
Vanilla Fudge | The Beat Goes On (1968)
In una lunga intervista pubblicata postuma verso la fine del 2014 dalla rivista “Prog”, a firma di Paolo Carnelli, Joe Vescovi, storico tastierista del gruppo musicale The Trip, affermava: “Tutti dicono che il prog è nato con i King Crimson ma in realtà non è così. Indubbiamente, il Paese che più ha prodotto gruppi prog è stata l’Inghilterra, e subito dopo l’Italia, ma i primi a realizzare un album prog sono stati gli americani Vanilla Fudge nel 1968 con The Beat Goes On.
Il gruppo musicale Vanilla Fudge si formò a New York nel 1966 ed inizialmente la line-up era costituita da Tim Bogert al basso, Carmine Appice alla batteria, Mark Stein alle tastiere e Vince Martell alla chitarra. Mark Stein e Tim Bogert agli inizi suonavano in una band chiamata Rick Martin & The Showmen ma rimasero molto impressionati dalle sonorità fluide dell’organo di un’altro gruppo musicale, The Rascals, e decisero di formare una propria band, The Pigeon, con Vince Martell e il batterista Joey Brennan. Cambiarono il nome del gruppo nel 1966 su suggerimento, sembra, di un’amica, scegliendo il definitivo Vanilla Fudge, ispirandosi ai coni di gelato aromatizzati alla vaniglia. Entrerà a far parte del gruppo il batterista Carmine Appice in sostituzione di Joey Brennan. La band fu “scoperta” dal manager Phillip Basile, ritenuto un membro della famiglia criminale dei Lucchese, che operava in molti club di New York. In questa scena, dunque, sviluppano la loro formazione artistica che li porta a reinterpretare molti successi dei The Beatles e di altri artisti in chiave psichedelica oppure in versioni rock molto muscolari e metalliche ed iniziano ad avere un loro pubblico di fans molto agguerriti.
La band è tuttora attiva, sebbene dopo molti scioglimenti e reunion, con Pete Bremy al basso al posto di Tim Bogert e molti musicisti hanno partecipato del successo che essa ha avuto in tutti questi anni, soprattutto in Europa e nel nostro Paese in particolare, dove nel 1969, i Vanilla Fudge vinsero la “Gondola d’oro” al festival di Venezia. In quella occasione scossero giuria e pubblico, a quell’epoca abituati alla canzone melodica italiana, con un’ineccepibile versione lisergica di Some Velvet Morning, un remake di un successo di Nancy Sinatra e Lee Hazlewood. I loro dischi migliori si collocano proprio negli anni tra la metà e la fine dei Sessanta, quando cioè molti gruppi avevano messo mano a diversi tipi di sperimentazione per far crescere la popular music arricchendone il linguaggio e lo stile con preziose contaminazioni di musica classica. Quel periodo della musica ci lascia molte opere raffinate e colte insieme ad altre prolisse, epiche e pretenziose, ma tutte ugualmente importanti foss’altro per il fatto che proprio da quegli esperimenti scaturirà quel rock progressivo che segnerà la storia della musica contemporanea per quasi tutto il decennio successivo.
I Vanilla Fudge si muovono dunque in una terra di mezzo insieme ad altri gruppi storici come i Procol Harum e i Moody Blues, distinguendosi tuttavia per uno stile molto più “acido” e per certi versi più “strambo” un mix efficace di psichedelia, rock metallico, primi esperimenti progressive e naturalmente importanti contaminazioni sinfoniche. L’ascoltatore imparerà a riconoscere d’acchito le loro stravaganze, i loro giochi lisergici, i muri sonori metallici che s’alzano d’improvviso e anzi cercherà proprio tutto questo tra i tanti dischi nei negozi specializzati dell’epoca affinando via via il proprio intelletto ed orecchio a quello che si presagisce accadrà negli anni dell’immediato futuro. La band deve gran parte delle sue fortune al suo batterista, a quel Carmine Appice che oggi riconosciamo essere una delle leggende della batteria hard rock, accanto a John Bonham, Bill Ward e Ian Paice. Egli, oltre ad essere dotato di una tecnica eccellente è molto apprezzato ancora oggi per la sua originalità e per il suo coraggio nella sperimentazione di nuovi groove batteristici, mescolando tra loro stili distanti e spesso contraddittori.
Carmine Appice è batterista veloce e molto attento alla pulizia del suono del suo strumento: ritenuto valido insegnate, i suoi metodi sono considerati tra i migliori del rock. “Realistic Rock“, un suo video didattico, è stato oggetto di studio di batteristi famosi, come Gregg Bissonette e Dave Weckl. Egli si esibisce dal vivo con un vero talento di showman con spettacoli brillanti ed entusiasmanti: lo si vede spesso in un suo numero ricorrente in cui fa roteare le bacchette con le dita (anche se molti attribuiscono l’invenzione di questo show a Keith Moon degli Who). Carmine Appice nel 2005, è divenuto supporter di “Little Kids Rock“, associazione no-profit che provvede strumenti musicali e lezioni gratuite ai ragazzini delle scuole pubbliche statunitensi. Tra gli altri sostenitori di questa organizzazione troviamo Joe Satriani, Jason Newsted, Brad Delson, Bob Weir, Steve Vai, Jesse McCartney.
