
Intervista agli Unreal City (2015)
In occasione della pubblicazione di Il Paese del Tramonto intervistiamo gli Unreal City
In occasione della pubblicazione del secondo album degli Unreal City, intervistiamo tutti i musicisti della band. Gli Unreal City sono, per chi non li conoscesse, una giovane ma ormai affermata band di progressive che si ispira ai grandi gruppi del prog classico, in particolare a quel tipo di progressive dominato dal virtuosismo del tastierista, in questo caso Emanuele Tarasconi. Nel 2013 avevano pubblicato il loro primo album, La Crudeltà di Aprile, e nel 2015 ritornano con un album più maturo e complesso, l’ottimo Il Paese del Tramonto. La risposta alle domande è formulata insieme da tutti i musicisti del gruppo.
Formazione:
Emanuele Tarasconi: voce, piano, organo, mellotron, synth
Francesca Zanetta: chitarra elettrica, chitarra acustica, liuto
Dario Pessina: basso
Andrea Gardani: batteria
Valerio D’Onofrio: Ciao a tutti, ho ascoltato da poco il vostro ultimo album, Il Paese del Tramonto e non posso che farvi complimenti, ormai potete essere considerati davvero il miglior gruppo prog italiano nato negli ultimi anni. Cosa volevate trasmettere col nuovo album, cosa volevate creare di nuovo rispetto al vostro album d’esordio?
Unreal City: Il nuovo album parte, idealmente, laddove finiva il primo, cioè con quella suite (Horror Vacui) che vedeva nell’omicidio l’apice del processo di disumanizzazione promosso da un certo tipo di inarrestabile civilizzazione occidentale. Sempre con un omicidio si apre l’album, anche se di natura molto differente, trattandosi di quello che giuridicamente verrebbe chiamato omicidio passionale. Qui il vero protagonista è però il sogno che censura e rimuove l’atto omicida. La storia vede appunto il protagonista percorrere, lungo il fluire del sogno, le tappe che lo portano dapprima a prendere coscienza del suo gesto e in un secondo momento pagarne le conseguenze innanzi ad un tribunale che altro non è se non la trasposizione onirica dei suoi “resti mortali”, fino ad arrivare alla temuta condanna: la regressione ad uno stato pre-umano in cui la materia è perennemente indecisa se evolvere ad uno stato cellulare, biologico, vitale o persistere in forma di ente inanimato. Il Paese Del Tramonto è quindi una grande allegoria per indicare il sogno, il suo funzionamento, i suoi meccanismi.
Valerio D’Onofrio: Lo schema dell’album è simile a La Crudeltà di Aprile, cioè brani lunghi con suite finale, ma qui mi sembra che abbiate cercato di aggiungere maggiore complessità. Ci sono alcuni gruppi in particolare o anche alcuni album a cui avete pensato quando stavate scrivendo Il Paese del Tramonto?
Unreal City: Sicuramente, sia da un punto di vista concettuale che musicale “Il Paese Del Tramonto” è di gran lunga più complesso del primo disco, ci sono più temi e a nostro avviso meglio sviscerati, continue riprese e citazioni, volevamo dare l’idea di qualcosa di ricorsivo come può esserlo il lavoro del sogno. Gli album di ispirazione chiaramente non possono essere che le grandi opere rock entrate nella storia del rock, su tutti “The Wall” dei Pink Floyd per il tema del processo “interno”.
Valerio D’Onofrio: Ora vorrei farti due domande che forse non vi piaceranno. La prima riguarda una cosa che avevo notato sin dal vostro primo album. Una cosa che ho difficoltà a comprendere sono i vostri testi, davvero complessi, enigmatici e criptici. Da chi prendete ispirazione, quali sono le vostre letture preferite?
Unreal City: Come per quanto riguarda la musica, anche i testi vengono discussi e “arrangiati” in gruppo, pertanto anche se l’idea proviene da un solo componente, è naturale che essi assorbano influenze e caratteristiche anche di tutti gli altri. Non è una domanda spiacevole, tutt’altro: è chiaro che la scelta di adottare questo stile di scrittura sia volontaria, fin dall’inizio ci siamo posti come obiettivo quello di fare dell’interiorità della vita interna dell’uomo, di come esso elabora le esperienze, il nostro oggetto di studio artistico. Adottassimo uno stile di scrittura più trasparente verremmo meno alla prima regola che determina questa vita interna, cioè quella di essere solo in parte consapevole e chiara, ma per la maggior parte essa appare nebulosa, torbida, opaca. I nostri testi, a maggior ragione nel secondo disco, vogliono far nascere nell’ascoltatore il senso di spaesamento che si prova ad essere all’interno di un giuoco di cui non si sanno le regole.
Valerio D’Onofrio: Seconda domanda forse “spiacevole”. Siete ormai esponenti affermati di un prog italiano abbastanza classico e ben strutturato. Non credete che questo che oggi è un vostro punto di forza, che vi da riconoscibilità e una forte identità, un domani possa diventare un limite, una gabbia?
