
Cinque album del 2020 consigliati da Vittorio Nistri
Il 2020 è stato un anno difficilissimo per i musicisti. In tutto il mondo locali storici di musica dal vivo hanno chiuso e chi non ha chiuso rischia il fallimento. Come vedi il futuro della musica dal vivo, dei locali e in generale dei musicisti?
I Deadburger non vivono di sola musica, ma molti nostri amici e collaboratori si, e sappiamo bene che periodo terribile stanno attraversando. Il mio augurio a tutti i professionisti della musica (musicisti a tempo pieno, locali, fonici, roadies, promoter, ecc) è di riuscire a tenere duro, ancora per un pò. Dopo tanti patimenti, credo che arriverà per loro un periodo largamente positivo, non appena finirà la maledizione del virus.
Penso infatti che, quando potremo tornare a una esistenza non distanziata, ci sarà una grande richiesta di eventi collettivi (concerti e manifestazioni e spettacoli di ogni tipo). Più in generale: dopo oltre un anno di (semi) clausura e privazioni, chiunque potrà permetterselo (cioè, chi avrà ancora la possibilità economica di spendere qualcosa per il proprio piacere, e non solo per sopravvivere) sarà letteralmente famelico di locali, spettacoli, cinema, mostre, ristoranti, negozi, viaggi, ecc.
“Adda passà a nuttata”, diceva Eduardo de Filippo nel finale di ‘Napoli Milionaria’. Per coloro che riusciranno a passarla, arriveranno giorni migliori.
Nel frattempo, i professionisti dello spettacolo hanno ogni ragione a protestare per la scarsa considerazione che le misure governative hanno mostrato verso il loro lavoro. E ancora devo capire perché i negozi di dischi siano stati obbligati alla chiusura e non equiparati alle librerie; come se la musica fosse cultura di serie B.
Quest’anno abbiamo scoperto novax, nomask, sembra che la verità non esista più in assoluto, nulla ha più alcuna autorevolezza. Che idea ti sei fatto?
La situazione che descrivi è frutto dell’epocale mutazione antropologica arrecata dalla connessione permanente e dai social. Il discorso è troppo vasto e sfaccettato per poterlo affrontare in questa sede, per cui mi limito a 3 osservazioni fatte al volo (tralasciandone, per ragioni di spazio, tantissime altre non meno rilevanti):
1) Nei social hanno la stessa possibilità di parola, su un qualunque argomento, chi di tale argomento è esperto (magari perché, dopo averlo studiato per 6 anni, ci lavora a tempo pieno da 20) e chi non ne sa niente (salvo aver letto una volta un post di pincopallino). Raziocinanti e balordi, responsabili e irresponsabili, informati e disinformati, onesti e manipolatori, tutti nel medesimo calderone. Chi è davvero interessato alla verità, deve sobbarcarsi la fatica di cercare di distinguere le fonti attendibili dalle cazzate e dalle menzogne; ma questo richiede tempo ed energie, e pochi sono disponibili a farlo.
2) Il web può essere utilizzato in tanti modi, ma non c’è dubbio che la modalità più diffusa sia quella che premia la velocità rispetto alla ponderazione, e la quantità di stimoli rispetto alla loro qualità. Si passa da un input (che sia una notizia di cronaca o un brano musicale, un video, un meme ecc) ad un altro, rapidamente e incessantemente, senza mai soffermarsi troppo su alcuno. Questa disincentivazione all’approfondimento sta modificando i nostri meccanismi percettivi, cognitivi e decisionali. Sui social, la velocità di reazione conta più della sua fondatezza. Insulti e dichiarazioni d’odio raccolgono più like, e portano via meno tempo, rispetto alla fatica del capire e dell’argomentare. Gli orientamenti su grandi e complessi problemi politici e sociali vengono sempre più frequentemente determinati sulla base di reazioni immediate e “di pancia” (a beneficio di chi ha imparato a innescare e manipolare tali reazioni).
