
Intervista a Stefano “Lupo” Galifi, storico cantante dei Museo Rosenbach
Dialogo con uno dei più importanti protagonisti della stagione d'oro del progressive italiano.
Oggi siamo davvero orgogliosi di poter dialogare con lo storico cantante dei Museo Rosenbach, Stefano “Lupo” Galifi, una delle migliori voci del periodo d’oro del progressive italiano. Con la sua voce forte e possente ha contribuito in modo decisivo alla perfetta riuscita di Zarathustra, album unanimemente considerato tra i migliori in assoluto di quella stagione musicale.
Dino Ruggiero: Sono passati quarant’anni dallo storico album dei Museo Rosenbach, Zarathustra: vuoi raccontarci qualcosa di quell’esperienza e di quel particolare momento della musica italiana di cui voi avete fatto parte?
Stefano Galifi: Suonavo il rhytm and blues a Genova; il mio repertorio era centrato su James Brown e Wilson Picket. A volte facevo cover dei Chicago. Pit Corradi abitava anche lui a Genova ma suonava in un gruppo di Bordighera che stava tentando di registrare del materiale inedito. Una sera mi chiese se volevo provare ad inserire la mia voce blues nel genere che lui e i suoi compagni provavano. Per curiosità andai e ci trovammo bene. In poco tempo il sound si formò e il Museo tentò la carta dell’incisione. Il materiale fu registrato su una cassetta e Alberto (Moreno) lo portò alla Ricordi. Per fortuna interessò e dopo poche settimane entravamo in sala. Una bella emozione!
Dino Ruggiero: Etichettati come gruppo di destra per i riferimenti a Friedrich Nietzsche, per l’immagine di Mussolini sulla copertina di Zarathustra, doveste subire severe contestazioni da parte di altri gruppi politicamente orientati e persino dalla RAI, che non mise in onda i vostri lavori. Vi fu persino preclusa la partecipazione anche ad alcuni festival. Vuoi dire, a così tanti anni di distanza, una parola definitiva sull’argomento?
Stefano Galifi: Non hanno letto bene il commento che avevamo inserito nella copertina. In quegli anni un busto di Mussolini colpiva di più delle parole. Aggiungi la copertina nera e Nietzsche come argomento e ti autorizzo a pensare che siamo stati degli ingenui.
Dino Ruggiero: Avete tentato alcune volte, almeno secondo le cronache, di riunirvi, di tornare a formare un gruppo: cosa ha ostacolato questo progetto, anche dopo che le contestazioni si erano affievolite ed i tempi cambiati?
Stefano Galifi: Non abbiamo più tentato di riunirci. Ciascuno di noi ha fatto altre cose e ci siamo un po’ persi anche come frequentazione. Passavano gli anni e ogni tanto ci chiamavamo ma non c’era l’intenzione di ricominciare ….fino al gennaio del 2012… quando mi è stato proposto dai miei vecchi amici di cantare per loro Zarathustra. Io ero con il Tempio delle Clessidre ed avevamo in repertorio tutto il disco del Museo. Ho pensato che fosse una buona idea musicale e un’ottima occasione per ritrovare passate emozioni.
Valerio D’Onofrio: Oggi tutti gli appassionati del progressive italiano hanno la certezza che Zarathustra sia uno dei migliori album italiani di prog. Fu così anche quando uscì o è stata una riscoperta tardiva?
Stefano Galifi: Il casino dell’equivoco fascista non ci ha aiutato. Le critiche musicali erano state positive ma il disco non lievitò finchè i giapponesi lo ristamparono nel loro Paese. Da quel momento l’interesse cominciò a crescere; il lavoro fu ascoltato senza paraocchi ideologici e piacque.
Valerio D’Onofrio: Di chi fu l’idea di dedicare l’album a Nietzsche, qualcuno di voi lo studiava all’università o qualcosa del genere?
Stefano Galifi: L’album non era dedicato a Nietzsche. Assolutamente! Si ispirava ad un’opera di Nietzsche dalla quale erano stati presi alcuni momenti non politici. Il Rovescio della Medaglia aveva fatto La Bibbia e questo non voleva dire che la band fosse una fondementalista cristiana. Il responsabile della scelta del tema fu Alberto Moreno che aveva composto buona parte della musica e studiava Nietzsche all’università. Aggiungo però che il Museo era più interessato all’aspetto musicale cioè al sound. Quello fu il concept sul quale costruimmo allora la nostra musica.
Valerio D’Onofrio: Avevate rapporti o amicizia con altri gruppi italiani, hai qualche aneddoto da raccontarci?
Stefano Galifi: Nell’ambiente musicale di Genova conoscevo quasi tutti; c’era molto movimento in quegli anni. Spesso succedeva che si andava a sentire le prove di questa o quella band nelle cantine. Ci si trovava negli stessi bar o locali. Seguivo i New Trolls… i Jet (futuri Matia Bazar), I Delirium, I Garybaldi….
Dino Ruggiero: Avete partecipato allo storico evento del Festival di Villa Pamphili del 1974, che svoltosi in epoca pre-digitale, ha lasciato pochissime testimonianze?
Stefano Galifi: Non abbiamo partecipato a quell’evento. Abbiamo suonato a Napoli in un Festival rock ma nel giugno del 1973…se ben ricordo. Festival delle Nuove Tendenze. Mi hanno già fatto questa domanda su villa Pamphili ….forse dovevamo partecipare …bah.
Dino Ruggiero: L’ho chiesto perchè un vostro brano è presente in un cd commemorativo dell’evento. Vuoi parlarci dell’esperienza fatta con Il Tempio delle Clessidre?
Stefano Galifi: Un’esperienza utile ma passata.
Dino Ruggiero: Nel 2012 una nuova formazione del Museo Rosenbach con i componenti storici Galifi, Golzi e Moreno insieme a Sandro Libra,Max Borelli, Fabio Meggetto e Andy Senis ha realizzato un CD intitolato Zarathustra – Live in studio. Nel 2013 questa formazione è tornata in studio per un nuovo album intitolato Barbarica: ce ne vuoi parlare?
Stefano Galifi: Barbarica è stata una bella sorpresa! Quando gli altri della band mi hanno fatto sentire i provini mi sono subito accorto che potevo “cantare” al meglio. Nel “Respiro del pianeta” sono ritornato nelle vesti di Zarathustra: interrogo gli oracoli. Lo spirito della Terra; negli altri brani ho cercato di rendere quella drammaticità di cui avevano bisogno. Mi sono trovato bene anche con gli arrangiamenti di chitarra così grintosi e rock. Quando canto tutto il nostro attuale repertorio cioè Zarathustra e Barbarica di seguito ho l’impressione di interpretare una storia unica. Questo mi sembra il pregio maggiore di Barbarica.