
Cinque album del 2018 consigliati da Vittorio Nistri
Continuiamo ad occuparci dei migliori album dell’anno con Vittorio Nistri, mente creativa dello storico gruppo italiano dei Deadburger.
I suoi album sono:
- LUCA COLLIVASONE – “Vostra Signora Del Rumore Rosa”
- THE YOUNG MOTHERS – “Morose”
- REVEREND BEAT MAN & THE NEW WAVE – “Blues Trash”
- DANIEL BLUMBERG – “Minus”
- MAISIE – “Maledette Rockstars”
Valerio D’Onofrio: Ciao Vittorio, anche quest’anno abbiamo il piacere di incontrarti per conoscere i tuoi album preferiti dell’anno. Credo che il 2018 sia stato per te un anno ricco di impegni, numerose collaborazioni, immagino anche il lavoro continuo per il nuovo futuro lavoro della tua creatura, i Deadburger, e chissà quante altre cose che potrai raccontarci.

Vittorio Nistri
Vittorio Nistri: Ciao Valerio. Si, ti confermo che, lentamente ma instancabilmente, tutti i progetti cui sto lavorando dall’uscita de “La Fisica Delle Nuvole” procedono. Quelli cui ho dedicato più tempo nel 2018, e che dunque sono maggiormente prossimi alla conclusione, sono il nuovo Deadburger a doppia batteria (il titolo sarà. “La Chiamata”), e l’esordio di “Ossi”, uovo progetto in duo con Simone Tilli. “Ossi” avrà lo spirito di un “cantastorie”, vedrà un uso non tradizionale di musiche della “tradizione” (rock garage/psych ed elettronica vintage), e lo abbiamo registrato con un trio di musicisti fenomenali: Appino, Dome La Muerte e Bruno Dorella.
Prosegue anche – ma è un lavoro complicato, e ancora lontano dall’arrivo – il restauro dei vecchi nastri della mia band degli ’80, gli Overload, che Goodfellas e Federico Guglielmi (che ringrazio, e che prego di pazientare per la mia lentezza bradipica) mi hanno proposto di ristampare su cd.
Poi ci sono le collaborazioni con alcuni gruppi e artisti che stimo molto: Maisie, Forbici di Manitù, Claudio Milano (il cui prossimo lavoro si chiamerà “Incidenti”, e sarà un maelstrom straordinario). Nel 2019 uscirà un album delle Forbici, “Tinnitus Tour”, che dovrebbe comprendere tre brani di Deadburger (feat. Forbici) registrati dal vivo alla Galleria di arte Moderna e Contemporanea di Viareggio, e una mia collaborazione ad un brano – sempre live – delle Forbici.
Devo dire che, restandone ogni volta sorpreso, continuo a ricevere messaggi da persone che hanno apprezzato “La Fisica Delle Nuvole” e che mi chiedono quando usciranno le nuove cose in gestazione. I miei tempi sono inconoscibili a me per primo, ma intanto, come piccolo gesto di ringraziamento a chi mi ha scritto, ho preparato alcune anticipazioni sui “lavori in corso”, che invierò loro privatamente questo Natale.
Valerio D’Onofrio: Come sintetizzeresti la produzione musicale del 2018?
Vittorio Nistri: La mia “top five” del 2018 è un tributo agli outsiders.
Ripensando ai dischi che ho più amato tra quelli usciti quest’anno, mi sono reso conto che sono tutti quanti, appunto, opera di outsiders. Artisti che probabilmente non saranno mai “famosi”, e non faranno mai “tendenza”. Dischi che non sono, né pretendono di essere, “pietre miliari” o “radicalmente innovativi”. E tuttavia, opere che sprizzano da ogni poro creatività, personalità, ricerca, passione. Al punto che mi sono trovato a riascoltarle più volte, traendone un piacere analogo a quello che mi hanno arrecato, nel corso degli anni, certi dischi ritenuti capolavori indiscussi.
Nel 2018 non mi sono imbattuto in album “definitivi” né innovazioni epocali, ma ho trovato tanta musica formidabile. E non credo che le due affermazioni siano in contraddizione.
Non ci si può aspettare che ogni anno, con la regolarità della revisione di una caldaia, arrivi un colpo di genio a sovvertire da capo a fondo la scena. Queste cose non “timbrano il cartellino”. Ma, anche in assenza di rivoluzioni fantasmagoriche, la creatività e l’immaginazione continuano a sgorgare, e ringrazio gli dei della musica perché questa sorgente, anno dopo anno, non smette di portare alle mie orecchie cose belle e appassionanti.
