
Cinque domande sui King Crimson a Francesca Zanetta
Approfondiamo la discografia dei Re del progressive rock con una musicista che li ha amati profondamente
Oggi dedichiamo la nostra rubrica delle cinque domande a quello che probabilmente è il più grande gruppo progressive di tutti i tempi, i King Crimson. Ne parliamo con Francesca Zanetta, chitarrista del gruppo di progressive italiano Unreal City, che oltre a suonare prog da anni (nonostante sia giovanissima), mi ha mostrato in vari colloqui di avere una conoscenza molto approfondita del rock progressivo italiano ed europeo.
Valerio D’Onofrio: Ciao Francesca, i King Crimson sono forse il principale gruppo di musica progressive della storia. A che età li hai conosciuti e quale album hai ascoltato per primo? Quanto hanno influito nei tuoi gusti e nella tua formazione musicale a differenza degli altri gruppi classici (Yes, ELP, Genesis, Gentle Giant, ecc)?
Francesca Zanetta: Ciao Valerio! Credo di aver conosciuto i King Crimson intorno ai 15 anni con In The Court Of The Crimson King, disco che è tutt’ora tra i miei preferiti, insieme a Red.
Sicuramente il mio background musicale è significativamente influenzato dai King Crimson e in particolar modo dischi come In The Court e In the wake of Poseidon, i quali con le loro atmosfere sognanti hanno influito moltissimo sui miei gusti musicali fino ad oggi.
Credo che sia proprio l’atmosfera fiabesca dei primi King Crimson ad avermi impressionato maggiormente; se degli ELP ho sempre amato la magnificenza e la sinfonicità e dei Gentle Giant le complesse armonizzazioni strumentali e vocali, dei primi KC apprezzo le atmosfere, gli ambienti, lo sfondo narrativo e musicale che permea tutto il loro modo di fare musica, e che rimane costante in tutta la loro produzione.
Valerio D’Onofrio: Esordiscono nel 1969 con uno strumento rivoluzionario, il mellotron. In The court of Crimson King è in effetti un album sorprendente, se si pensa al proto-progressive prodotto negli anni o nei mesi precedenti, Nice, Procol Harum, Moody Blues, tanto per dirne alcuni, si ha la sensazione di un passo in avanti enorme. Secondo te quali sono state le vere novità apportate da Fripp?
Francesca Zanetta: Il Mellotron è uno strumento magnifico e mi piace veramente molto. Tuttavia non penso sia questo il vero discrimine fra In The Court e gli album proto-prog. Credo che la differenza sia proprio di natura musicale e culturale. Nei Nice e nei Moody Blues si assisteva per la prima volta ai primi esperimenti di contaminazione (che già potevano essere intravisti in alcuni azzardi strumentali beatlesiani, come i flauti sul finale di “You’ve got to hide your love away” da “Rubber Soul”), ma con i King Crimson c’è stata forse per la prima volta la seria e decisa intenzione di mescolare le carte in tavola, proporre un prodotto che fosse multi-influenzato e multi-determinato. Difficilmente si riesce a distinguere il “momento sinfonico” dal “momento jazz rock” dal “momento psichedelico”: tutto è mescolato in modo estremamente sapiente, senza banalizzazioni o stereotipi musicali. Certo, il Mellotron è usato in modo significativamente differente rispetto alla produzione dei Moody Blues: qui, per la prima volta, c’è la volontà di renderlo uno strumento a se stante e non più solo il surrogato di una sezione archi, di una sezione di fiati o di un flauto. Devo dire che il Mellotron è uno strumento che particolarmente adoro, non a caso da qualche tempo con il mio gruppo, gli Unreal City, dal vivo suono un secondo mellotron, per arricchire il suono e dare più ariosità ai passaggi strumentali. La resa sonora di due mellotron con archi, brass e cori armonizzati è veramente impressionante.
