
Cinque album del 2014 consigliati da Enrico Ramunni
Cinque domande, cinque album, cinque consigli, cinque spunti di riflessione con Enrico Ramunni
Continuiamo il nostro percorso nei migliori album del 2014 e, stavolta, lo facciamo con uno storico collaboratore della bellissima rivista Rockerilla, Enrico Ramunni. Ho avuto la fortuna di conoscere Enrico circa due mesi fa a Milano e non ho potuto non notare in lui una grandissima passione per la musica ed altrettanta esperienza maturata in decenni di ascolto. Enrico è una di quelle persone che “vivono” di musica. I cinque album scelti per il 2014 sono:
- TUXEDOMOON “Pink Narcissus”
- GOAT “Commune”
- FRANCO D’ANDREA SEXTET “Monk and the Time Machine”
- JACK BRUCE “Silver Rails”
- DAVID CROSBY “Croz”
Valerio D’Onofrio: Ciao Enrico. Con la tua prima scelta partiamo subito alla grande, i Tuxedomoon sono un un gruppo fondamentale, rappresentando una delle “ondate” più colte e originali del movimento new wave. Scoperti inizialmente dai Residents, hanno poi trovato il meritato successo in Europa. Nel 2014 pubblicano un nuovo lavoro, cosa ti è piaciuto di quest’album?
Enrico Ramunni: Con Pink Narcissus i Tuxedomoon danno una delle migliori prove di sempre di quel romanticismo decadente, di chiaro stampo mitteleuropeo, che è una delle loro cifre stilistiche costanti. Sicuramente stimolati dall’argomento di fondo – la sonorizzazione di un film erotico di grazia sublime, con un vivido senso del clore e della danza – Steven Brown e soci si producono in una suite da camera che un po’ riecheggia la Ghost Sonata, anche per varietà di climi – tra il canto struggente del violino e l’incalzare del groove di basso e drum machine, poesia iperuranica e ambientazioni noisy e distopiche – ma sempre all’interno di un’estetica coerente. Primi per distacco.
Valerio D’Onofrio: Altra sorpresa dell’anno sono stati i Goat che con Commune hanno tenuto alta la bandiera hippie e creato un clima da happening che ci riporta a tempi ormai andati. E’ solo nostalgia o il messaggio è ancora attuale?
Enrico Ramunni: Personalmente non trovo nulla di nostalgico nel suono dei Goat, semmai qualcosa di eterno: l’energia vitale, il culto pagano della natura, il ritmo tribale che non è esotismo a uso delle masse, ma espressione del nucleo ultimo della propria anima, questione di vita o di morte. E poi la forza sciamanica, dai poteri curativi, che resterà attuale finché ci saranno mali da curare.
Valerio D’Onofrio: Cambiamo totalmente pagina e ci spostiamo nel campo del Jazz con l’album di Franco D’Andrea dedicato ad un gigante come Thelonious Monk. La scommessa, indubbiamente coraggiosa e perlomeno rischiosa, può ritenersi vinta?
Enrico Ramunni: Scommessa vinta perché giocata rischiando tutto. Monk è un totem difficilissimo da interpretare senza farsi sovrastare dalla sua personalità di compositore (quindi ripercorrendone pari pari la sintassi) o senza al contrario scivolare in una cavalcata mainstream sui sui temi immortali (neutralizzandoli a suon di pattern e cliché). Monk and the Time Machine scolpisce tanto il monumento del gigante D’Andrea quanto quello di Thelonious, amalgamando in un originale ologramma due figure apparentemente inconciliabili.
Valerio D’Onofrio: Parlare oggi di Jack Bruce, a pochi giorni dalla sua morte, non è facile. Il suo ultimo album solista, Silver Rails, è anche il suo addio e l’ultimo atto di una carriera straordinaria. Come vuoi ricordarlo e cosa puoi dirci di Silver Rails?
Enrico Ramunni: Una doverosa premessa: avevo selezionato questo disco per la playlist di fine anno ancor prima che Jack mancasse. Non è una scelta sull’onda dell’emozione, è un riconoscimento a un artista che avuto la forza di proporre una delle sue opere più belle dopo 50 anni di carriera, circondandosi di mostri sacri ma tenendo la fila del tutto con la forza della sua scrittura e l’abilità istintiva di narrare. Una raccolta di canzoni sinceramente ispirate, che compiscono nel segno. Per questo il mio ricordo di Jack Bruce non è tanto legato al mitico basso dei Cream, quanto all’artista a tutto tondo capace di esprimere le proprie emozioni in una estrema varietà di modi e di linguaggi.
Valerio D’Onofrio: Infine chiudiamo con un altro mostro sacro, David Crosby, che con l’ultimo album Croz mostra ancora una volta grande lucidità. Dopo avere incarnato una parte importante della generazione di fine anni sessanta, cosa può dire oggi alle nuove generazioni?
Enrico Ramunni: Può dire che non importa quanti errori hai commesso, non importano le cicatrici che ti porti addosso, non importano le perdite e le sconfitte, se hai preservato quel nucleo di innocenza e di candore capace di farti ripartire ogni volta, di stupirsi e di stupire. C’è un fanciullo dietro gli occhi di questo grande vecchio capace di commuovere ogni volta che sfiora le corde della sua chitarra.
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