Valerio D’Onofrio: Parlaci delle tue scelte
Vittorio Nistri: Volentieri. Premetto che sono in ordine random: non ho una graduatoria di preferenza all’interno della mia “Top 5”. Sono album molto diversi tra loro, e per me sono tutti ex aequo.
Se me lo consenti, per ogni titolo vorrei linkare due o più brani, in modo che chi non conoscesse questi album, ma gradisse saperne di più, abbia modo di farsi una idea. E possibilmente, se troverà qualcuno di questi album di suo gusto come li ho trovati io, lo acquisti. Oggi più che mai è importante sostenere la scena.

LUCA COLLIVASONE – “Vostra Signora Del Rumore Rosa”
LUCA COLLIVASONE – “Vostra Signora Del Rumore Rosa”
Avvincente sperimentazione elettronica da parte di un sorprendente one-man-band italiano, che ha registrato l’intero album suonandolo “live in studio”, senza sovraincisioni… ed anche senza tastiere e senza computer. A chi volesse capire il suo modus operandi, che è uno spettacolo a vedersi oltre che a sentirsi, suggerisco questo video: https://www.youtube.com/watch?v=CeXuPoHOlvU.
A intrigarmi nella musica di Luca Collivasone non è solo la modalità performativa con la quale è stata creata, ma anche la qualità intrinseca delle composizioni, che hanno un senso emotivo ed una musicalità perfettamente compiuti. Nonché una godibilità immediata, come non capita spesso in ambito electro-sperimentale.
Di questo album vorrei linkare prima di tutto la TITLE TRACK, che mi fa venire in mente una versione “avant” dei Bachi da Pietra:
E poi “EVERYTHING ABOUT HER WAS A LIE”, il brano del video che ho postato sopra, e che anche su disco mi affascina. Mi ricorda i migliori Residents, senza peraltro assomigliare a nessun brano dei Residents!

THE YOUNG MOTHERS – “Morose”
THE YOUNG MOTHERS – “Morose”
La scena avant-jazz è per me una fonte continua di belle scoperte. Ci trovo un grande fermento, anche più che nella scena avant-rock. Come nel caso di questo album, che trabocca di creatività e fantasia.
E’ opera di un sestetto di jazzisti texani, capitanati da un bassista norvegese (Ingebrigt Håker Flaten, che già avevo ammirato nello splendido “The Cherry Thing” del 2012) . Bella paletta di colori: due batterie, basso, chitarra, sax e tromba. Uno dei batteristi suona anche il vibrafono; il trombettista si occupa anche di elettronica e rap.
Questa gente mette insieme jazz, rock e hip hop, non con una mera sovrapposizione di ingredienti (come accadeva nella “fusion”, che mi ha sempre lasciato indifferente), bensì con una compenetrazione totale di sensibilità e linguaggi. Il che fa suonare questo melting pot come la cosa più organica e naturale del mondo. Alcuni esempi:
ATTICA BLACK. Vocals hip hop, esplosioni free alla Art Ensemble Of Chicago, riff tonali di vibrafono, chitarre no wave… ingredienti che più distanti non potrebbero sembrare, e che invece confluiscono in un brano sorprendentemente coeso, dall’energia mozzafiato.
JAZZ OPPRESSION. L’universo dei progetti avant-metal di casa Tzadik condensato in una fiammata di due-minuti-due.
BODILESS ARMS frulla tappeti di puro feedback, un bel sax baritono catramoso, e uno splendido arpeggio quasi-folk di chitarra acustica, doppiato da un contrabbasso che “canta” (…e qua il cuore batte dalle parti della Charlie Haden Liberation Orchestra). Chapeau!

REVEREND BEAT MAN & THE NEW WAVE – “Blues Trash”
REVEREND BEAT MAN & THE NEW WAVE – “Blues Trash”
Adesso non si potrà più dire, come Orson Welles nel “Terzo Uomo”, che in Svizzera cinquecento anni di pace e democrazia hanno prodotto solo l’orologio a cucù!
Arriva da Berna questo folle predicatore psychobilly. Cinquant’anni portati male, e un gusto di merda nella scelta dei titoli (“the New Wave”, “Blues trash”), Ma… che discone! L’album di psichedelia più eccitante e appagante in cui mi sia imbattuto negli ultimi anni.
Il predicatore pazzo (che dal vivo fa cose tipo mimare di estrarre il cervello di uno spettatore, benedirlo e mangiarlo) ha alle spalle una vita di tour e registrazioni come one-man-band. Credo (anche se non posso esserne sicuro, non conoscendo altro della sua discografia) che questa sia stata la prima volta in cui si sia avvalso in studio di altri musicisti.
