
Yes | Relayer (1974)
Puro Yes-sound nell'album che voleva "clonare" Close To The Edge
Di progressive rock ne sono esistiti tanti; pensare di mettere insieme tutti i gruppi classici del prog internazionale è limitativo e semplificatorio. Questa è stata forse la sua grandezza; avere avuto la fortuna di trovare alcuni grandi interpreti che – prendendo vagamente spunto da alcuni punti fermi del genere – sono riusciti a interpretare in modo assolutamente personale, riconoscibile, quindi diverso l’uno dall’altro, alcune attitudini e idee ispiratrici (la lunghezza dei brani, la magniloquenza, l’importanza della tecnica). Mi spiego meglio; sarebbe stato possibile per un gruppo come i King Crimson suonare un brano come Close To The Edge? O per gli ELP scrivere Aqualung? O per gli Yes registrare Starless? Direi proprio di no. Perché, per quanto tutti questi gruppi siano inseriti dentro il grande calderone del progressive rock, sono sempre stati totalmente diversi l’uno dall’altro; le cose che li accomunavano – pur evidenti – erano sempre meno di quelle che li dividevano. Anche i singoli musicisti avevano poco in comune tra loro; lo stile di Fripp è talmente diverso da quello di Howe che bastano pochi secondi di ascolto per distinguerli; lo stesso dicasi per Wakeman e Emerson che suonano la tastiera in maniera lontanissima l’uno dall’altro. Per questo è corretto dire che sono esistiti tanti tipi di progressive. Questo aspetto è proprio quello che manca e che non riescono a comprendere i tanti emuli del prog anni settanta, molto spesso incapaci di creare alcunché di davvero personale e riconoscibile, limitandosi a una, pur dignitosa, riproposizione di quello che altri avevano già fatto decenni prima di loro.
Da questo punto di vista Relayer è una album paradigmatico. Gli Yes, nell’anno in cui King Crimson “superano” il progressive (Red-1974), dopo l’album più estremo che avevano mai registrato, l’iperprogressive di Tales from Topographic Oceans, ritornano – dopo l’addio di Wakeman, sostituito dall’ottimo Patrick Moraz – con un album di riconoscibilissimo stile Yes, che specialmente nella splendida suite The Gates of Delirium contiene tutti gli elementi che li hanno fatti entrare nella leggenda e portati al vertice del progressive rock internazionale. Quale altro gruppo avrebbe mai potuto creare un’intro tanto personale; assolutamente nessuno, è un sound talmente “stile” Yes che solo loro avrebbero potuto suonarlo. Dentro The Gates of Delirium ci sono tutte le esperienze pregresse degli Yes; dall’eleganza alla tecnica, dall’atmosfera fiabesca alla divisione in sottobrani, dall’intro all’incantevole finale che rimanda a momenti migliori di Close To The Edge, album di cui Relayer riprende la struttura (un lato con una lunga suite, il secondo lato con due brani più brevi). Se tutto l’album fosse così staremmo parlando di un capolavoro ma le restanti Sound Chaser e To Be Over appaiono minori, forse proprio per gli stessi motivi per cui The Gates of Delirium giganteggia; la minore personalità e riconoscibilità dei brani. Sound Chaser rimanda agli ELP ma con maggiore influenza jazz, mentre To Be Over è una ballata che rievoca sonorità orientali per poi perdersi in atmosfere che riprendono And You And I ma con meno ambizione.