
Intervista a Daniel Knox
Daniel Knox è diventato in una manciata di anni uno dei più interessanti cantanti statunitensi contemporanei, un crooner atipico che parla di decadenza e sfrutta i toni del grottesco e del malinconico. Ha iniziato con due album, Disaster (2007) e Evryman for Himself (2009), che dovevano far parte di una trilogia sul nascere e crescere a Springfield, Illinois. A sorpresa nel 2015 ha invece pubblicato l’omonimo Daniel Knox, secondo noi di PsyCanProg l’album più interessante dell’anno. Lo abbiamo intervistato, per parlare di David Lynch, il terzo album della trilogia e la decadenza della provincia americana.
Antonio Silvestri: Non è facile per me descrivere l’atmosfera del tuo ultimo album. L’ho trovato onirico, emozionante e leggermente tenebroso, con una incredibile capacità di parlare di tristezza in maniera peculiare e contemporanea, scansando i cliché. Persino l’ombra della morte sembra dolce e stupenda in canzoni come Blue Car e High Pointe Drive. C’è una sorta di ambiguità, che negli album precedenti è presente in canzoni grottesche come Armageddonsong, e che qui sembra più subdola. Come descriveresti questa ambiguità, se esiste? Quale ruolo hanno tristezza e morte nel tuo ultimo disco?
Daniel Knox: L’ambiguità è sicuramente un elemento importante. Molto del disco parla di com’è crescere a Springfield, IL. Ricordo di aver fatto molte conversazioni immaginarie con il me stesso adulto o con un me stesso immaginario quando ero bambino. Molte delle canzoni presenti in questo album sembrano essere la parte mancante di quelle conversazioni che avviene, mettendo assieme i pezzi di quello che rimaneva di quei dialoghi. Alcune sono più dirette, come By The Vulture, ma altre canzoni sono come qualcosa che io stavo trascrivendo da qualcuno molto lontano che stava provando ad attirare la mia attenzione.
Quando tu pensi a una persona che urla da molto lontano (o lontana nel tempo) questo ti fa porre molte domande. Stanno provando a salutarmi? Gli conosco? Sono in pericolo? Mi stanno chiedendo di tornare indietro dove sono loro o stanno provando a venire con me? La suspense di questo tipo di momenti è molto importante per me.
Se questo riguarda tristezza e morte, è qualcosa che lascio decidere all’ascoltatore. Sicuramente in questi brani ci sono persone ora morte, posti che non esistono più o che sono irrimediabilmente cambiati. Springfield oggi non è quello che era quando ero piccolo. Ma per me in questo non c’é tristezza. Io non guardo indietro qualche tipo di nostalgia per quei tempi e non penso a questo come a una specie di morte. La decadenza è molto più interessante della morte per me. Direi che gioca un ruolo molto più importante in quelle canzoni.
Antonio Silvestri: La prima era una domanda piuttosto complessa, lascia che la compensi con una più semplice: chi sono i tuoi cantanti preferiti? Sono gli stessi che hanno influenzato il tuo stile canoro?
Daniel Knox: I miei cantanti preferiti sono quelli che suonano più come loro stessi: Judy Garland, Al Jolson, Blixa Bargeld, Jimmy Scott. Io non tento di avere alcuno stile vocale. Provo solo a portare la mia voce durante il canto a somigliare quanto più mi è possibile alla mia voce durante il parlato.
Antonio Silvestri: Ho letto in un’intervista che apprezzi i lavori di David Lynch, che io considero uno dei più creativi e peculiari registi viventi. Pensi che ci sia una connessione fra la tua musica e il suo modo di fare film e raccontare storie strane, contorte e imprevedibili?
Daniel Knox: Quando stavo crescendo i film di Lynch e la loro musica sono state probabilmente la cosa più importante della mia vita. La più grande lezione che ho appreso dal suo lavoro è l’astrazione. Le sue storie e immagini lasciano molto all’immaginazione. Ha più interesse nella domanda che nella risposta.
Negli ultimi anni ho scritto molte canzoni che riguardano Springfield, IL e com’è crescere là, ma ho provato a scriverle più possibile al di fuori della mia esperienza personale. È diventato interessante per me guardare a tutto questo dal punto di vista di qualcuno che passava davanti al mio giardino, rispetto a guardarle come me le figuro nella mia testa. Penso che questa sia la cosa più vicina a una risposta alla quale possa giungere. Io penso che l’abilità di Lynch di investigare un luogo e un modo di vivere focalizzandosi sul mistero invece di spiegarlo in ogni suo elemento sia una grande parte di me.
