
Cinque album del 2015 consigliati da Claudio Milano
Musicista, cantante, attore, pittore, musicoterapista, regista, fotografo, Claudio Milano rappresenta l’immagine dell’artista completo, direi totale, che supera ogni barriera per creare un’arte senza limitazioni, che riesce a spaziare attraverso i nostri sensi, dal suono alle immagini. Il tutto con un uno sguardo talmente proiettato in avanti da far fatica a farsi comprendere dai suoi contemporanei. Per conoscere la sua discografia leggete qui. Che anche lui ci possa dare una mano per conoscere meglio gli album del 2015 non può che essere un piacere, un onore oltre che un’opportunità. I suoi album sono:
- SECOND MOON OF WINTER – One For Sorrow, Two For Joy
- PAOLO SAPORITI – Bisognava dirlo a tuo padre che a fare un figlio con uno schizofrenico avremmo creato tutta questa sofferenza
- IOSONOUNCANE – Die
- COUCOU SELAVY – Nequaquam Voodoo Wake
- OTEME – L’Agguato, l’Abbandono, il Mutamento
- DAVID TORN – Only Sky
Valerio D’Onofrio: Ciao Claudio, la prima domanda, così come abbiamo fatto per le altre interviste, riguarda le tue impressioni generali sull’anno appena trascorso.
Claudio Milano: Mi sembra che quello che stiamo vivendo sia un periodo di attesa di un qualcosa. E’ chiaro quello che può accadere, siamo come in attesa di qualcosa di sgradevole che ci cammina accanto ma noi cerchiamo di portare avanti le nostre vite nel modo più intenso e vitale possibile.
Valerio D’Onofrio: Invece da un punto di vista musicale come hai vissuto questo 2105?
Claudio Milano: Da un punto di vista musicale credo che nel 2013 e 2014 si sia davvero rivelato il volto di quello che sono stati gli anni 2000, che questi abbiano espresso la propria faccia. Il 2014 è stato un anno di definizione massima, nel senso che ha offerto in modo chiaro tutto quello che gli anni duemila avevano creato, mentre il 2013 è stato l’anno più fortunato in quanto a proposte musicali sia in ambito rock che pop, jazz e classico. Per quanto riguarda il 2015 – a mio avviso – è stato un anno di ulteriore affermazione e definizione, ma c’è stato uno stop. Nel senso che la grande creatività degli ultimi anni – davvero molto alta – è andata a ridimensionarsi durante l’anno che ha comunque prodotto dei lavori molto validi. Per quanto mi riguarda è stato un anno in cui ho ascoltato un’infinità di musica classica, ho approfondito quanto più mi è stato possibile il percorso di Zad Moultaka e Gérard Grisey, tanto compositori francesi ultra-contemporanei che nona avevo approfondito più di tanto. Anche i due nuovi singoli di Bowie sono stati per me una dolce sorpresa. L’anno scorso c’era stato un bellissimo album di Zad Moultaka e anche di Simone Beneventi che suonava il materiale di Fausto Romitelli. Quest’anno mi è sembrato che il quadro ben chiaro necessitasse solo di essere portato alla gente, cioè essere suonato dal vivo, essere manifestato più che ulteriormente elaborato. Io ho citato dischi che potrebbero essere di nicchia, ma i dischi “migliori”, quelli più osannati dalla critica sono dischi profondamente “chitarrosi”, dischi per band ultra-tradizionali che suonano del rock alla vecchia maniera, come se in qualche modo esauritasi una vecchia spinta si sia puntato più alla definizione di una forma ultra-cristallizzata, oltre che ultra-noiosa. Del classico rock o indierock non se ne può più; l’indierock lo si ascolta dai primi anni 90 e di anni ne sono passati parecchi direi e sembra quasi che non esista altro che l’indie, sia in Italia che in Inghilterra e questo è diventato più una croce che altro.
Valerio D’Onofrio: Cominciamo col tuo primo consiglio.
Claudio Milano: Non ho stilato una vera classifica. Comunque il primo consiglio è – Second Moon Of Winter – One For Sorrow, Two For Joy. Credo sia un lavoro importante, un lavoro di quelli che meritano una grande attenzione; l’ho scelto perchè trovo interessante la fusione tra gli elementi di drone assolutamente glaciali ma in grado di definire degli scenari inimmaginabili, grandiosi, molto aperti, uniti però a delle voci realmente liriche. Due voci femminili liriche capaci di tessere delle melodie di un’umanità molto forte e creare una sorta di neo-classicismo che richiama alla mente moltissimo il pittore Caspar David Friedrich e i suoi dipinti col loro senso di desolazione molto ampia dove comunque la figura umana è sempre presente anche se è una figura isolata, sola, sofferente però sempre presente.

PAOLO SAPORITI – Bisognava dirlo a tuo padre che a fare un figlio con uno schizofrenico avremmo creato tutta questa sofferenza
Valerio D’Onofrio: La seconda scelta cade Paolo Saporiti che propone un album dal titolo lungo e surreale.