In una lunga intervista pubblicata postuma verso la fine del 2014 dalla rivista “Prog”, a firma di Paolo Carnelli, Joe Vescovi, storico tastierista del gruppo musicale The Trip, affermava: “Tutti dicono che il prog è nato con i King Crimson ma in realtà non è così. Indubbiamente, il Paese che più ha prodotto gruppi prog è stata l’Inghilterra, e subito dopo l’Italia, ma i primi a realizzare un album prog sono stati gli americani Vanilla Fudge nel 1968 con The Beat Goes On. Anche se i pezzi che suonavano non li avevano scritti loro, ma proponevano cover dei Beatles o di altri artisti, fu la prima volta che ascoltai un brano che durava venti minuti, che variava nel tempo, proprio in stile progressive. Furono tutti stupiti da questa cosa. Guarda caso, poco dopo vennero fuori i King Crimson e i Jethro Tull, e arrivò la grande botta dall’Inghilterra che ha ripreso quegli schemi applicandoli a dei brani inediti. Noi siamo partiti proprio da lì, come punto di riferimento: anche se nel primo album, The Trip, c’è musicalmente poco dei Vanilla Fudge, il concetto di fare pezzi di una certa lunghezza, con dei cambiamenti di tempo e atmosfera è già presente. Poi è chiaro, da lì in poi l’Inghilterra dominerà la scena…”
The Beat Goes On, uscito nel 1968 per l’Atco Records è il secondo album dei Vanilla Fudge, e si tratta di un concept, anzi potrebbe persino essere una rock-opera, dipende in buona sostanza da quale angolatura la si voglia giudicare. La tracklist non è costituita da canzoni ma da 4 fasi, ognuna composta da diverse parti e movimenti, con il risultato di avere vari elechi puntati che nemmeno Yes e Gentle Giant avrebbero mai neppure immaginato. Nel complesso dunque certamente un’impostazione progressiva. L’idea che sta alla base dell’opera è semplice: rappresentare in tre quarti d’ora la storia della musica e della società, da Mozart e Beethoven agli stessi Vanilla Fudge. Il filo conduttore di tutto, una hit di Sonny Bono, che verrà ripetuta in vari modi 6 volte in tutto l’album. Tradizione vuole che The Beat Goes On sia stato ideato e orchestrato non dalla band ma dal suo produttore George “Shadow” Morton, scomparso nel 2013. Si dice che egli avrebbe trascinato i giovani musicisti attraverso quella cavalcata selvaggia lunga quattro fasi musicali in cui si fondono trasmissioni radio storiche, mantra, brevi vignette musicali mescolate a citazioni di brani di altri autori e interpreti moderni e passati, voci di leader mondiali di varie epoche, e molti altri materiali sonori, solamente per il proprio piacere.
Nel lato A, “Phase 1” i Vanilla Fudge, con la delicatezza di un elefante in un negozio di cristallerie interpretano la “Morte del Cigno”, passano da Mozart a Cole Porter, fino a sfiorare Hound Dog di Dozier & Holland e ben 4 lunghi inserti di altrettanti pezzi dei Beatles. Nella “Phase 2“, aperta e chiusa da Sonny Bono, troviamo il singolare omaggio di Stein a Beethoven: “Per Elisa” e la “Sonata al Chiaro di Luna” cover fatte e finite, eseguite come ad un saggio di musica colta, un inserto interpretato con l’intelligenza che li legittima come capostipiti inconsapevoli del “simphonic-prog” inglese di Nice, Procol Harum e Renaissance.
Nel lato B, nella immancabile cornice del futile motivo di Sonny Bono, nella terza e quarta fase la musica viene inghiottita da un caleidoscopio di voci registrate: Thomas Edison, Winston Churchill, Roosevelt, Kennedy eppoi i quattro giovani musicisti con la regia attenta di Morton. “Voices in Time” e “Merchant – The Game is Over” aggiungono ancora frasi e frasi fino a togliere il fiato a chi ascolta. Il lato B è senz’altro complesso e a volte scade nell’autoreferenza, nel tentativo di trasmettere altro, di utilizzare il “media” disco per una comunicazione sovra-sensoriale, tanto che nelle note di copertina di una ristampa del disco Tim Bogart affermerà riferendosi al pessimo rapporto stabilitosi con Morton: “Questo fu l’album che uccise il gruppo”, anche se poi un procedimento creativo analogo, verrà utilizzato molte altre volte da Virgin Forest dei Fugs, a Deviation Street dei Deviants da Zappa prima ai Faust poi, che faranno diventare forma artistica questo metodo di sovrapposizione. Il risultato finale, comunque, fu così maledettamente stravagante e bizzarro che riuscì a confondere anche i figli dei fiori che avevano messo radici in tutta la west-coast degli Stati Uniti e l’album sebbene abbia avuto un successo inferiore rispetto al disco d’esordio, si piazzò al diciassettesimo posto nella classifica degli album di Billboard del marzo 1968. Dopo questa esperienza i Vanilla Fudge realizzeranno altri tre dischi fino al 1969 anno del loro primo scioglimento.
In the Court of the Crimson King sarebbe uscito solamente il 10 ottobre 1969.