Il suo colpo di genio è stato coinvolgere, in un album garage-rock, musicisti provenienti da altri mondi. Ad esempio, un fisarmonicista bosniaco… o l’eccellente batterista jazz Julius Sartorius (l’unico che già conoscevo, avendo acquistato anni fa un suo album avant-impro di sole percussioni).
L’alto livello di scrittura dei brani del reverendo, unitamente ad un ensemble sottilmente ma costantemente deragliante rispetto all’ortodossia garage/psych, ha generato una raccolta di instant-classics della psichedelia contemporanea.

DANIEL BLUMBERG – “Minus”
DANIEL BLUMBERG – “Minus”
Il giovane cantautore inglese (27 anni, beato lui) ha realizzato un disco di canzoni sostanzialmente intimiste e delicate, coinvolgendo però musicisti del giro del Café Oto di Londra. Che è un club specializzato in artisti dell’area impro / avant / sperimentale.
L’essersi avvalso di musicisti provenienti da un mondo così diverso da quello del classico cantautorato si è rivelato fonte feconda di creatività (esattamente come è accaduto, in tutt’altro contesto musicale, al reverendo pazzo di Berna). A conferma che, in barba agli ultrà salviniani della “razza pura”, il meticciato è portatore di nuovi stimoli e nuove opportunità.
Un brano come questo “MADDER” centra un equilibrio miracoloso tra la dolcezza della melodia e le asperità avant più radicali.
Il brano che amo di più è “USED TO BE OLDER”, che secondo me non sfigurerebbe nel songbook dell’immenso Robert Wyatt. Il momento (verso 1.55) in cui il coro ad libitum iniziale, semplice e lieve come un canto di bambini, si apre improvvisamente ad una melodia struggente, mi commuove ogni volta che lo riascolto.

MAISIE – “Maledette Rockstars”
MAISIE – “Maledette Rockstars”A degno coronamento di una selezione di “outsiders”, ecco i Maisie, la “house band” di Snowdonia – per me, l’etichetta italiana outsider per eccellenza.
31 canzoni, per quasi tre ore di musica: un duplice mastodonte che ha coinvolto una legione di musicisti e cantanti, ma è prima di tutto lo specchio dei pensieri e dei gusti di Alberto Scotti e Cinzia La Fauci. Il cui estro emerge più che mai incontenibile: ciascuno dei 31 brani è un mondo a sé.
Alcuni di questi brani li ho trovati pienamente in sintonia con i miei gusti personali, ed altri meno, com’è inevitabile quando si ha a che fare con lavori così sfaccettati. Ma i brani che mi hanno “catturato” sono stati tanti e tali che questo doppio album è entrato con facilità nella rosa dei miei ascolti più frequenti nel 2018. Linko qua di seguito alcuni dei miei brani preferiti:
RUDERI E MACERIE. Puro dadaismo, con il grande Claudio Milano di Nichelodeon/Insonar che si produce in una interpretazione degna di Carmelo Bene.
WILMA E IL DIAVOLO. Parecchi brani di “Maledette Rockstars”, utilizzando una pluralità di cantanti ciascuno dei quali interpreta un determinato personaggio (regolarmente indicato nei credits), configurano un vero e proprio “teatro-canzone”. In questo ambito, ho apprezzato particolarmente “Wilma e il diavolo”, dove l’ironia (che in altri brani I Maisie spingono in direzione dell’umorismo grottesco) viene raggelata e trattenuta, in equilibrio perfetto tra neorealismo e surrealismo. Tra quotidiano e pazzia. Magari non era nemmeno nelle intenzioni dei Maisie, ma in questo brano io trovo echi di altri mondi, letterari e cinematografici: Monicelli che incontra Terry Gilliam, Bulgakov e Gogol’ che incontrano Foster Wallace.
UN PROGRAMMA POLITICO SINTETICO E INEFFICACE MA DIVERTENTE. John Zorn mi sembra il nume tutelare per l’aspetto sonoro di questo brano fulmineo e fulminante. Il testo invece non rimanda a niente altro che ad Alberto. E’ la quintessenza della sua ironia solo apparente, dietro la quale quasi sempre avverto una amarezza infinita. Riporto le liriche per intero: “La socialdemocrazia è morta. La democrazia è morta. Il comunismo non è mai nato. Il nemico ha stravinto. Non riusciamo neanche più a immaginare qualcosa di diverso da questa dittatura del capitalismo 2.0. Cosa ci resta? Beh, la violenza! Tipo: se uno dice parole come ‘privatizzazioni’ o ‘flessibilità’, oppure frasi come ‘Sono i mercati che ce lo chiedono’, tu gli dai un sacco di botte e poi gli bruci la macchina. Non servirà a cambiare un bel niente, ma almeno avrai fatto qualcosa di divertente.”