Valerio D’Onofrio: Dopo una prima fase fiabesca, segnata anche dai poetici testi di Sinfield, i KC cambiano totalmente pagina. Island è un album molto diverso da In the wake of Poseidon e da Lizard, poi Fripp stravolge il progressive e crea una trilogia che non ha nulla di una fiaba ma è piuttosto un viaggio nell’incubo, Lark’s Toungues in Aspic, Starless and Bible Black e Red. La mia opinione è che, con questi album, Fripp abbia voluto terminare l’esperienza del progressive. In un certo senso voleva esserne il padre ma anche il carnefice. Sei d’accordo con questa opinione? Tra i due tipi di progressive, quello degli esordi e questo della seconda o terza fase ne preferisci uno?
Francesca Zanetta: Concordo nel modo più assoluto, soprattutto per quanto riguarda Red. Questo disco è l’esasperazione assoluta del principio per cui il prog doveva essere una bomba ad orologeria, un dispositivo mirato all’autodistruzione e ad una conflagrazione determinata al suo nascere. Col senno di poi, il retrocopertina di Red si rivela profetico: ad essere sul rosso è la lancetta di un barometro portato al di là del punto di non ritorno, di un’omeostasi non più recuperabile se non in modo falso, autoparodistico. Fripp è stato un genio non solo dal punto di vista musicale, ma anche storico: fin dagli esordi sembrava avere con una coscienza ben maggiore di altri su quello che era lo zeitgeist musicale del progressive, e a prova assoluta di ciò citerei la sua capacità di proporre, con l’uscita di Discipline, una nuova idea di Prog, scevra di vecchiumi che ormai erano diventati insopportabili. Con altri dischi da te citati c’è, allo stesso modo, ma a mio avviso meno violento, un’apertura verso altre forme musicali, il jazz per Island e Lizard o la sperimentazione percussiva à la Stockhausen in Lark’s: il tutto conduce idealmente a Red, e tutto Red conduce idealmente verso “Starless”, epitaffio assoluto, il simbolo dell’innocenza perduta del progressive rock della prima metà degli anni 70. Un capolavoro assoluto della storia della musica moderna.
Valerio D’Onofrio: Quale album preferisci tra quelli dagli anni ottanta ad oggi?
Francesca Zanetta: Discipline. Credo che sia stato una scelta quanto mai azzardata ma, in un periodo storico in cui la maggior parte dei grandi gruppi prog degli anni 70 si stavano buttando verso qualcosa di più easy listening, Fripp ha deciso di produrre un album quanto mai innovativo, è questo deve essere apprezzato anche al di la del contenuto musicale dell’album. Detto questo, sia Elephant Talk che Discipline/Indiscipline sono pezzi assolutamente splendidi, nonostante la loro complessità. In generale, confesso di preferire notevolmente altre loro “vite”, come quella dei primi album o quella posteriore alla trilogia di Discipline.
Valerio D’Onofrio: Cosa rimane dei KC tra i gruppi che oggi suonano progressive? Si può davvero pensare di suonare progressive senza conoscere molto bene la discografia dei KC? Non faccio questa domanda a caso perchè spesso noto che tra i musicisti c’è spesso un’ignoranza sorprendente. Ho conosciuto musicisti autodefinitisi di prog che conoscono solo i Dream Theater, che non hanno idea chi sia Demetrio Stratos e forse anche lo stesso Fripp.
Francesca Zanetta: Assurdo, a mio avviso è praticamente impensabile. La cultura è alla base della produzione in qualsiasi campo, nella musica come nella scrittura e in tutte le altre discipline artistiche e scientifiche. Se si parla di progressive, poi, è quasi d’obbligo avere una cultura anche di altri generi musicali, come la musica classica, il jazz, il blues: è quasi un’ovvietà sostenere che per suonare un genere che di per sè è il vertice risultante dall’incontro di una molteplicità di stili occorra conoscere le basi di tutti questi, i loro sviluppi, le loro vicessitudini i loro percorsi. In tutti questi si possono quindi trovare dei “punti di svolta”: artisti, correnti, album, gruppi che diventano un background irrinunciabile a chiunque venga dopo di loro. Senza dubbio, i King Crimson e Robert Fripp sono uno di questi punti di svolta.