
Cinque domande sui Tangerine Dream a Matteo Meda
In occasione della recente scomparsa di Edgar Froese ripercorriamo alcune tappe salienti della storia dei Tangerine Dream e della Kosmische Musik.
Pochi giorni fa ci ha lasciati Edgar Froese, musicista dei Tangerine Dream, geniale innovatore, sperimentatore estremo e prototipo dei corrieri cosmici. Vogliamo ricordarlo e ripercorrere la sua carriera con Matteo Meda, redattore di Ondarock, che da anni è ormai un punto di riferimento per tutti gli appassionati di musica elettronica.
Valerio D’Onofrio: Pochi giorni fa ci ha lasciato Edgar Froese, storico membro dei Tangerine Dream. Come vuoi ricordarlo alla luce anche della sua carriera solista?
Matteo Meda: Con una sua frase: “Non c’è morte, soltanto una variazione del nostro indirizzo cosmico”. Credo riassuma bene quel che era Froese musicalmente e ad un livello più strettamente personale – pur non avendolo io certo conosciuto di persona.
Valerio D’Onofrio: I Tangerine Dream sono stati i creatori e i massimi esponenti della musica cosmica, musica estremamente sperimentale, a tratti addirittura pionieristica. Quali sono stati gli elementi più innovatori e quali invece i suoi limiti, se a tuo parere ne ha avuti.
Matteo Meda: L’unico limite dei Tangerine Dream a mio parere è un disco a loro contemporaneo, “Irrlicht” di Klaus Schulze. La dimostrazione che era possibile raggiungere il cosmo anche attraverso strutture in apparenza più convenzionali, tradizionali, ma proprio per questo ancor più ardite, eppure decisamente più pregnanti da un punto di vista emotivo/percettivo. Se i Tangerine Dream illustravano il cosmo, Schulze lo faceva percepire. Ma parliamo comunque di livelli altissimi, di confronti fra pezzi di storia che forse non andrebbero nemmeno fatti e che non prescindono dal gusto personale. Per quel che riguarda gli elementi innovatori, semplicemente non si contano. La parabola che va da “Electronic Meditation” a “Ricochet” è la sequenza emblema del passaggio con cui l’elettronica si mette al servizio del disegno artistico, diviene mezzo espressivo e non fine di una ricerca, utilizzato consapevolmente e per scelta. Nessuno ha saputo disegnare il cosmo come loro nella trilogia “Alpha Centauri”-“Zeit”-“Atem”, da tre angolazioni diverse per giunta, complementari. Nessuno prima di “Electronic Meditation” aveva osato portare la free form così lontano dalle destrutturazioni collettive del free-jazz, e nessuno l’aveva comunque fatto seguendo una precisa direzione, agendo con fare scientifico e non provocatorio. La coppia “Phaedra”-“Rubycon” poi rappresenta un bagaglio di synth music che è tutt’oggi il punto di partenza dei soundscape di moltissimi artisti, appartenenti agli ambiti sonori più disparati, dal rock all’elettronica melodica, dallo space-pop a certe forme di techno. E l’elenco sarebbe ancora lungo… “Ricochet” infine è una lezione con cui tutti coloro che abbiano mai suonato dal vivo con i sintetizzatori si sono dovuti confrontare a lungo.
Valerio D’Onofrio: La nascita della musica cosmica non è stata immediata, nella sua genesi rientra addirittura un personaggio come Salvador Dalì che Edgar Froese ha conosciuto, rimanendone folgorato, nel 1966. I primi album dei TD sono però definiti da alcuni Floydiani. Sei d’accordo con questa definizione? E qual’è a tuo avviso il primo album di vera musica cosmica?