LA CANZONE DI MARINELLA (che non c’entra nulla con l’omonimo brano di De Andrè) è una ballata colma di empatia per le “vite minuscole”. Nelle quali gioia e amore e bellezza sono sprazzi fugaci, e, per questo, struggenti. Il brano ha l’immediatezza di una folk song, però sovverte qualunque canone di arrangiamento usuale del folk. Le millemila stratificazioni vocali della sempre più brava Cinzia La Fauci qua galleggiano su una base ultra-minimale di elettronica abstract/ambient, opera di uno storico sperimentatore come Simon Balestrazzi di T.A.C., Kirlian Camera e molti altri progetti (…tra i quali i Daimon, dei quali, quest’anno, ho acquistato e apprezzato il nuovo album, “Dust”).
BENVENUTI IN PARADISO. Bella la melodia, e bella la voce di Cinzia, con il valore aggiunto di un testo che è un trattato di sociologia condensato in poche righe. Uno sguardo feroce sull’attuale concetto di ‘modernità’. “Noi non abbiamo bisogno di ideologie, non abbiamo bisogno di sindacati. Del posto fisso, di case discografiche, sale cinematografiche. Meno che mai, di Dio. Ci siamo già sbarazzati di gran parte di questo vecchiume, ora però non riposiamoci sugli allori! c’è ancora tanto da fare”.
Valerio D’Onofrio: Hai altri consigli?
Vittorio Nistri: Beh, come ti dicevo, nel 2018 ho trovato davvero tante belle cose, almeno nella musica. (Mi rammarica non poter dire lo stesso per altri ambiti – in primis quello politico e sociale, dove il 2018 – in perfetta antitesi all’anniversario del ’68 – mi è sembrato proprio un anno di merda).
Elenco qua di seguito altri album che mi sono piaciuti molto.
In ambito jazz, devo segnalare per lo meno SONS OF KEMET – “Your queen is a reptile”, una modernissima reinterpretazione delle marching bands di fiati e percussioni, innervata di ritmiche voodoo e ipnosi dub. E poi ha un concept fieramente “in opposition” che mi strappa l’applauso.
Dopo “Minus” di Blumberg, il mio album “cantautorale” (le virgolette sono d’obbligo) dell’anno è ANNE VON HAUSSWOLFF – “Dead magic”. La trentaduenne cantante e tastierista svedese ha fatto un disco di canzoni dilatate e ammalianti, con atmosfere degne di Peter Hammill, e ombrosità degne di Nico.
In ambito new/no wave, mi ha divertito l’esordio dei WAX CHATTELS, un trio neozelandese che si autodefinisce “guitarless guitar music”. Qua per me entrano in gioco anche sintonie strettamente personali: la loro strumentazione – synt, basso, batteria punk – è la medesima della mia band degli anni ’80, gli Overload, i cui vecchi nastri sto restaurando in vista della futura ristampa su cd.
Tra i numerosi album italiani che ho apprezzato, segnalo quanto meno FORBICI DI MANITU’ – “Vecchie Vacche” (per me uno degli album migliori, e più dadaisti, dell’intera discografia delle Forbici); CRISTIANO CALCAGNILE – “St()ma” (un album di sole percussioni, usate spesso in modo rumorista o comunque non ortodosso – ad es, piatti suonati con l’archetto -, dove ogni battito ed ogni rumore è un tassello di una organizzazione/orchestrazione di indiscutibile musicalità); LAY LLAMAS – “Thuban”, psichedelia di grande livello ed atmosfera, che non ha niente da invidiare a nomi internazionali come i Goat.
Infine, tra i nomi “storici”, ho trovato mirabile LOW – “Double Negative” (forse era dai tempo di “Psychocandy” che non sentivo un così riuscito un abbraccio tra basi rumorose ed ultraterrene melodie vocali). Mentre ONEIDA – “Romance” non lo definirei un album “perfetto” dall’inizio alla fine, ma contiene qualche exploit che ci conferma la levatura eccelsa di questa band; ad esempio, il brano “Economy Travel”, che all’inizio sembra un giochino ordinato di geometrie kraftwerkiane, per poi venire inauditamente travolto dalle esplosioni free del sempre magnifico drummer Kid Millions.