
Cinque album del 2016 consigliati da Michele Palozzo
Ho avuto il piacere di conoscere Michele Palozzo circa un anno fa grazie alla sua instancabile attività di promozione di concerti ed eventi culturali di assoluta rarità e qualità; grazie al suo impegno è riuscito, con la collaborazione degli amici Matteo Meda e Gabriele Berio, a fornire luoghi e ambienti adatti alla loro diffusione. Il suo progetto Plunge e le straordinarie serate organizzate presso l’Auditorium San Fedele nel progetto Inner Space, sono ormai un punto di riferimento della scena culturale milanese degli appassionati di musica elettronica, musica d’ambiente e per tutti coloro che cercano metodi di fruizione differenti rispetto alla classica forma concerto. Redattore di Ondarock, grazie alle sue importanti e varissime esperienze di ascolto, cercherà di aiutarci per comprendere meglio la musica di questo 2016. Ecco i suoi cinque album preferiti:
- Eluvium – False Readings On
- American Football – American Football
- Autechre – Elseq 1–5
- Paul Jebanasam – Continuum
- Stian Westerhus – Amputation
Valerio D’Onofrio: Ciao Michele, questo 2016 è stato un anno molto particolare; tanti grandi artisti non ci sono più e hanno lasciato un grande vuoto, Daevid Allen, David Bowie, Leonard Cohen. Il lutto è stato un elemento decisivo del 2016. Tu come lo riassumeresti?

Michele Palozzo
Michele Palozzo: Anche se riguardo a casi precedenti, comprendo perfettamente il sentimento che si prova quando un artista molto amato perde la vita, più o meno inaspettatamente. Tuttavia trovo che allo shock iniziale non possa seguire altro che un commosso omaggio, anziché l’autentica tristezza: anche dopo la morte, i musicisti sono una categoria umana che consideriamo più viva dei viventi, un ricordo ma anche una presenza reale e ricorrente nella nostra esistenza attraverso i dischi, le immagini e le parole. Assolutamente emblematiche, peraltro, le due uscite di scena più eclatanti del 2016: con modalità diametralmente opposte, Bowie e Cohen si sono congedati da questo mondo nella più mirabile compiutezza, con un ultimo gesto artistico di gran classe che ha il sapore di un regalo speciale per i tanti ancora sinceramente affezionati a loro.
Valerio D’Onofrio: Il primo album che hai scelto è di uno dei protagonisti principali dell’elettronica contemporanea. Perchè è il tuo preferito del 2016?

Eluvium – False Readings On
Michele Palozzo: Ho premiato, senza alcuna forzatura, un artista che credevo non sarebbe più stato in grado di stupirmi. Matthew Cooper aveva già da tempo elaborato il cuore della propria espressività ambient, in una perfetta fusione tra chitarra effettata ed eteree orchestrazioni artificiali. Dopo alcuni anni di parziale uscita dai radar, “False Readings On” è un’opera dalla densità sbalorditiva, decisamente rivolta a una composizione dai toni sacrali, in grado di trasmettere un senso di commozione e conforto che la stessa tradizione secolare difficilmente veicolava, essendo più incentrata sul pentimento e su varie forme di rito liturgico. È un album da ascoltare in solitudine, e nel più totale abbandono di sé: in cuffia, a volume moderato, suona come una preghiera cullante per rischiarare i giorni più faticosi; con la potenza dell’impianto stereo (necessariamente da formato “lossless”) sprigiona un’energia vitale che attraversa le membra e trasfigura ogni cosa intorno. A mio parere, il vero capolavoro firmato Eluvium.
Valerio D’Onofrio: Gli American Football rappresentano uno dei gruppi principali della scena emo; cosa ti ha colpito dell’album?

