
Cinque album del 2014 consigliati da Vittorio Nistri
Cinque domande, cinque album, cinque consigli, cinque spunti di riflessione con Vittorio Nistri dei Deadburger.
Vittorio Nistri, musicista innovativo, sperimentatore e anima stessa dei Deadburger, ci aiuta nel nostro percorso di approfondimento dei migliori album del 2014. La scelta di intervistarlo nasce dal fatto che Vittorio è una di quelle persone che ha la capacità di non essere mai banale, di riuscire a parlare di musica in modo mai scontato, sempre interessante e stimolante. Ogni volta che si ha la fortuna di dialogare con lui si hanno sempre nuovi spunti di riflessione e nuove prospettive da cui guardare le proprie idee, anche le più consolidate. In un’epoca in cui chi non sa nulla riesce a parlare di tutto in TV e radio (senza ovviamente dire nulla), conoscere persone come Vittorio Nistri è una boccata di ossigeno.
Le sue scelte vanno su quattro album ed una casa discografica italiana, rivelazione del 2014.
- FIRE ORCHESTRA – Enter
- NENE CHERRY – The Blank Project
- GOAT – Commune
- PAOLO BENVEGNU’ – Hotel Earth
- SNOWDONIA DISCHI
Valerio D’Onofrio: Il primo album che hai scelto è dei Fire! Orchestra del sassofonista svedese Mats Gustafsson, che qui riesce a mettere insieme un grande ensemble di ventotto musicisti. Un progetto che tiene insieme anime e suoni diversi.
Vittorio Nistri: Immagino che, tra i lettori di PsycanProg, ce ne siano diversi che conoscano “SEPTOBER ENERGY” dei CENTIPEDE: il leggendario doppio album del 1971, prodotto da Robert Fripp, nel quale Keith Tippett aveva riunito una formazione di cinquanta elementi (numerosi dei quali gravitanti intorno alla scena di Canterbury), per un inclassificabile incontro tra art-rock e big band jazz. Ecco… la FIRE! ORCHESTRA mi sembra una credibile prosecuzione di quell’avventura, riletta attraverso una sensibilità contemporanea e la personalità spiccata di Mats Gustafsson.
Mats ha una prolificità incontrollata, quasi ai livelli di John Zorn. Pubblica continuamente dischi! Alcuni (quelli di impro avant-jazz canonica) mi intrigano meno. Ma altri – quelli dove emerge il suo talento di compositore e/o arrangiatore – li trovo assolutamente avvincenti. Mi fanno pensare ad un moderno Sun Ra, capace di fondere con totale naturalezza jazz, trip psichedelici e una sensibilità visionaria e immaginifica. E che, inoltre, ama il “motorik” del krautrock!
Tra i progetti di Gustafsson, i due che preferisco sono i FIRE! e la FIRE! ORCHESTRA. I primi propongono una sorta di “kraut-jazz” per combo strumentali piccoli e snelli. Mentre i secondi… sono uno straordinario progetto per grande ensemble.
Il loro “ENTER” vede, come hai ricordato tu, ben 28 musicisti coinvolti. Eppure non c’è traccia di magniloquenza né di barocchismi. Con un raro senso dell’equilibrio, gli apporti dei singoli confluiscono in un insieme coeso, che trasuda emozione, passione, e – paradossalmente – persino semplicità. Come nel bellissimo brano di apertura, che invito ad ascoltare:
Uno scabro piano elettrico espone un tema semplicissimo (quattro battute, quattro accordi maggiori, tempo in quattro quarti), eppure indimenticabile. Sul quale si aggiungono voci femminili che – alla faccia della provenienza nordica! – traboccano di un calore e una sensualità che mi hanno ricordato Janis Joplin o Grace Slick. E poi, entra un arrangiamento fiatistico minimale, iterativo, di grande potenza emotiva.
Questo brano, fin dal primo ascolto, è stato il mio “instant classic” dell’anno.
Splendida musica a misura d’uomo, per un progetto che è, si, “bigger than life”… ma nella stessa accezione in cui sono più grandi della vita i sogni, o l’immaginazione.
Valerio D’Onofrio: Dall’effluvio di suoni e note di Gustafsson passiamo alla figlia adottiva di Don Cherry, Neneh Cherry, che con Blanck Project fa, per certi versi, l’opposto. Più che aggiungere riduce al minimo e crea un album di grande classe.
Vittorio Nistri: Nell’ambito della musica elettronica, questo è l’album che ho riascoltato più spesso nel corso dell’anno. Un gran disco di electrosoul (con frequenti incursioni in territori wave e kraut), tutto basato sulla SOTTRAZIONE: pochissimi suoni, e arrangiamenti scarni e scheletrici. La voce di Neneh, una batteria (a volte acustica, altre elettronica), un synt… e nient’altro. Un’opera così spartana da sembrare quasi francescana.
