
Cinque album del 2016 consigliati da Luigi Porto
Come ogni fine anno ci ritroviamo a parlare con alcuni amici musicisti e appassionati di musica, le cui idee e opinioni riteniamo sempre stimolanti, per conoscere i migliori album dell’anno appena trascorso. Come già nel 2015, Luigi Porto (My My After World, Scimmie) ci parlerà dei suoi cinque album preferiti del 2016, anno che ha visto una grande quantità di Lp di ottimo livello; un anno segnato in particolare dal grande tema della morte approfondito in due modi differenti da due grandi musicisti scomparsi – David Bowie e Leonard Cohen – e da un gigante della musica degli ultimi decenni, Nick Cave.
- Nick Cave – Skeleton Tree
- David Bowie – Blackstar
- Leonard Cohen – You Want It Darker
- Max Graef e Glenn Astro – The Yard Wonk Simulator
- Le Forbici Di Manitù – Tinnitus Tales
Valerio D’Onofrio: Ciao Luigi, come ogni anno ci incontriamo per consigliarci l’ascolto dei 5 album che hai preferito nell’ultimo anno. Certo che in questo 2016 sono successe cose davvero inattese, non ultima il fatto che Trump sia diventato Presidente degli Stati Uniti. Tu vivi da anni negli USA, che idea ti sei fatto di questa elezione?

Luigi Porto a New York
Luigi Porto: Grazie per aver ancora pensato a me! Direi che la cosa importante è che l’annus horribilis (bisesto) sia finito, se il prossimo anno non fosse il ’17.
L’elezione di Trump l’ho seguita abbastanza in prima persona, partecipando alla campagna di Bernie Sanders prima, seguendolo nei rally di Brooklyn, Manhattan, Philadelphia, stando a contatto con il team di volontari di NY, ma soprattutto parlando con gli elettori di tutte le estrazioni.
Posso dire, a seguito della mia esperienza, che in generale qualsiasi tentativo che ho visto, specialmente dall’Europa, di inquadrare il fenomeno risulta riduttivo, tanto sfaccettata è la questione e tanto delicati sono i tempi che viviamo. Non è stato possibile votare (o non votare) senza in qualche modo sporcarsi le mani. Chi ha voluto dare una “botta” all’establishment l’ha fatto pagando un alto prezzo, ovvero la perdita dell’assistenza sanitaria universale per 22 milioni di persone e il rischio, concretissimo, di una catastrofe ecologica che sarà purtroppo senza ritorno, a detta degli scienziati e degli esperti (Trump non ratificherà gli accordi di Parigi ed incrementerà la produzione di carbone, almeno a quanto dice). Quindi chi si rallegra, da sinistra o presunta tale, per questa vittoria (ce ne sono, e non solo tra i rossobruni fan di Putin e di World of Warcraft) tra un po’ si rallegrerà sott’acqua.
Dall’altro lato c’era un candidato invotabile se non turandosi il naso, e forse l’unica cosa positiva è la batosta che ha preso il DNC, che ora con la coda tra le gambe sta lasciando finalmente spazio (troppo tardi) all’ala più onestamente progressista. La quale, però, sarà costretta presto ad assumere i toni cosiddetti “populisti” ma che forse sarebbe meglio chiamare semplicemente sensazionalisti…e per questo verrà criticata.

Esequie di David Bowie a New York
L’unica cosa che possiamo dire con certezza è che oggi nel mondo spararle grosse è l’unico modo per attirare l’attenzione, serve a vincere elezioni, essere personaggi pubblici di successo, e mille altre cose. La tiritera – sempre giusta, ma sempre tardiva – di una sinistra non più sinistra, da riformare e ricreare, ho il sospetto che non basti più e non copra la complessità della faccenda. Devo aggiungere che io non essendo cittadino non ho potuto votare, ma avrei forse votato Jill Stein per poi pentirmene amaramente e sentire il veleno nello stomaco vedendo un miliardario senza scrupoli dirigersi verso il pulpito seguito dalla famiglia. Ti assicuro che questa città quella sera era in stato di shock, a torto o a ragione, ma lo era. Tra i democratici c’era anche qualche persona decente, tra i repubblicani no, e lo sappiamo tutti bene qui.
Certo, la sinistra in Italia, a vederla da qui, sembra è divisa tra renziani e simpaticoni alternativi che si rallegrano per il nuovo presidente arancione. Presidente che all’indomani della morte di Castro ha già fatto la voce grossa con Cuba. Magari è giusto per farsi voler un po’ più bene dal suo stesso partito, non si sa. Certo è che non c’è proprio niente, ma niente, da rallegrarsi.