3) E’ un’epoca di grande omologazione comportamentale. Legioni di esseri umani sono accomunate dal dilagante “individualismo di massa”, per il quale non si sentono parte di una classe sociale o di una comunità o di una collettività, ma solo e unicamente individui. Al ripiegamento ossessivo nella dimensione dell’io hanno contribuito tante cose, tra cui, per menzionarne giusto un paio, la deregulation del lavoro (con conseguente sparizione della solidarietà tra lavoratori), e l’inganno epocale per il quale dovremmo essere social mentre stiamo da soli di fronte ad uno schermo. Ciò premesso… poiché non è gratificante pensare a sé stessi come parte di una massa indistinta (oltre a tutto, una massa che, proprio perché composta da monadi autoriferite, ha abdicato alla possibilità di diventare parte attiva nei cambiamenti sociali)… molte persone reagiscono cercando di autoconvincersi di “non essere come tutti gli altri”. Da qui il proliferare degli “apoti”, quelli che “non se la bevono”, che vogliono sentirsi depositari di verità che a tutto il resto del mondo sfuggono. Credo che questo meccanismo possa spiegare una percentuale non piccola dei negazionisti. Scommetto che, se proponessimo a un gruppo di no mask di respirare per 30 secondi il fiato di un malato di Covid in cambio di cento euro, pochi di loro accetterebbero la proposta e la banconota. Proprio perché, per non pochi di loro, il negazionismo risponde più al desiderio di sentirsi “fuori dal gregge” che non a una vera convinzione. (Non mi sembra così facile riuscire a convincersi sul serio che la malattia sia un’invenzione propugnata in simultanea dai governanti di tutto il pianeta Terra, per arricchirsi…. deprimendo i consumi dei governati).
Per inciso, questi temi sono ampiamente presenti nelle canzoni e nel booklet de ‘La Chiamata’ della Deadburger Factory. Non a caso, il booklet si apre con una citazione della canzone “The Age of Self” di Robert Wyatt.
Parlami dei tuoi 5 album
1) PATRIZIA OLIVA – “Celante”.
E’ targato “Setola di Maiale” uno degli album italiani più originali del 2020. La coraggiosa e storica etichetta di Stefano Giust di solito si occupa di avant jazz e impro radicale, ma stavolta ha pubblicato un lavoro davvero inclassificabile. Patrizia propone una reinvenzione in chiave sperimentale del canto a cappella, con uno spirito avantgarde che in certi punti mi ha fatto venire in mente il Wyatt di “End Of An Ear”. Ma allo stesso tempo, questo è un album di compiuto – benchè inusuale – songwriting. Per la prima volta Patrizia si è cimentata come autrice di canzoni, e lo ha fatto con grande ispirazione.
Il mio brano preferito è quello posto in apertura, “Larila”, magico e magnetico.

Fiona Apple -Fetch the Bolt Cutters
2) a pari merito, FIONA APPLE “Fetch the bolt cutters” e MILITARY GENIUS “Deep web”.
Due riusciti esempi di canzone d’autore con istanze sperimentali.
Se dovessi sceglierne uno solo, dovrei dire Fiona (il cui successo nelle playlist di fine anno mi sembra pienamente giustificato). Il suo album ha un livello qualitativo più costante, mentre quello di Military Genius (aka il canadese Bryce Cloghesy Hildebrand) mi pare più discontinuo.
Il che non toglie che certi suoi brani mi abbiano lasciato il segno. Considero la sua “Focus” una delle canzoni più belle e “immersive” dell’anno.
3) AAVV – “Kaleidoscope: New Spirits Known And Unknown”.
Questa raccolta a cura della Soul Jazz Records è una frizzante fotografia della nuova scena jazz inglese, sempre prodiga di stimoli. I brani che mi sono piaciuti maggiormente sono quelli di:
– The Cromagnon Band (il jazzrock basato su riff geometrici che nei ‘70s fu dei Soft Machine di Six e dei Nucleus viene rivitalizzato e portato altrove da un rhodes distorto come una chitarra doom e arpeggi di moog dal sapore Ozric Tentacles, mentre il drumming è al guado tra hiphop e motorik kraut. Wow!);
– Hector Plimmer (che non è uno strumentista jazz ma un DJ; il suo brano peraltro è puro e scintillante acid jazz, di stampo minimale e futurista);
– Theon Cross (afrobeat anfetaminico e schizzato, con un uso pazzesco della tuba, strumento che di solito non amo particolarmente ma che Theon sa rendere travolgente);
– Matthew Halshall & the Gondwana Orchestra (una proposta meno “moderna” rispetto alle altre, ma con un piglio da Keith Tippett Group che incanta);
– infine, Ishmael Ensemble, presenti con un brano cameristico e cinematico, melodico (ci sento uno spleen quasi Radiohead) e sospeso (tra post rock e ambient), ma allo stesso tempo inquieto e sottilmente deviante, con il plus di un uso della batteria creativo e inaspettato.
Non conoscevo nessuno degli artisti che ho citato. Mi hanno intrigato e mi sono ripromesso di cercare i loro lavori; ed è proprio a questo che dovrebbe servire una compilation.