American Football
Michele Palozzo: Parliamo nuovamente di un ritorno, e di quelli davvero importanti: diciassette anni ci separano da un’esordio che sembrava dovesse rimanere un gioiello raro nella storia del rock indipendente, e nello specifico la pietra di paragone per la scena emo a venire. La nostalgia è forse il sentimento dominante della mia vita adulta, e gli American Football si sono riconfermati la voce dei miei ricordi adolescenziali e del loro immediato seguito, con tutto il fardello di responsabilità e aspettative che il mondo ti mette addosso. Le morbide geometrie di chitarre e batteria e la voce calda di Mike Kinsella sono state la colonna sonora della mia quotidianità dagli ultimi giorni d’estate sino a oggi ma sono certo che, come il primo storico Lp, anche il secondo “American Football” mi accompagnerà ancora molto a lungo.
Valerio D’Onofrio: Ancora elettronica con gli Autechre, come dice ondarock, alfieri dell’ambient techno.

Autechre – Elseq 1–5
Michele Palozzo: Ogni genere musicale incontra due fasi cruciali: quella fondativa, con l’arrivo di pionieri che indicano la nuova strada da percorrere, e la fase di superamento o d’avanguardia, che rompe le strutture prestabilite e riscrive le regole del gioco. Nel caso degli Autechre queste due istanze coincidono, e ad ogni passo il duo dimostra di essere avanti a qualsiasi orizzonte tracciato dalla scena elettronica. La graduale frammentazione del loro sound si era già manifestata da lungo tempo, ma prima con “Exai” e ora con il quintuplo “elseq” essa raggiunge una concretezza che li caratterizza come nuovi (iper)testi di studio per la generazione post-digital. L’assoluta imprevedibilità delle loro ‘texture’ sonore è in netto contrasto con le leggi imperanti della techno e della idm, è un linguaggio polimorfo senza compromessi del quale detengono l’esclusiva, espulso dalla loro realtà parallela nei tempi e nelle modalità da essi stabilite. “elseq” è un dispaccio dal futuro che meriterebbe ampio studio, ma che forse rimarrà sempre un “codex” oscuro e respingente, la cui maggiore attrattiva ne è proprio l’indecifrabilità.
Valerio D’Onofrio: Nella intricatissima galassia di musicisti elettronici quest’anno è riuscito a farsi notare Paul Jebanasam con un album che mi è sembrato molto originale, Continuum.

Paul Jebanasam – Continuum
Michele Palozzo: Quest’anno ho discusso ampiamente di Jebanasam e dell’attuale compimento cui è giunta la sua arte sonora: “Continuum” è una sinfonia elettronica in senso letterale, un componimento dal livello di elaboratezza stilistica sbalorditivo. Nei tre movimenti si alternano la furia incontrollabile degli elementi particellari e la desolazione di un mondo che si disgrega irreversibilmente sotto i nostri occhi. Si direbbe quasi un requiem per la fine dei tempi, ma che dalle crepe del grande terremoto lascia emergere una luce accecante di speranza e immensa consolazione. Un tour-de-force emozionale che ho avuto l’onore di presentare con Plunge all’Auditorium San Fedele di Milano, tra il sincero stupore degli astanti.
Valerio D’Onofrio: Chiudiamo con Stian Westerhus, musicista il cui nuovo Lp ha spiazzato chi lo segue da anni.

Stian Westerhus – Amputation
Michele Palozzo: Penso sia lecito affermare che un disco di canzoni fosse l’ultima cosa da aspettarsi da parte di un musicista d’area eminentemente sperimentale. Si tratta pur sempre di un songwriting atipico, che affiora tra le pieghe di una ricerca sofferta tra le corde della chitarra; la voce di Westerhus è un’esalazione fragile che rimanda solo vagamente al soul e all’r&b, situandosi in una nicchia espressiva che in verità non incontra paragoni sufficientemente calzanti. Attualmente credo sia la pubblicazione più rilevante della giovane etichetta House Of Mythology, che ha coraggiosamente intrapreso una via alternativa alle sonorità dark del presente, con progetti inediti che vedono coinvolte anche figure storiche dei tormentati anni Ottanta.