
Cinque domande sui Third Ear Band ad Antonello Cresti
Approfondiamo la storia di uno dei gruppi più originali della storia del rock britannico e mondiale, i Third Ear Band.
Continuiamo la nostra rubrica di approfondimento musicale con Antonello Cresti, scrittore, storico della musica e musicista. Dopo aver discusso di psichedelia britannica oggi parliamo di uno dei gruppi più originali della storia del rock. Nati alla fine degli anni sessanta nella scena della controcultura londinese (si esibivano nel mitico UFO di Londra), hanno creato una musica tanto sperimentale, tanto da potersi definire unica e probabilmente irripetibile, quanto tradizionale, nel senso di un fortissimo attaccamento del fondatore Glen Sweeney alla propria terra e alle sue tradizioni. Anche la scelta degli strumenti indica un desiderio di creare una sorta di avanguardia tradizionalista. Stupisce molto l’ascolto di una fusione di atmosfere orientali e occidentali che non sembrano nascere nei pressi del freddo Tamigi ma piuttosto nelle calde acque del Gange. Per chi volesse approfondire è consigliato l’ottimo blog di Luca Ferrari http://ghettoraga.blogspot.com.
Valerio D’Onofrio: Bentornato Antonello. Ascoltare per la prima volta i Third Ear Band fa subito comprendere la loro unicità e forse irripetibilità. La loro collocazione è tanto complessa che nel tuo libro, Fairets Isle, li inserisci in un capitolo che chiami Paria, gli inclassificabili, dalla parola indiana “Fuori Casta”. Non si ascoltano chiari riferimenti al progressive, alla psichedelia e forse nemmeno al rock in genere. Anche parlare di folk è troppo generico. La musica appare fin da subito straordinariamente colta. Da dove viene, a tuo avviso, il sound della Band del terzo orecchio?
Antonello Cresti: La risposta alla domanda potrebbe essere: dall’Inghilterra precristiana, dall’India, dal Tibet, dal mondo arcaico in genere, da Altrove…
Credo che l’idea, in un’epoca in cui non si parlava ancora di “world music” o di “celtic music”, fosse proprio quella di ricucire in una ottica molto visionaria le proprie radici primordiali con l’aspirazione a conoscere nuovi mondi, immaginati da un punto di vista spirituali, tutti figli della medesima tensione originaria. E’ un discorso rivoluzionario musicalmente e concettualmente molto meno disincantato di quanto si potrebbe pensare. Dunque come dici tu la TEB non si ispira ad uno “stile” musicale, ma piuttosto ad una idea sonora.
Valerio D’Onofrio: Anche il nome del gruppo lascia spazio a varie interpretazioni. Quale ritieni sia quella esatta?
Antonello Cresti: Direi che l’allusione piuttosto chiara è al “terzo occhio”, un concetto che compare in diverse tradizioni mistiche e che allude alla “porta” che conduce all’interno di mondi interiori e spazi di coscienza superiore. Dunque come il “terzo occhio” è una via di accesso a dimensioni altre e più sottili, così anche il “terzo orecchio” deve per forza essere la capacità di captare suoni, frequenze non appartenenti alla comune realtà fenomenica. Forse una allusione alle vibrazioni planetarie e alla “Musica delle sfere”, per citare anche un testo di misticismo sufi?
Valerio D’Onofrio: I Third Ear band nascono dalla mente del percussionista Glen Sweeney. Sai dirci qualcosa di lui, era un hippie? Che formazione musicale aveva?
Antonello Cresti: Sweeney, che non è più tra noi da alcuni anni, musicalmente era un batterista di impostazione jazz piuttosto mediocre. Credo che la sua forza sia stata proprio fare leva sui suoi non eccelsi mezzi per creare una sintassi ripetitiva percussionistica (una sorta di versione ritmica delle composizioni di Terry Riley) e, soprattutto, cercare di tradurre i musica i suoi numerosissimi interessi che spaziavano dalla controcultura, alla filosofia orientale, alla magia etc… A fine anni sessanta l’Inghilterra è letteralmente investita da una forma di revival spirituale di massa e moltissimi giovani si avvicinano alle tradizioni spirituali extraeuropee, soprattutto indiane. Naturalmente, come spesso accade, per molti si trattò solo di suggestione culturale, ma per altri, Sweeney compreso, non fu così. Direi che potremmo affiancare le sue sensibilità a quelle dell’ambiente che si coagulò attorno alla rivista “Gandalf’s Garden”, una sorta di ala esoterica della psichedelia made in UK, sulle cui pagine si potevano trovare articoli sul druidismo e su Crowley (…allora ancora non ne parlava nessuno) affiancati a recensioni musicali. Non a caso la TEB era sempre indicata assieme a Quintessence, Beatles e pochi altri, come “artisti prediletti di riferimento”!