Esequie di David Bowie a New York
Valerio D’Onofrio: Il 2016 è stato un anno di grandi perdite, le tue scelte sono state segnate molto da queste, tre dei cinque dischi che hai scelto sono tre grandi opere sulla morte. Cosa ci dice questo? Un tema fondamentale che desta sempre interesse o l’incapacità di una nuova generazione di musicisti di essere altrettanto grandi delle generazione precedenti?
Luigi Porto: La morte e il lutto – tra i grandi temi di quest’anno. Abbiamo perso tantissimi grandi personaggi, non serve che lo ricordi io. L’Italia ha perso Eco, Fo, Veronesi. Poi Bowie, Cohen e tanti altri fino a Fidel e Pauline Oliveros, almeno per ora (ancora l’anno non è finito). Intere generazioni ci stanno lasciando, come è giusto che sia, solo che non siamo preparati a camminare da soli, siamo coscienti che non riusciamo a rimpiazzarli, perciò il lutto è ormai parte integrante della nostra esperienza culturale occidentale. Le grandi morti sono ormai gli unici grandi eventi generazionali, e almeno la mia generazione le vive come tali.
Valerio D’Onofrio: La tua prima scelta è il nuovo di Nick Cave, certamente uno degli album più commoventi di questo 2016.

Nick Cave – Skeleton Tree
Luigi Porto: Skeleton Tree di Cave è un flusso di coscienza post-cantautoriale, la deriva più normale per i cantastorie come lui, che invecchiando hanno sempre troppo di più da dire che da cantare. La prima cosa che ho pensato ascoltandolo è stata “David Sylvian and the Bad Seeds” tanto l’approccio mi ha ricordato il suo collega inglese. Un luogo per le parole più che una collezione di arrangiamenti. Sono troppo importanti le parole, e c’è dell’umanità vera, non urgenza costruita a tavolino, nelle ripetizioni dei versi. È l’elaborazione di un lutto privato, che serve da semplice, quasi banale, memento mori.
Valerio D’Onofrio: Altra perdita immensa è quella di David Bowie, musicista controverso amato e odiato. Tu l’hai sempre apprezzato o Blackstar ti è piaciuto in modo particolare?

David Bowie – Blackstar
Luigi Porto: Blackstar di Bowie è un capolavoro musicale, lo dico senza mezzi termini, lo sarebbe anche se Bowie fosse sopravvissuto. Il valore dell’opera trascende anche il suo significato testamentario, che certamente ci ha lasciati abbastanza increduli. Erano giorni grigissimi, la cittá di NY si è svegliata con la notizia, il video di Lazarus era uscito qualche giorno prima ed improvvisamente tutti hanno capito chi era la donna sotto il letto.
Vedi, esistono dei musicisti dotatissimi e capaci di fare qualsiasi cosa, esistono sperimentatori innovatori e coraggiosi, esistono poeti che mettono in musica epopee, esistono istrioni che creano tendenze. E poi c’era Bowie, che era tutte queste cose insieme e forse di più. La comunitá musicale di Manhattan non era preparata a questo, è stata la morte di un padre, non sto scherzando.
Sono passato, per vari motivi, sotto casa sua per i tre giorni successivi, e il viavai di persone – non fans: persone. – era incredibile. la portineria del palazzo era costretta a rimuovere gli ex voto ogni giorno, per evitare che occupassero l’intera strada. Bowie era il trait d’union tra il rock e la musica colta, la musica sperimentale, la poesia, il teatro, e poi tendenze come il punk, la new wave, l’industrial. Teneva tutti insieme un po’ come un bonario dittatore. Bowie aveva fatto tutto ed in tutto ciò che aveva fatto era stato il migliore. Sapere che c’era, che si aggirava tra i jazz club di Chelsea e Lower Manhattan (dove ha reclutato i musicisti di Blackstar) e intorno al suo appartamento vicino la metro Lafayette, non lontano da Little Italy, era rassicurante.
Bowie non è solo gli anni Settanta, non è solo la grande trilogia berlinese: negli anni Novanta aveva iniziato una ricerca sulla forma canzone pop (venata di industrial) che non ha avuto eguali, e di cui Blackstar è l’epilogo. Pezzi come Girl loves me, come all’epoca Little Wonder, Thursday’s Child, sono per me giá tra le grandi canzoni della storia del rock o come vogliamo chiamarlo. Se volete assaporare la sensazione di “esserci stati” all’uscita di un grande classico della storia della musica, procuratevi Blackstar.
Valerio D’Onofrio: Leonard Cohen non ha bisogni di presentazioni, il suo ultimo lavoro cosa aggiunge alla sua straordinaria carriera?

