
Yes | 90125 (1983)
Il rapido passaggio dai vertici del progressive ai vertici delle discoteche
L’ingresso negli anni ottanta non è stato facile per i gruppi storici del progressive rock. Chi nel decennio precedente ha avuto le capacità ed i meriti di sfornare i grandi capolavori del progressive rock, negli anni ottanta resta spiazzato. Il progressive ormai è praticamente morto, la sua spinta propulsiva si è conclusa. Tutti i suoi album migliori e più importanti hanno date almeno antecedenti al 1975. C’è chi si scioglie, come i Gentle Giant o gli ELP (a parte la reunion del 1992), chi intraprende strade nuove ed artisticamente valide, come la quarta fase dei King Crimson, chi invece percorre strade molto redditizie economicamente che però non lasciano alcun segno nella storia del rock; mi riferisco in particolare ai Genesis e agli Yes.
Inutile ricordare che gli Yes sono stati tra i capostipiti del prog-rock e che insieme a gruppi sopracitati hanno contribuito a scriverne la storia. Alcuni loro lavori rappresentano i vertici assoluti del genere, secondi forse solo ai migliori dischi dei King Crimson. Gli album del loro periodo d’oro 1971-1974, The Yes Album (1971), Fragile (1972), Close To The Edge (1972), Tales From Topographic Oceans (1974) e Relayer (1974) sono “il” progressive (o sarebbe meglio dire “un” progressive, nel senso di un determinato tipo). Giunti negli anni ottanta gli Yes pubblicano un disco discreto, Drama (1980), che contiene l’eccellente suite Machine Messiah, brano che riprende i vecchi fasti.
Passano tre anni e cambia tutto. Gli Yes si sciolgono, Howe forma i deludentissimi Asia, Chris Squire e Alan White incontrano il chitarrista Trevor Rabin che aveva già del materiale pronto e decidono di formare un gruppo che doveva chiamarsi Cinema. Doveva andare così, i Cinema sarebbero stati uno dei tanti gruppi anni ottanta ed invece viene contattato Anderson che decide di partecipare. Il gioco è fatto, ecco rinati gli Yes. Ma in effetti degli Yes ci sono solo due cose, il nome e la voce di Anderson. Le magiche alchimie di Howe e Wakeman sono lontanissime, questi Yes seconda o terza versione fanno un rock ipercommerciale (definito AOR) che punta dritto dritto alle discoteche. Con questo non voglio dare un giudizio assolutamente negativo, gli Yes faranno molto di peggio. Il lavoro è ben fatto e raggiunge in pieno il suo obiettivo, scalare le classifiche. Il mercato chiedeva proprio questo e Rabin si è trovato al posto giusto al momento giusto. Trascinati dal famosissimo brano Owner of a Lonely Heart raggiungono quasi i 9 milioni di dischi venduti e vincono il premio Grammy nel 1985. 90125 è l’album più venduto degli Yes.
Ma sappiamo bene che il numero di copie vendute non è mai un criterio per valutare la qualità di un album. Rabin è tecnicamente un buon chitarrista ma preferisce gli effetti facili ed immediati piuttosto che la complessità delle composizioni di Howe. Trova la soluzione nel modo più semplice possibile, riff, ritornello orecchiabile, assolo semplice ma potente, durata di tutti i brani di circa quattro cinque minuti (a parte Hearts), uno strizzata d’occhio alla musica dance, pop, all’hard rock e al glam rock. Alla fine il risultato è un’insalata mista dove si trova un pò di tutto col rischio, che è quasi una certezza, che non rimanga nulla di utile o di significativo nella nostra mente.
Impossibile non conoscere Owner Of A Lonely Heart col suo riff hard rock che resta immediatamente impresso nella mente. In effetti è proprio quel riff che ha trascinato le vendite di quest’album. Senza questo brano le cose sarebbero state ben diverse.
Il resto è un susseguirsi di canzoni pop-rock-dance molto melodiche, alcune dignitose, che potrebbero stare benissimo in qualsiasi programma di MTV. In alcuni brani, ad esempio Leave it, il suono della tastiera è talmente stucchevole da far venir voglia di spegnere immediatamente e riascoltare Close to the Edge.
L’unico brano che rievoca, molto alla lontana, qualcosa dei vecchi Yes si trova alla fine, Hearts, ma i veri Yes sono un’altra cosa.