La cosa che sorprende è che, in questo poco, c’è tutto: la melodia, il groove, la fantasia negli arrangiamenti, e feeling a iosa.
Ecco il link al brano che chiude album. Un trip ipnotizzante/elettrizzante di oltre sette minuti.
L’impostazione sonora di quest’album di Neneh Cherry è esattamente il contrario di quella di Gustafsson con la Fire! Orchestra; eppure, i loro album sono accomunati dalla medesima tensione verso una nuova forma di bellezza. Che la Fire Orchestra ricerca nella ricchezza di timbri e colori, e Neneh nell’essenzialità. Sono due opposti che hanno ciascuno la loro ragione di esistere; e non a caso, Neneh e Matson hanno avuto, un paio di anni fa, una collaborazione fantastica (il loro “The Cherry Thing” fu il mio album preferito del 2012).
Valerio D’Onofrio: I Goat sono stati, per vari motivi, tra i gruppi più apprezzati dell’anno. In loro alcuni hanno visto una sorta di revival della contro-cultura anni sessanta e del suo sound psichedelico, altri un messaggio universale di fratellanza. A te cosa ha colpito di Commune?
Vittorio Nistri: Io sono e resterò fino alla morte un appassionato di rock psichedelico, e per me sarebbe impensabile una playlist di fine anno senza un titolo prettamente psych. Ho scelto “Commune” perché sono rimasto colpito da come questo album riesca, anche in un anno denso di ombre come è stato il 2014, a trasmettere gioia di vivere e buone vibrazioni. Il suo sapore di happening psichedelico anni ’60 oggi può sembrare anacronistico… ma credo che di “good vibrations” ci sia bisogno oggi più di allora.
Inoltre: a differenza di altri musicisti psych più pedissequamente revivalisti (come il sopravvalutato Ty Segall), i Goat hanno trovato una propria cifra distintiva. Che è quella dell’innesto, in brani psych, di ritmiche afrobeat.
Ho letto che vengono da Korpilombolo, un piccolo paese (poco più di cinquecento abitanti!) sperduto nel nord della Svezia, dove d’inverno la temperatura lambisce i -30°. Ignoro se la cosa risponda a verità, o se sia una trovata di marketing. Ma se è vera…. la loro passione per i groove afro mi pare che acquisti un senso diverso, persino struggente. Quello della musica come rito sciamanico, capace di scacciare il gelo dalle case e dai cuori.
Ecco una versione live del brano di apertura di “Commune”:
Breve divagazione personale. Per me il 2014 è stato (musicalmente parlando) l’ANNO DELLA SVEZIA. E’ da questa nazione che vengono sia i Goat sia Mats Gustafsson e la Fire Orchestra.
Aggiungo che – se invece di una “Top Five” – avessi dovuto compilare la mia “Top Ten” dell’anno, nella lista sarebbero finiti altri due dischi svedesi. Ovvero:
“Injuries” degli ANGLES 9 (trascinante formazione di 9 elementi, che diversi critici hanno accostato alla Liberation Music Orchestra di Charlie Haden);
e “Rhythm” dei WILDBIRDS & PEACEDRUMS (un duo formato dal batterista della Fire! Orchestra e sua moglie), che realizza canzoni perfettamente compiute utilizzando solo voce e batteria.
Se quattro indizi bastano a fare una prova, siamo di fronte ad una epidemia di calore nordico!
Valerio D’Onofrio: Col milanese Paolo Benvegnù voltiamo totalmente pagina e andiamo alla canzone d’autore italiana. Sei d’accordo con questa presentazione, o credi che Benvegnù vada oltre i classici cantautori nostrani?
Vittorio Nistri: Reputo Paolo, insieme a Giovanni Succi, il meglio della “canzone d’autore” italiana contemporanea. Trovo corretto definire Benvegnù come un “cantautore”, nel modo con cui questo termine viene usato per Peter Gabriel, Bjork, Peter Hammill, Kate Bush, ecc. Artisti che dedicano alla ricerca musicale un peso ben diverso rispetto ai tradizionali songwriters “voce e chitarra acustica” o “voce e pianoforte”.
Paolo è un autore ispirato quanto parco (pubblica pochi dischi, tutti preziosi). E inoltre, ha una delle voci più belle che sia possibile oggi sentire nel nostro paese. Profonda come quella di De Andrè, ma capace di librarsi improvvisamente in altezza (sentite, nell’ultimo album, il brano “Life”, e ditemi se non ha la levità del miglior Paul McCartney) o di spezzarsi in impreviste lacerazioni (sentite, dall’album “le Labbra” del 2008, il brano “la Schiena”, e ditemi se, quando grida “Non hai nemmeno un idolo da venerare. Nemmeno quattro soldi per andare al mare”, non ha la potenza emozionale di Peter Hammill).