Claudio Milano: Quello di Saporiti è un album importante, una sorta di definizione di quello che era già accaduto nell’anno precedente, è come se lui fosse arrivato a un compimento. L’idea dei due EP con le tracce viste in chiave acustica e in chiave elettronica con gli interventi di Xabier Iriondo riescono – sopratutto nel secondo disco – a creare delle tracce assolutamente memorabili. Ci sono brani di una potenza incredibile davvero in grado di definire un periodo culturale e credo sia un disco che assieme al precedente rappresenterà una delle cose migliori del cantautorato italiano di sempre.
Valerio D’Onofrio: Restiamo in Italia con un album meritatamente osannato dalla critica, anche Psycanprog lo ha inserito nella lista de migliori album dell’anno.
Claudio Milano: Iosonouncane, il tanto discusso album dal titolo dal doppio significato inglese-italiano, con chiavi di lettura molto diverse. Credo sia la produzione più bella che io abbia mai ascoltato in Italia negli ultimi anni, una produzione superlativa, davvero credo che il mondo culturale che c’è presso l’etichetta Trovarobato sia riuscito a definire qualcosa di incredibile. Nel disco è presente davvero la migliore Italia del momento, con dei riferimenti culturali molto forti, in certo casi anche troppo leggibili. Il rifermento all’ultimo Battisti in alcuni momenti diventa troppo evidente però quando Die riesce a trovare la strada giusta è in grado di designare davvero dei momenti molto, molto belli. Ci tengo a sottolineare alcuni brani, Buio e Carne in particolare sono brani eccellenti, tra le cose che più mi hanno colpito; qui la distanza da Battisti diventa grande, non vado più a pensare al fatto che ci siano all’interno dell’album cose più derivative, Die si fa perdonare quando raggiunge il suo vero essere, quando l’obiettivo va davvero a fuoco e tutto il resto diventa un peccato veniale; questo capita in un paio di pezzi.
Valerio D’Onofrio: Il quarto consiglio è di un’artista semiclandestino, è molto difficile trovare sue notizie persino su Internet.
Claudio Milano: Introvabile anche su Internet, Coucou Selavy non ancora ufficialmente pubblicato il suo Nequaquam Voodoo Wake. La grandezza di Coucou Selavy sta nella capacità di saper descrivere atmosfere affascinanti e di essere un interprete unico; nella sua voce ci sono davvero tutte le voci che l’Europa ha prodotto nella sua storia a partire almeno dal periodo barocco sino ad arrivare ad oggi. E’ una voce estremamente importante, quindi assolutamente è un disco che va citato tra i migliori dell’anno. E’ anche un disco strano perchè lui ama alternare delle tracce di sua scrittura a delle cover che in realtà non sono vere cover, sono delle reinvenzioni, riletture. Lui riesce a rivedere completamente quello che è andato a indagare e lo trasfigura rendendolo totalmente suo, è il caso del brano “Soli si muore” ad esempio dove è davvero impossibile riuscire a trovare legami col pezzo originale e la sua voce è eccellente, o meglio le sue tante voci, le tante manifestazioni di sè, quasi in un’ammessa schizofrenia che rende il tutto di grande fascino.
Valerio D’Onofrio: Ultimi due album, a pari merito, Oteme e David Torn.
Claudio Milano: A pari merito, Oteme con L’agguato, l’Abbandono, il Mutamento. Un disco assolutamente incredibile per la capacità di unire immediatezza a complessità. Stefano Giannotti è uno dei compositori più intelligenti che oggi abbiamo in Italia, ma anche uno dei più dotati nel senso di essere in grado di disegnare degli arazzi orchestrali incredibili, mantenendo però semplicità. Quello che lui fa non ha un sapore intellettuale, intellettualoide, non puzza di stantio, di vecchio e non sa di tronfio, anche quando i brani si espandono e diventano molto lunghi, come nel caso della suite che riesce a risultare di una leggerezza incredibile nonostante i suoi 25 minuti (Tracce nel Nulla). Il tutto è assolutamente intelligente, a partire dal progetto grafico molto affascinate fino all’idea che supporta l’intero disco, quella di lavorare sulla forma canzone andando a destrutturarla in qualche caso e in altri casi ad accarezzarla, a considerarla nella maniera più tradizionale e convenzionale, però con arrangiamenti cameristici.
In contemporanea è uscito un disco molto interessante David Torn – Only Sky, un lavoro riuscito in parte, non in studio, mentre dal vivo diventa davvero fantastico, credibile e affascinante. David Torn ha la capacità di gestire il tutto in maniera individuale, una caratteristica abbastanza comune ai chitarristi, questo lo porta alla definizione di una musica molto calda. Anche quando lavora con l’elettronica o con le sovraincisioni va a definire affreschi e scenari grondanti nervi e sangue, molto densi; un po come nella collaborazione di qualche anno fa tra Peter Hammill e Gary Lucas, dove Lucas andava a creare delle cose con la chitarra profondamente dense, quasi getti di catrame, una sensazione “materica” vicino alla maniera di trattare la materia di Alberto Burri.