Matteo Meda: Non c’è praticamente nulla a mio modo di vedere che assimili Pink Floyd e Tangerine Dream. Background diversi – la psichedelia britannica da un lato, l’avanguardia elettronica tedesca e la free-form dall’altro – approcci diversi (spontanei i primi, scientificamente calcolatori i secondi), obiettivi diversi (i Floyd delle origini erano una band che suonava, come molte, per diletto, i TD si presero sul serio già dalla prima volta in cui Froese e Schulze si conobbero). Qualcuno potrebbe pensare ad una comune origine hippie/freak: ma i Tangerine Dream non ebbero mai a che fare con gli Amon Duul e la comune tedesca, non per lo meno al momento di elaborare la loro proposta artistica (a differenza di molti contemporanei, Ash Ra Tempel in cima). Potrebbe darsi che qualche passaggio di “Electronic Meditation” ricordi a qualcuno le fasi più estreme di “Interstellar Overdrive”, ma credo le ragioni siano da individuare nella coincidenza di un clima culturale che all’epoca era diffuso in tutta Europa – e i TD non furono mai, nemmeno nelle loro prove più aliene, estranei a ciò che li circondava. Questo è anche quell’unico elemento che può accomunare i trip da LSD di Barrett e i viaggi nel cosmo dei TD. Poi paradossalmente c’è un punto in cui TD e Floyd (quelli della fase di mezzo, dopo “Dark Side Of The Moon”) si incrociano, che è “Cyclone” del 1978, disco atipico dei TD con cui Froese cercò di dare una svolta ad un periodo di sostanziale declino creativo. Ma quest’intersezione è fra i TD meno cosmici della prima fase e i Pink Floyd ormai lontani dalla psichedelia.
Il primo disco di musica cosmica, a mente e per data d’uscita, credo possa essere considerato “Affenstunde” dei Popol Vuh, l’unico ad uscire nel 1970 e ad essere più “cosmico” di “Electronic Meditation” (1969). La one-man-band di Fricke per altro non eccelse a parer mio nell’ambito stretto dei viaggi nel cosmo, tanto che nel giro di soli tre anni avrebbe svoltato radicalmente – e a dir poco proficuamente – verso uno spiritualismo mistico. Si veda in tal senso il capolavoro “Hosianna Mantra”, altro disco influentissimo e oggi purtroppo da molti dimenticato.
Valerio D’Onofrio: Considerando anche gli album solisti di Schulze, degli Ash Ra Tempel, figli diretti dei TD, qual’è il tuo album preferito della Kosmische Musik e perchè?
Matteo Meda: “Irrlicht” di Klaus Schulze. Per il semplice motivo che se i Tangerine Dream e la loro trilogia hanno reso per primi possibile una visione autentica del cosmo in musica, e gli Ash Ra Tempel ne hanno trasmesso i contrasti in maniera ineguagliabile, Schulze è stato l’unico a sfondare l’oblò dell’astronave, a trovare una via d’accesso percettiva.
Valerio D’Onofrio: Sei da anni un vero cultore della musica elettronica contemporanea. Qual’è il lascito dei TD ai musicisti elettronici di oggi e c’è un’artista contemporaneo che ti sembra maggiormente debitore della loro musica?
Matteo Meda: L’elenco che dovrei farti qui è sconfinato. Praticamente tutta l’elettronica odierna deve qualcosa – per ragioni tecniche, sonore, creative o anche per tutte queste insieme – ai primi lavori dei TD e alla stagione della kosmische tedesca. Senza i TD probabilmente non ci sarebbero stati i Kraftwerk, e senza i Kraftwerk non ci sarebbe probabilmente stata gran parte di quella che oggi chiamiamo elettronica: basti dire questo. Poi negli ultimi anni è nato un movimento particolare che sta riportando in auge la synth music in senso specifico: un filo che origina negli anni Novanta con i Radio Massacre International, e arriva all’oggi con – un nome su tutti – i recentemente scioltisi Emeralds. Tutta musica di qualità eccezionale, che dimostra quanto le intuizioni di Froese e soci restino attualissime e imprescindibili.