
Univers Zero | Heresie (1979)
L'apice del Rock In Opposition dei leggendari Univers Zero, tra eresia e avanguardia alla ricerca di nuovi mondi musicali

Univers Zero – Heresie
I belgi Univers Zero hanno rappresentato una della pagine più colte, oscure e macabre della storia della musica popolare; perfino all’interno del complesso movimento del “Rock In Opposition” hanno esaltato questi aspetti andando ben oltre la definizione di musica rock e raggiungendo livelli non eguagliati. Non so chi abbia scritto la frase “Se Stravinskij avesse avuto una rock band, suonerebbe così …“, presente nel loro sito ufficiale, ma questa opinione è indubbiamente fedele alla realtà. La loro capacità di miscelare musica da camera, musica classica, jazz, il versante più colto e di ricerca della musica rock (Frank Zappa, Rock In Opposition), la musica di Canterbury più vicina alla fagottista Lindasy Cooper, con le atmosfere gotiche dei classici film horror in bianco e nero (Murnau, Whale), il teatro Gran Guignol e un sottofondo oscuro e macabro, ha ben pochi precedenti; i soli Art Zoyd, gruppo francese con attitudini e sonorità molto simili, hanno esplorato territori simili. La vicinanza al progressive rock è evidente in vari momenti, ma la verità è che gli Univers Zero guardano già in un “altrove” musicale che solo incidentalmente si accosta ai gruppi prog loro contemporanei.

Univers Zero
Dopo l’esordio “1313” (1977), che già preannunciava le enormi qualità del gruppo, si giunge a “Heresie” (1979) – sorta di Sinfonia horror divisa in tre movimenti – in cui gli strumenti dominanti sono archi, fagotto, percussioni, harmonium, clarinetto e oboe. La voce, quando presente, è una malsana litania da messa nera che ha lo scopo di inserirci nell’ambiente dipinto dai musicisti. Il viaggio nell’orrore inizia con i colossali venticinque minuti di “La Faulx“, scritta dal geniale batterista Daniel Denis, nonchè autore di gran parte dei brani degli Univers Zero. In questa lunga opera ci sono un po’ tutte le idee dei belgi, dalla musica camera, alle atmosfere funeree, al parlato “satanico”, fino alle improvviso esplosioni sonore, sempre in contesto che si pone tra musica popolare e musica d’avanguardia.
“Jack the Ripper” è una vera discesa negli inferi, tanto profonda da far impallidire tutti i tentativi, precedenti e successivi, di trasportare in musica la storia del famoso “squartatore”. L’inizio di archi e fagotto fa quasi paura col suo senso di buio e totale assenza di speranza; il brano cresce in energia nei minuti successivi facendo sprofondare l’ascoltatore in un vortice senza uscita che utilizza le avanguardie del 900, cacofonia e jazz in una miscela inaudita ma memorabile. Il finale “Vous le saurez en temps voulu” è ancora di grande complessità ma più accostabile al precedente album.