Leonard Cohen – You Want It Darker
Luigi Porto: Quando ti segnalai il disco era ancora vivo, ricordi? Ma era chiaro, aveva lasciato messaggi chiarissimi sia alla morte di Marianne (“See you very soon”) che nella lunga intervista, bellissima, al New Yorker, uscita pochi giorni prima della sua morte. Ai giornalisti disse che aveva il cancro, loro non lo scrissero ma lo fecero capire chiaramente. Il disco è un ottimo disco, tenebroso come al solito, infarcito di fatalismo. “If you are the dealer, I am out of the game” dice il singolo You want it darker, e guardando l’elezione di Trump immediatamente seguita dalla morte dell’artista, suona come una sinistra profezia. Anche Bowie ha il suo verso profetico, “Where the fuck did Monday go?” (essendo morto di domenica). I testi di You want it darker seguono la tendenza del secondo Cohen, più chansonnier e meno poeta, più votato al refrain, con un certo gusto per l’incedere da filastrocca, per allitterazioni e reiterazioni, che qui sono forse più ancorate alle sue origini ebraiche. Certo è che oggi ne sono rimasti veramente pochi, di autori di testi.
Beh, fin qui sembra una lista per I becchini. Andiamo avanti…
Valerio D’Onofrio: The Yard Work Simulator l’hai definito come il trionfo del postmoderno

Max Graef & Glenn Astro – The Yard Work Simulator
Luigi Porto: Bellissimo. Un disco di quelli che ascolti infinite volte, e ci scopri dentro infinite cose diverse. Un’attitudine grande, da persone vere, all’elettronica e al campionamento, completamente sopra le righe, come piace a me. C’è dentro moltissimo nu jazz, ma non ha nulla della patina del nu jazz, che a volte è fighetto anche quando è “sporco”. Anzi, sembra nu jazz digerito e vomitato. Canzoni come la title track, o W313D, coniugano sapienza musicale a totale libertà nel processare, campionare, distruggere. Mi piace assai quando un artista sembra non avere nessun rispetto del proprio lavoro, c’è dentro una forza superomistica. Ecco, dopo tanto parlare di morte, questo disco ci mostra quanto sia divertente dissezionare il cadavere della musica. Un precedente lo troverei in Music is Rotten One Note di Squarepusher.
Ho scoperto il disco grazie a Battiti – vivo all’estero da cinque anni ma ogni giorno ascolto Radio Tre, tra Battiti e le Lezioni di Musica, in formato podcast.
Valerio D’Onofrio: Cosa hanno in comune Martin Lutero e Pete Townshend, Ozzie Osbourne e Oscar Wilde, Ludwig Van Beethoven e il Dr. Spock di Star Trek? Gli italiani Le forbici di Mantù creano una grande opera di collage, perchè lo hai scelto?

Le forbici di Mantù – Tinnitus Tales
Luigi Porto: Qui siamo dalle parti della creatività nostrana. Non è un giudizio di parte, anche se dentro questo disco ci sono i Maisie (insieme al Piotta) perché io non ho partecipato al brano, quindi non sto tirando acqua al mio mulino. Però ho ascoltato veramente un ottimo disco, quando gli italiani decidono di fare un concept su larga scala di solito esce sempre fuori qualcosa di molto buono. E questo è un concept che per metà è scritto dalla band e per l’altra metà è costituito da contributi da parte di una serie di ottimi artisti, molti nostrani, come Sparkle in Grey, Deadburger, Spectre, Jealousy Party, ma anche artisti europei come Rod Summers, OKAPI. Il tema è quello dell’acufene, o tinnitus appunto, uno dei grandi spauracchi dei musicisti e di chi lavora con le orecchie, il cosiddetto “fischio” che può diventare permanente e dare parecchio fastidio. Ascoltatelo a basso volume, anzi ascoltateli tutti a basso volume i dischi, e non andate ai concerti senza i tappi nelle orecchie (io faccio prima, ai concerti non ci vado proprio). (Ecco, abbiamo fatto anche la pubblicità progresso). Ascoltatelo però Tinnitus Tales, che lì c’è un’Italia musicale che merita di essere menzionata, non ci sono solo ragazzini spauriti con baffetti chitarra e cocktail in mano nel Paese, abbiamo anche gente con le palle. (Diretto’, lascia scritto “palle” per favore, chè ci dobbiamo adeguare a Trump.)