AKSAK MABOUL – “Figures”
4) AKSAK MABOUL – “Figures”
Dal Belgio arriva un tuffo nella acque spumeggianti che furono del Canterbury Sound. La band di Mark Hollander (patron della benemerita Crammed Discs), dopo 29 anni di silenzio (interrotti solo da ristampe di vecchie registrazioni rimasti inedite), si ripresenta a sorpresa con un doppio album contenente 22 brani nuovi di zecca, che ripropongono, con inattesa freschezza, il sound canterburiano più policromo.
Vorrei segnalare che il 2020 ci ha portato anche altre due gemme di sound canterburiano: l’italiano HOMUNCULUS RES “Andiamo in giro di notte e ci consoliamo nel fuoco” (col valore aggiunto di testi surreali e intelligentemente ironici nella nostra lingua), e MARY HALVORSON’S CODE GIRL – “Artlessly falling” (un lavoro dalla marcata componente avant-jazz, dove la Halvorson si conferma chitarrista e compositrice di vaglia; ospite in tre brani l’amato Robert Wyatt).
5) GIOVANNI SUCCI – “Fuori di testo” (collana).
Qua non si tratta di un singolo album bensì di una collana di EP, realizzati e pubblicati (solo come files digitali) con cadenza mensile da Succi dei Bachi da Pietra. Acquistabili non separatamente, ma solo con abbonamento annuale: paghi una tantum 50 euro, e per un anno Succi ogni mese ti invia qualcosa di nuovo. (Il prezzo peraltro include anche l’accesso illimitato a tutti i suoi album solisti precedenti).
Ogni EP affronta un poeta o uno scrittore, contemporaneo o classico, e ne musica alcuni testi in chiave non cantautoriale ma prettamente sperimentale. Le scelte sonore cambiano ad ogni EP, così che ogni mese attendo con curiosità la nuova release, perché non so mai cosa mi aspetterà.
Tra i tantissimi musicisti che hanno rilasciato musiche realizzate durante i lockdown, l’iniziativa di Succi è quella che mi è sembrata più originale e coraggiosa. Aggiungo che, alla luce della grande quantità di brani e del loro costante livello di interesse, il costo dell’abbonamento è a mio avviso pienamente giustificato e meritato.
Questa è la mia cinquina. Altri tre titoli che segnalo volentieri:
SHACKLETON & ZIMPEL – “Primal Forms”. Shackleton è alquanto prolifico, eppure i suoi album sono sempre diversi e ricchi di stimoli. Non fa eccezione questo intrigante dialogo tra il suono acustico del clarinetto e l’elettronica.
GHOSTPOET – “I grow tired but dare not fall asleep”: negli anni ’90 seguivo con passione il trip hop, in seguito però mi sembrò che nell’ambito fosse subentrata una certa routine, e me ne disinteressai. A riconciliarmi col trip hop è giunto quest’album, il migliore nel suo genere in cui mi sia imbattuto da parecchi anni a questo parte.
THE THIRD MIND – “s/t”: l’album psichedelico che mi è piaciuto di più in un anno un pò avaro per questo ambito. Il brano di apertura, “Journey in Satchidananda”, è stato il mio trip preferito del 2021.
Concludo invitando coloro che hanno la disponibilità di farlo a non limitarsi ad ascoltare i dischi in rete, ma ad acquistarli. E possibilmente non su Amazon, ma dall’etichetta, o dall’artista, o in un negozio fisico.
Acquistare l’opera di un artista che ci piace è cosa buona e giusta sempre, in qualunque tempo, ma lo è ancora di più oggi: è l’unico modo concreto che abbiamo per aiutare il mondo della musica ad affrontare le grandi difficoltà arrecate dal blocco dei concerti.
Mettere un like ad un artista è bello, e certamente gradito all’artista, ma da solo non basta ad aiutarlo ad andare avanti. Come rimarca Giovanni Succi in una recente intervista, “ci ho provato a pagare la spesa mostrando i miei like, ma la commessa non li ha voluti. Nemmeno il gommista, quelli per lavorare vogliono proprio i soldi. Dimmi a che punto siamo arrivati”. E aggiunge: “se non compri il tuo biscotto preferito, ma ti limiti a dire ‘mi piace’, prima o poi non lo troverai più sullo scaffale. Non lo ha tolto il Male, lo ha tolto uno che non riusciva a venderlo e a un certo punto ha messo altri biscotti. Noi tutti pesci piccoli faremo questa fine, senza alcuna sorpresa, si vedeva chiaramente già da prima. Succede perché il pubblico decide quello che deve esistere”.
Cerchiamo, per quanto ci è possibile, di decidere nel senso giusto.