
Cinque album del 2017 consigliati da Luigi Porto
Luigi Porto è un compositore italiano che da anni vive a New York; nostro amico da anni, già nel 2015 e nel 2016 ci ha fornito vari spunti interessanti per interpretare gli anni che stiamo vivendo, non solo da un punto di vista strettamente musicale. Ecco di seguito il suo contributo sul 2017. (Valerio D’Onofrio)

Luigi Porto
Luigi Porto: Grazie Valerio per avermi dato anche quest’anno il privilegio di consigliare cose che non so a gente che ne sa molto più di me. Mi hai chiesto di scriverti un’introduzione su come é stato il 2017. Te la scrivo in viaggio al secondo tentativo di rientro in Italia per le vacanze, dopo aver perso un aereo.
Ammetto come al solito di ascoltare veramente poco, quel poco che mi viene consigliato da amici. Posso invece parlarti di ció che succede musicalmente in USA e in particolare a New York, dove c’é una città che sta, per certi versi, piano piano “chiudendo“, almeno questa è l’impressione. La scena sperimentale di downtown Manhattan e Brooklyn sta perdendo molti dei suoi riferimenti, come la chiusura prima di posti come lo Zebulon a Brooklyn, poi di quasi tutti i negozi di dischi, Colony Records, Bleecker Street Records…i negozi di musica indipendenti come Matt Umanov, poi il centro sociale ABC No Rio, grande posto per le jam session, che organizzava centinaia di concerti anche molto di nicchia (una volta nel 2015 ero andato a sentire la mia amica Constance Cooper con Blaise Siwula, eravamo in pochi, e ad un certo punto tutta l’audience si è ritrovata sul palco in una mega jam, non c’era più nessuno tra il pubblico se non il tizio con la telecamera che riprendeva). Lo Spectrum non ha chiuso ma si è dovuto spostare in un punto di Brooklyn più difficile da raggiungere. Insomma non tira una buona aria per le frange più sperimentali, per la musica che nasce da incontri in centri di aggregazione popolare. Molti di questi erano e sono posti dedicati solo alla musica, dove si paga un ingresso, ci si siede e si ascolta, non cocktail bar dove il gruppo passa il cappello, e il fatto che scompaiano è segno – e lo ha scritto anche di recente Patti Smith, oltre al solito Byrne – che questa cittá ha smesso definitivamente di essere accogliente nei confronti degli artisti, da ormai forse una ventina d’anni, è un posto pieno di CEO, startup, gente che lavora a Wall Street. Forse è un fenomeno di tutti i grandi centri degli imperi occidentali.
I musicisti, che sono soprattutto classici e jazz, riescono a mantenersi ancora bene ma devono suonare dappertutto, dalle chiese alle orchestre ai bar mitzvah, dare lezioni, alcuni di loro sono riusciti negli anni a portare avanti, non senza fatica, le proprie band, ma letteralmente non esiste più la situazione per cui dei ragazzi si trovano in un garage a cercare di inventarsi qualcosa. Esistono un sacco di compositori, produttori, ma ognuno è da solo, non c’è il tempo dell’aggregazione perché la vita è diventata costosissima, gli affitti sono folli, non si ha davvero tempo per pensare. Tutto questo ha reso NY una città oggi molto più conservatrice di un tempo, a detta di chi ci vive da sempre, mica di me che ci sto solo da pochi anni.
Anni fa, nell’era dell’indie ad ogni costo, pensavo che molti musicisti invece del nuovo pedale per chitarra avrebbero meglio investito i loro risparmi in un libro di armonia: non potevo immaginare che in poco tempo avrei assistito alla situazione contraria, una leziosità da talent show, perché i nuovi la musica la conoscono e pure bene, ma letteralmente non hanno tempo di pensare, di inventarsi un sound, la vita è frenetica, e spesso consegnano dei “compiti a casa” eseguiti benissimo, con ottime produzioni, ma assenza di spirito. Però…..le situazioni nascono nei momenti di crisi, e questo per l’America è un momento di grossa crisi e vergogna. Il bilancio del primo anno di amministrazione Trump è che gli Stati Uniti hanno perso credibilità e qui la gente lo sa bene. Chissà che non si muova qualcosa. Nel frattempo ti segnalo due dischi americani, uno inglese, uno norvegese e un’opera che ho visto due settimane fa.
- Ulver – The assassination of Julius Caesar
- Neil Young – Hithchicker
- AA.VV. – I Said No Doctors!
- Tricky – Ununiform
- Thomas Adés – The Exterminating Angel

Ulver – The assassination of Julius Caesar
ULVER – The assassination of Julius Caesar
I norvegesi Ulver li seguo da quando uscì “Perdition City“, mi è sempre piaciuto il loro prendere un’estetica pop anni Ottanta e raffinarla senza perdere l’immediatezza che caratterizza questa forma. Poi c’è sempre qualcosa di molto affascinante nelle band che nascono dal metal e si evolvono verso altro, hanno una visione unica perché mantengono una chiarezza di esposizione tipica del genere da cui provengono. Questo è un disco molto piacevole, forse quello di più facile ascolto in tutta la loro discografia, ricorda un po’ i Clan of Xymox degli anni Novanta. Mi piacciono sempre molto poi I loro recitativi, come in “Coming Home”, che suonano come réclame pubblicitarie.