Antonio Silvestri: Mi sembra che il tuo ultimo album parli della decadenza contemporanea, lontana dalle grandi tragedie come gli attacchi terroristici o i grandi conflitti bellici e piena invece di eventi quotidiani delle persone comuni, come l’incredibile Incident At White Hen. Pensi che la società americana stia vivendo un periodo di decadenza? Perché è così importante focalizzarsi sulla vita quotidiana?
Daniel Knox: Non mi sento qualificato per parlare dell’American Experience, solo della mia American Experience. Non mi considero una persona particolarmente informata o impegnata su quel livello. Non so se viviamo in un periodo di decadenza e se questo possa avere importanza. Penso che le persone si sentano perse. Io so di sentirmi così. Guardo indietro a Springfield e al crescere in quel posto ed è un posto che conosco. Mi è familiare. Io sono quel che sono per la mia esperienza in quel posto. Ma quando stavo lì mi sentivo un alieno. Non sentivo nessun orgoglio o attaccamento alle radici, solo confusione totale.
Credo che io tenda mitizzare e parlare ossessivamente dell’ordinario per questo motivo. Le grandi storie e le grandi affermazioni sono per tutti gli altri. Le storie che io voglio raccontare sono piccole e inconcluse. Sono più interessato a quello che c’è nel giardino di qualcuno più che a quel che si dirà quando saranno morti.
Antonio Silvestri: In Incident At White Hen parli di un incidente stradale mentre in 14 15 111 si possono sentire rumori del traffico e l’opener dell’album si chiama Blue Car: cosa c’è che ti ispira nelle automobili?
Daniel Knox: Io detesto guidare in città ma adoro guidare in generale. Penso che guidare sia il modo migliore per ascoltare musica. Faccio la maggior parte dei miei pensieri migliori in auto quando sono in giro e sinceramente molti dei miei migliori ricordi riguardano me seduto nei sedili posteriori mentre i miei genitori guidavano.
Antonio Silvestri: Dopo il tuo splendido terzo album, stiamo attendendo il prossimo, Chasescene, che sembra essere quasi pronto. Spero non ti dispiaccia se ti chiedo altre informazioni al riguardo: quando sarà pubblicato? Sarà più simile ai tuoi primi due album, Disaster e Evryman Fro Himself?
Daniel Knox: Chasescene è finito ma deve essere mixato e masterizzato. Potrei anche aggiungere una cosa o due se lo deciderò. Sto prendendo tempo perché ogni canzoni di quell’album è una delle mie preferite. Ne sono molto orgoglioso. L’ultima canzone di Evryman Fro Himself riguardava la fine del mondo. Chasescene riparte da dove finiva quella canzone. Il mio album omonimo è stato pubblicato come una sorta di tattica dilatoria per poter spendere più tempo a finire Chasescene. Questo [Chasescene] è l’album che noi siamo andati a registrare in studio, e lo abbiamo fatto, ma abbiamo anche registrato queste altre cose [l’album Daniel Knox] che in qualche modo erano una cosa a parte e non potevano essere ignorate. Si muovevano velocemente, sembravano vivere di vita propria.
Chasescene è qualcosa che ho iniziato a scrivere più o meno quando uscì il mio primo album Disaster. È sempre stata la logica conclusione della trilogia che iniziò con Disaster e Evryman For Himself. Rimangono solo tre canzoni di quelle originali. Ho scartato alcune cose e ricominciato molte volte. Ho persino scritto una delle canzoni pochi giorni prima di entrare in studio.
C’è ancora del lavoro da fare. Principalmente voci aggiuntive, stranezze e finali, e parte del mixing. Ma posso dirti che uscirà quest’anno, e ne sono assolutamente orgoglioso.
Antonio Silvestri: Cosa pensi della musica contemporanea? Puoi raccontarci cosa stai ascoltando negli ultimi mesi e il tuo album preferito del 2015, se ne hai uno?
Daniel Knox: Non sono molto informato su quello che accade, onestamente. Molte delle mie scoperte sono cose che sono in giro da molti anni. Mi è piaciuto molto l’album di Father John Misty [I Love You, Honeybear] e l’album di John Southworth, Niagra. Molte delle cose che i miei amici mi consigliano o che postano sui loro profili Facebook è per me insopportabile. Il resto di quel che so sulla musica contemporanea deriva da quello che ascolto nei taxi e nelle tavole calde.
Antonio Silvestri: Vorrei concludere l’intervista ringraziandoti per il tempo che ci hai dedicato e per la tua gentilezza, chiedendoti se possiamo sperare in un paio di concerti in Italia nel 2016.
Daniel Knox: Sono sicuro che sarò in Italia quest’anno. Sono impaziente.
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