Non riesco a capacitarmi del perché il suo “Earth Hotel” sia così poco presente nelle playlist italiane del 2014 (dove invece spopola, ad esempio, Riccardo Sinigallia). Così come da anni mi chiedo perché Paolo non abbia mai avuto le copertine che la stampa ha riservato a un Dente o un Vasco Brondi.
Ma forse la risposta è nella natura stessa delle sue canzoni, così schive e profonde. Che rifuggono da lustrini e piacionerie per seguire un percorso tutto interiorizzato, di grande spiritualità (uso questo termine nel senso più laico possibile).
La sensibilità di queste canzoni stabilisce un legame empatico con chi le fa proprie. Basta assistere ad un suo concerto per toccare con mano il rapporto speciale, quasi “ad personam”, che si viene a formare tra Benvegnù e i suoi ascoltatori.
Proporrei, ai lettori di PsycanProg che non conoscessero “Earth Hotel”, di sentire questo brano:
Rievoca il suicidio dello scrittore austriaco Stefan Zweig. Con un arrangiamento cameristico sobrio ma commovente, che poi si disperde in una nuvola di disturbi elettronici e “found voices”. Per me, qua siamo ai livelli di certi grandi brani dei Tuxedomoon o di John Cale.
Valerio D’Onofrio: Come tua ultima scelta non c’è un album ma un’etichetta italiana di cui abbiamo parlato varie volte, la piccola ma coraggiosa Snowdonia. Anche quest’anno ha pubblicato vari album, tutti interessanti e controcorrente, che hanno stimolato l’interesse di molti.
Vittorio Nistri: Nel 2014 ho preso cinque album pubblicati da Snowdonia: “Ukiyoe” di NICKELODEON/INSONAR, “Rinuncia all’eredità” di 3 FINGERS GUITARS, “Scimmie” di LUIGI PORTO, “Una cometa di sangue” di ANDREA TICH, e l’omonimo dei NEI-SHI. Li ho trovati tutti e cinque validi e propositivi.
Quattro di essi sono etichettabili come “sperimentali” (in modo differente l’uno dall’altro: la fantasia non manca, in casa Snowdonia). Quello di Tich è collocabile in un ambito di songwriting cantautoriale, ma è anch’esso una miniera di soluzioni creative e colori particolari.
Stavo pensando a quale di questi dischi inserire nella mia “Top Five” 2014, ma poi mi sono detto che – senza nulla togliere al valore dei singoli artisti e dei singoli album – la cosa più giusta era rendere omaggio a ciò che li accomuna. Ovvero, la loro etichetta discografica.
Ci vuole un coraggio da leoni per continuare a pubblicare dischi di questo tipo, in un momento in cui, salvo rare eccezioni, le vendite indie sono scese sotto la soglia minima di sussistenza.
Non credete a chi dice che il Web facilita la vita alle proposte di nicchia (quelle che da sempre vengono scarsamente promosse da media e majors). E’ vero che oggi anche la band più marginale può ritagliarsi una vetrina nell’oceano della Rete… ma questo non aiuta a pagare le bollette. Il dilagare del download ha disabituato molti dall’acquisto della musica; e la conseguente drastica diminuzione delle vendite ha nuociuto assai di più ai “piccoli” che non ai “grandi”. Perché se uno vendeva 50.000 copie e oggi 10.000, comunque il lunario lo sbarca; ma se vendeva 1.200 copie, e adesso 200, il discorso è catastroficamente diverso.
Chi non opera nel settore non può immaginare le difficoltà che una indie come Snowdonia deve affrontare per promuovere musiche “altre”, in un contesto nel quale è diventato durissimo, per chi fa questo tipo di scelte, mettere insieme il pranzo con la cena.
E proprio per questo rimango senza parole nel vedere quanti dischi, e di quale livello, sono usciti nel 2014 per questa etichetta, le cui uniche risorse risiedono nell’amore viscerale per la musica di Alberto Scotti e Cinzia La Fauci. Hats off to Snowdonia!
Come ultimo link, propongo un brano, al quale ho avuto l’onore di partecipare, tratto dall’album di Nickelodeon/ InSonar. Gli ingredienti: una voce dall’estensione praticamente illimitata (come lo è la sua espressività, capace di spaziare dal Teatro della Crudeltà all’opera); un terzetto di fiati canterburiani; ed elettronica atonale. Una musica radicalmente fuori da ogni schema!
Gli Album consigliati del 2014.
I consigli di Psycanprog.
I consigli di Antonello Cresti.
I consigli di Enrico Ramunni.
I consigli di Vittorio Nistri.