NEIL YOUNG – Hithchicker
NEIL YOUNG – Hithchicker
Neil Young per me non è un musicista, ma un parente, uno zio, qualcosa del genere, una di quelle persone che ti accompagnano nella vita, una voce morale con la quale a volte ti trovi d’accordo a volte no, ma a cui sai che in qualche modo “appartieni”. Queste sono registrazioni degli anni Settanta fatte con David Briggs, probabilmente un disco per affezionati della prima ora, visto che la maggior parte dei pezzi sono versioni alternative e più intime di pezzi già editi, con un paio di begli inediti, “Give me strength” e “Hawaii” suonate con il suo stile chitarristico unico. “Hawaii” ha un testo molto bello, misterioso, e la doppia I della parola Hawaii affidata al falsetto nel ritornello sarebbe diventata un anthem, fosse uscita quando le canzoni diventavano anthem. La titletrack è stata pubblicata su “Le Noise”, disco di qualche anno fa con Daniel Lanois, un sequel ideale alla “trilogia del dolore”.

I SAID NO DOCTORS!
I SAID NO DOCTORS!
É una compilation interessante curata dalla Dymaxion Groove del mio amico Tom Tolleson. Con Tom abbiamo frequentato assieme i corsi serali alla Juilliard, lui è uno sperimentatore “east coast”al 100% che ha un’etichetta coraggiosa e ha messo assieme una manciata di nomi anche importanti (ci sono i Silver Apples, David Grubbs, Opal) e nuove band notevoli come gli indonesiani Senyawa, “costringendoli” a suonare strumenti modificati anche radicalmente. Questo per riallacciarmi al discorso della New York musicalmente piú temeraria. Non solo i brani sono tutti interessantissimi, ma la compilation si comporta come un sampler per gli ascoltatori attenti e curiosi, che possono andare a recuperare la produzione degli artisti presentati, sia le glorie del passato come Grubbs e Silver Apples che le nuove leve. In più, date un’occhiata al catalogo Dymaxion perchè ci sono cose molto belle.

TRICKY – Ununiform
TRICKY- Ununiform
Perché Tricky fa parte di quello che personalmente considero l’ultimo grande afflato stilistico della musica pop, ovvero la scena di Bristol degli anni Novanta. Ecco, avrò i paraocchi, ma per me il pop nasce negli Ottanta e finisce a Bristol con una manciata di dischi usciti in quegli anni che hanno fatto l’ultimo vero sforzo estetico e formale. Niente dopo Bristol ha avuto quella portata nel mondo nordoccidentale, seppur con la sua brevità, nessun’altro “universo” musicale è stato creato dopo Massive Attack, Tricky, Portishead. Una manciata di dischi che hanno modificato forma, struttura, immaginario, estetica, senza re-inventare, ma davvero prendendo e utilizzando l’esistente come grado zero, è molto più che inventare un genere. Perciò qualsiasi cosa venga fuori da questi personaggi, è per me degna di attenzione, non fosse che perché sono i più giovani innovatori musicali viventi. E poi perché il disco di Tricky è davvero bello, ha strutture invidiabili, refrain memorabili, ottima produzione ed immediatezza.

THE EXTERMINATING ANGEL
THE EXTERMINATING ANGEL
E’ un’opera di Thomas Adés, e io cerco sempre di avvicinare i due mondi della musica “colta” e di quella popolare, che non capisco come possano essere ancora dei compartimenti stagni. Io credo che tutti gli ascoltatori di musica che dal rock sono saliti fino al progressive, al post rock, ai Radiohead e poi a queste forme sempre più grandi, dilatate, ecco dovrebbero farlo tutti il passo e provare a buttarsi a pesce nella cosiddetta musica d’arte, o classica contemporanea, o musica colta come la vuoi chiamare: manca davvero poco. Se ascolti band che hanno portato la forma fino e oltre i limiti consentiti, forse ti conviene andare a teatro, andare all’Opera, andare a vedere The Exterminating Angel, che poi è basato sul film di Luis Buñuel, quindi ha una trama veramente forte ed una tavolozza musicale incredibile, un utilizzo dell’armonia che è veramente innovativo (veramente!), un’orchestrazione magistrale, nell’orchestra ci sono pure le Ondes Martenot di Messiaeniana memoria. Se ascolti Scott Walker magari vai a sentirti Adés, se compri l’ultimo Godspeed You!Black Emperor tanto vale che ascolti John Luther Adams, no? E’ una biforcazione così netta che non esiste in nessun’altra arte, neanche nel cinema, e sarebbe ora di superarla: andava bene col rock’n’roll o all’epoca del punk, ma oggi credo che i tempi siano veramente maturi per una riunificazione dei linguaggi musicali. Anche perché i compositori nuovi sono cresciuti con il rock e l’alternative.
Fuori concorso, ma solo perché dentro ci sono pure io, ti segnalo la compilation “Omaggio al Maestro Ennio Morricone” di Cineploit, dove sono stati rivisitati diversi brani del Morricone più creativo e sperimentale, e anche quello meno conosciuto degli anni Settanta e Ottanta. Io ho partecipato con un omaggio “techno” a La Piovra, in un featuring con il producer italiano Fromwood.