogenee.
Valerio D’Onofrio: Leggo in una tua precedente intervista che hai cercato un difficile connubio tra il pensiero musicale di Bartok, Stravinskji, Debussy e quello delle tribù Ewe del Ghana, degli Aka Pigmei del centro Africa. Una missione ambiziosa, pensi di esserci riuscito?
Max Fuschetto: Al fine di non essere frainteso vorrei spiegare meglio questa mia affermazione.
Quando parlo di pensiero musicale parlo di approccio alla costruzione di brani musicali; di come cioè il pensiero, influenzato da varianti culturali, ambientali, individuali ecc., trova strade e modi espressivi originali.
Bartok ci ha insegnato che lo studio attento del materiale popolare può rinnovare in maniera inattesa il nostro vocabolario. Questo significa che, come Steve Reich ha detto in un’intervista rilasciata ad Enzo Restagno, “le fonti popolari vanno prese sul serio”. Di fronte alla musica africana, che ci consegna una differente concezione del tempo, del movimento delle masse sonore, del rapporto con la parola ecc. mi muovo o rimango in attesa come in un jardin féerique.
In questo senso dicevo che per me sono un tutt’uno, nel raccontarmeli li relaziono e nel realizzare musica spero mi diano lo stimolo per idee sempre nuove. Ma niente progetti ambiziosi, se non quello di realizzare qualcosa di interessante, il che non è sempre facile.
Valerio D’Onofrio: Non ho potuto fare a meno di notare che il tuo messaggio che cerca di unire mondi e culture diverse si scontri in modo abbastanza palese con i tristi eventi che riempiono i nostri giorni. Sbarchi, centinaia di morti in mare, fuga da guerre che creano, anche nelle fasce più povere della nostra società, una sorta di guerra tra poveri, una voglia di erigere muri piuttosto che costruire ponti, cercare più le differenze che le cose in comune. C’è speranza per un futuro diverso? La musica e l’arte in generale può aiutare?
Max Fuschetto: Non so, a me piace la diversità anche in termini biologici. Come non mi piace la “mela unica”, la monocultura della barbabietola da zucchero – come amaramente Levi-Strauss bollava la cultura agricola contemporanea – così anche il pensiero unico e via dicendo. Di certo nel conflitto la cultura dell’altro si annulla, nelle diaspore la ricchezza del pensiero e delle tradizioni si perde in gran parte. Propendo per la speranza anche perchè, da vicino, ciò che ci viene raccontato come bianco o nero in realtà si sfuma.
Nella striscia di Gaza la mancanza d’acqua sta diventando un elemento unificante, si lavora insieme per sopravvivere: l’altro è un essere umano. L’arte può offrire una via d’uscita e anticipare nuovi scenari come fa in molti casi. Grazie ai romanzi degli scrittori dell’area mediorientale ho scoperto qualcosa di più complesso e profondo nelle relazioni tra arabi ed israeliani.
Valerio D’Onofrio: Che musica ascolti preferibilmente?
Max Fuschetto: Un giorno ero in macchina, ho messo un disco di Pino Daniele. Mi veniva da piangere. L’ho tolto, l’ho rimesso. Ha continuato a commuovermi. Penso che Pino sia stato una delle anime più profonde e spontanee della nostra cultura.
In genere ascolto musica del Novecento: Ligeti, Feldman, il quartetto d’archi da Webern a Kurtag ecc. Oppure mi piace sprofondare nelle registrazioni sul campo realizzate nei quattro angoli del mondo; sempre più spesso ho bisogno di uno spazio musicale vuoto. Alcune espressioni musicali percussive del Sud Est asiatico ne sono un esempio.
Valerio D’Onofrio: Ci sono brani a cui sei maggiormente legato e perchè?
Max Fuschetto: Uno è Nuages di Debussy. E’ un brano che mi tiene sospeso. E poi è un continuo trascolorare, un processo compositivo che ho usato ad esempio nel brano n° 7 di Sùn Na’, Vibrazioni Liquide, nella cui versione solo strumentale questo è più evidente (è sul mio canale di You Tube con il titolo di Iride, a Paul Klee).
Poi c’è tutto il Sacre di Stravinskji; se dovessi definirlo mi da l’idea di un vecchio negozio affollato di orologi a pendolo e anche da torre che qualcuno ha caricato nei vari momenti della storia. Il vecchio Igor ne sapeva una più del diavolo, ecco perchè ha scritto quel capolavoro che è L’Historie du Soldat.
Valerio D’Onofrio: Che progetti hai per il futuro?
Max Fuschetto: La domanda più difficile… In realtà Sun Na l’ho completato nel 2014 e nel frattempo ho già scritto altra musica ma prima di trovare una strada per la pubblicazione già so che ritornerò su quello che ho scritto per prendere la gomma e tracciare delle linee bianche. Il nero che sopravviverà avrà il compito di emettere le giuste vibrazioni. Si spera “Good Vibration”.