Unreal City: Per noi il prog non è una chiave per arrivare da qualche altra parte (anche perché, come giustamente osservi, inteso in questi termini sarebbe una ben misera chiave). E’ il linguaggio che abbiamo deciso di adoperare per trasmettere dei contenuti: se viene meno il linguaggio, il codice, i contenuti si perdono. Non riusciremmo, insomma, ad immaginare gli Unreal City che non facciano questo tipo di musica. I singoli componenti sicuramente, anche perché tutti noi ascoltiamo anche altri generi, ma non il gruppo. Rimane da chiedersi come mai si sia fatta questa scelta: perché il prog? E in questo caso la risposta sarebbe nettamente più complessa e destinata a rimanere aperta: Paradossalmente il prog è un genere talmente indeterminato da assicurare una libertà sconfinata, si presta a qualsiasi modifica, è malleabile alle esigenze attuali di chi lo esegue, è un genere estremamente proteiforme. Questo si applica alla perfezione alla sezione strumentistica. Ci viene detto molte volte che un nostro limite è l’utilizzo di strumenti “vintage”, e questo è un doppio sbaglio perché se da una parte gli strumenti che noi utilizziamo sono impiegati in moltissimi altri generi musicali (solo per citare due casi il mellotron abbonda in innumerevoli incisioni indie e gli strumenti della Moog music sono utilizzati a fiumi nel pop e della musica elettronica contemporanea) dall’altro il loro essere “vintage” è un problema solo di chi li considera tali, non certo degli strumenti in sé, che anzi offrono una libertà di azione, di espressività e di manipolazione inimmaginabile.
Valerio D’Onofrio: Emanuele, c’è un pianista del prog a cui ti rifai in modo maggiore di altri, che preferisci? E nella musica classica?
Emanuele Tarasconi: Nel prog, per quanto riguarda il pianoforte, il migliore e il più espressivo secondo me rimane Richard Wright, che è anche il mio tastierista preferito in senso assoluto, insieme a Wakeman e a Premoli. Per quanto riguarda l’organo Hammond, Emerson e Smith regnano insieme a Sinclair e Banton. Discorso diverso sarebbe da fare ancora per il Minimoog, del quale gli esecutori di punta, per quanto mi riguarda e all’interno del progressive rock, rimangono Rick Wakeman e Tony Pagliuca. Per la musica classica il discorso si fa più complesso, ma al di là dei nomi storici che non possono non essere incisi nella mente di qualsiasi pianista (Rubinstein, Gould, Bachaus, Horowitz, Benedetti Michelangeli), fra gli esecutori contemporanei i miei preferiti rimangono senza dubbio Zimerman e, in misura minore, Ashkenazy.
Valerio D’Onofrio: Cosa avete in programma per il 2015?
Unreal City: In Febbraio abbiamo cominciato il nostro tour europeo che si dipanerà lungo tutto il 2015 con due date molto interessanti ad Innsbruck e a Rotterdam. Soprattutto quest’ultima, organizzata in occasione del ProgFrog (festival prog organizzato presso il T’ Blok di Nieuwerkerk), è stata per una vera e propria sorpresa: un pubblico numeroso e calorosissimo, tantissimi apprezzamenti e un feeling con gli ascoltatori come solo avevamo provato lo scorso anno, durante la nostra data a Québec City in occasione del Terra Incognita Festival. Nell’immediato, abbiamo altre date in Europa ad Aprile, precisamente ad Anversa (Belgio), Chiasso (Svizzera) e si stanno programmando ulteriori concerti in Germania, Francia e UK. . Nella grande città più vicina a noi, Milano, purtroppo non è presente nemmeno un locale dedicato ad una programmazione progressive rock seria e disinteressata. Il tour promozionale del disco purtroppo per ora prevede solo una data italiana, in quel meraviglioso posto che è il Club Il Giardino di Lugagnano di Sona (Verona), per il Verona Prog Festival 2015. Avevamo già suonato al Giardino lo scorso anno e per l’occasione avevamo presentato due brani che sarebbero stati incisi ne “Il Paese Del Tramonto” e fu una splendida serata.
Valerio D’Onofrio: Visto che siamo a Psycanprog, potete farci i nomi dei vostri album preferiti di rock psichedelico, rock progressivo e Scena di Canterbury?
Unreal City: Per il Rock Psichedelico non potremmo che citare il meraviglioso The Piper At The Gates Of Dawn dei Pink Floyd, seguito a ruota da altri capolavori quali A Saucerful Of Secrets e More degli stessi Floyd, i primi due dei Velvet Underground, Surrealistic Pillow dei Jefferson Airplane, Magical Mystery Tour e il Sgt. Pepper dei Beatles.
Per quanto riguarda il Rock Progressivo ci riesce impossibile citarne solamente uno, ma sicuramente album come Wish You Were Here e Animals dei Pink Floyd, Tarkus e Brain Salad Surgery degli ELP, Fragile e Close To The Edge degli Yes, Pawn Hearts e H to He Who Am The Only One dei Van Der Graaf Generator, In The Court Of The Crimson King, Red, Lark’s Tongue In Aspic e Lizard dei King Crimson, Minstrel In The Gallery e A Passion Play dei Jethro Tull sono in cima a tutte le nostre classifiche.
Per quanto riguarda la scena di Canterbury sicuramente Third dei Soft Machine, a parimerito con altri capolavori quali il primo degli Hatfield And The North, In The Land Of The Grey And Pink dei Caravan e You dei Gong.