
Cinque album del 2017 consigliati da Michele Palozzo
Come ogni anno iniziamo una serie di interviste per conoscere e approfondire meglio gli album più importanti dell’ultimo anno. Come nel 2016, anche quest’anno il redattore di Ondarock Michele Palozzo, da sempre attento alle scene più alternative della musica elettronica, elettroacustica e ambient – anche tramite il suo progetto Plunge – ci segnala i suoi 5 album preferiti del 2017.
- Fis & Rob Thorne – Clear Stones
- Dutch Uncles – Big Balloon
- Lawrence English – Cruel Optimism
- Giulio Aldinucci – Borders and Ruins
- Hammock – Mysterium
- Fis & Rob Thorne – Clear Stones

FIS & Rob Thorne – Clear Stones
In un periodo di massima proliferazione di proposte musicali torna utile conoscere e seguire da vicino determinate etichette: alcune di esse fungono da termometro, “assorbono” le tendenze più rappresentative del momento storico; la giovane Subtext è invece una label termostato, alimenta e consolida la propria ricerca rendendola in qualche modo sui generis, sul permeabile confine tra sperimentazione elettronica e una dimensione acustica ancestrale. Già sulla carta, e ancor più nella messa in pratica, il duo formato da Oliver “FIS” Peryman e Rob Thorne è tra i connubi più singolari degli ultimi anni: gli strumenti della tradizione e della ritualità Maori vengono sondati e amplificati in un sistema sonoro densissimo e perturbante, dove il richiamo atavico dei fiati si interseca con le microcellule fuori controllo dell’immaginario (anzi del reale) post-digitale. Un ascolto che scuote dal di dentro e ci attrae a sé come un’eco ineludibile, ancora e ancora.
- Dutch Uncles – Big Balloon

Dutch Uncles – Big Balloon
Dopo gli anni di bruciante passione per il progressive, col tempo ho finalmente capito che non si tratta tanto di un genere musicale quanto di una mentalità, una maniera non comune di approcciare la scrittura musicale. Solo così sono riuscito a riconciliarmi con i King Crimson degli anni 80, con i Genesis della prima era Collins e anche con diverse compagini new wave. I Dutch Uncles mi avevano già conquistato cinque anni fa, quando giocavano con percussioni minimaliste alla Steve Reich, ma l’album di quest’anno è un vero trionfo di quello che alcuni amano definire (a ragione) “jigsaw pop”: un puzzle i cui tasselli si incastrano sempre come dovrebbero, fra ritmiche complesse ma esattissime, melodie contagiose ed estro vocale di scuola ottantiana. Mi piace che ogni tanto, nella mia classifica annuale, trovi ancora spazio qualcosa di così immediato e catchy, mi ridà fiducia nell’obsoleta forma-canzone.
- Lawrence English – Cruel Optimism

Lawrence English – Cruel Optimism
Non mi è apparsa chiara da subito la statura artistica di Lawrence – e anche di persona è decisamente alto! –, poiché non conoscevo il suo retroterra culturale e la passione con cui affronta i suoi progetti. Invitarlo a suonare dal vivo per due volte me ne ha reso evidente non soltanto la versatilità, ma anche e soprattutto la cura per la materia sonora e per la pratica dell’ascolto, sia come artefice che come fruitore. Le saturazioni espressioniste di “The Peregrine” e “Wilderness of Mirrors” giungono a un nuovo – forse definitivo – compimento con “Cruel Optimism“, che ho paragonato a una sorta di sinfonia occultata, sommersa tra nebbie cineree e pervasive. Un’opera di rara suggestione ispirata dal clima funesto della politica internazionale, una concreta minaccia per i già precari equilibri planetari.
- Giulio Aldinucci – Borders and Ruins

Giulio Aldinucci – Borders and Ruins
Con Giulio era già chiaramente percepibile un percorso di crescita artistica, una sensibilità nella composizione ambient e nella lavorazione di field recordings che gli ha permesso di pubblicare album assieme a interessanti realtà internazionali. Con l’esordio su Karlrecords, semplicemente, il salto qualitativo è stato enorme: “Borders and Ruins” guarda ai grandi della drone/elettronica contemporanea e vi unisce le armonie perfette della musica antica; un lavoro in chiaroscuro che pur sondando gli abissi dell’animo riesce a emanare un’aura sacrale fortissima, culminante nell’ultimo celestiale movimento in netto contrasto con un ingresso solenne e gravoso.
- Hammock – Mysterium

Hammock – Mysterium
Arrivati al fondo della top 5 è piuttosto chiaro il mio orientamento verso sonorità dilatate e immersive – termine, quest’ultimo, tanto abusato quanto esatto –, ma un posto agli Hammock spettava di diritto. Tra le mie scelte personali è la passione di più lunga data, poiché ormai ne conosco la poetica da circa un decennio. È il tipo di sonorità che vado a cercare quando ho necessità di un ascolto emotivo ma diafano, come se non provenisse dai miei dispositivi audio bensì dalla mia stessa mente. Questa volta però il duo americano ha dato voce a un sentimento di grazia nell’ora del dolore, partendo da un lutto familiare per comporre un requiem universale tra ambient e minimalismo sacro. Come fece il capolavoro di Eluvium lo scorso anno, “Mysterium” commuove e consola, risplende di una luce pura che oltrepassa l’espressione musicale per divenire un coraggioso atto di fede.