Valerio D’Onofrio: La scelta della strumentazione è sorprendente, oboe, violino, violoncello, tabla. Gli strumenti sono rigorosamente acustici, solo dalla colonna sonora del Macbeth appaiono i primi strumenti elettrici. Sai come furono accolti al loro esordio al mitico UFO Club di Londra?
Antonello Cresti: Le prime apparizioni all’UFO Club vedono Sweeney assieme al sassofonista Dave Tomlin esibirsi col nome Giant Sun Trolley. I loro concerti, similmente a quanto faceva Riley, duravano spesso dalle tre alle sette del mattino ed impegnavano gli ascoltatori con interminabili brani dalle variazioni minime o del tutto assenti. Uno dei titoli sopravvissuti a quel periodo, “Eternity in D”, direi che è piuttosto evocativo… Molti fuggivano dal locale, altri invece ne approfittavano per “viaggiare” o per farsi un riposino cullati dalla musica dal vivo. Stiamo parlando di un altro mondo rispetto ad oggi, purtroppo!
Valerio D’Onofrio: Esiste un collegamento tra Third Ear Band ed esoterismo od occultismo?
Antonello Cresti: Direi che sono pochi i gruppi di quel periodo che possono vantare un legame così forte e saldo con esoterismo ed occultismo. Molto spesso, come dicevamo, si trattava di suggestioni basate sul sentito dire o su qualche sparuta lettura, ma raramente affiorava una volontà di ricerca così determinata. Certo, c’erano artisti, come Donovan, che avevano un effettivo interesse per certe materie, ma la loro ricerca era, per così dire, più “settoriale” e meno universale. Un altro hippe che, credo,potesse competere con Sweeney su questi argomenti era Daevid Allen, di lì a poco leader dei Gong, ma tali interessi non sono stati travasati in maniera così esplicita nelle sue composizioni.
Valerio D’Onofrio: Nella loro musica esiste una fortissima influenza della musica orientale, un orientalismo colto, introspettivo. Vedi differenze con quello americano?
Antonello Cresti: Ci sono tantissimi dischi statunitensi che adoperano la sintassi orientale o indiana per creare opere di contaminazione sonora, a volte anche per “effettismo” à la page. In misura minore ciò avvenne anche in Regno Unito (si pensi ai tanti album strumentali guidati dal suono del sitar che, di fatto, precorrevano la goa trance). Occorre valutare caso per caso, ovviamente, tenendo però conto del fatto che l’Inghilterra, almeno riferendosi all’India, partiva avvantaggiata da una passata esperienza coloniale che già aveva prodotto numerosi effetti di fascinazione letteraria e culturale in genere.
Valerio D’Onofrio: Chiudo citandoti una frase di Piero Scaruffi che credo meriti un approfondimento. “Il loro merito principale fu quello di usare queste ispirazioni (unire la musica orientale e occidentale) come elementi per coniare un nuovo linguaggio, un linguaggio che ambiva ad essere universale (e quindi non soltanto un collage di linguaggi) anche se finì per essere così astratto da rappresentare una Metafisica per pochi eletti.” Condividi?
Antonello Cresti: E’ evidente che quando parliamo di TEB parliamo di un gruppo di nicchia, anche e soprattutto per il genere musicale, molto radicale, prescelto. Però c’è da dire che in termini di influenza quella esercitata dagli album della Third Ear Band è davvero immensa. E ritroviamo tracce del loro percorso in decine e decine di formazioni sperimentali dagli anni settanta ad oggi, ovunque. Basti pensare ai nostri Aktuala che furono capaci di declinare in maniera “mediterranea” la lezione di Sweeney e soci, ma potrei fare molti altri esempi, anche recenti. Dunque credo che, in definitiva, la nicchia degli ascoltatori della Third Ear Band non sia poi così ristretta come si vorrebbe immaginare…
Le altre puntate di Cinque domande a.
Antonello Cresti: La psichedelia inglese.
Antonello Cresti: Third Ear Band
Antonello Cresti: Black Widow
Michele Pizzi: L’esordio di Frank Zappa, Freak Out!
Antonello Cresti: Claudio Rocchi
Antonello Cresti: Il periodo sperimentale di Franco Battiato