
The Nice | Nice (1969)
Il culmine dell'ispirazione dei Nice, l'apoteosi progressiva della prima creatura di Keith Emerson
Il terzo album dei Nice è indubbiamente il loro capolavoro, con la band schierata ancora in una formazione triangolare al cui vertice si erge il nome del tastierista Keith Emerson e che viene chiuso musicalmente dai cateti Keith “Lee” Jackson (basso e voce) e Brian “Blinky” Davison (batteria). Nice venne registrato solo per metà ai Trident Studios di Londra, lasciando spazio nel lato B per una coppia di brani dal vivo: questa formula riscosse un discreto successo in Inghilterra (raggiungendo la terza posizione in classifica), mentre il disco venne rilasciato negli USA con una diversa copertina e nomenclatura (Everything as Nice as Mother Makes It) a causa di un cambio di etichetta. D’altronde, proprio l’immagine di copertina lasciò frustato lo stesso Emerson, che si dice trascorse più di un’ora sbattendo le porte del suo appartamento londinese.

The Nice
L’album si compone di sole 6 tracce ben ponderate, ma la scarsità numerica dei brani compensa con la moltitudine di idee di buona qualità che ritroviamo in essi, pur trattandosi di un disco meno sorprendente dei primi due sul fronte compositivo, soprattutto a causa delle molte riletture (due soli, infatti, sono i brani totalmente originali). Nella sostanza, questo Nice può essere quasi considerato come una versione embrionale degli Emerson Lake & Palmer, senza due degli artefici originali: Lee Jackson e Brian Davison appaiono infatti, qui più che mai, come dei semplici musicisti in accompagnamento alle ambizioni del virtuoso Keith Emerson.
Apre le danze l’infestata Azrael Revisited, una traccia psichedelica rielaborata classicamente (presa dal lato B di un 45 giri, poi bonus-track di The Thoughts of Emerlist Devjack) che palesa fin da subito l’indirizzo musicale propugnato da questo Nice. Anche se spogliata del potere viscerale della chitarra dell’esiliato David O’List, il suono circolare del piano honky-tonk di Keith conferisce un sentore potente e nefasto, citando abbastanza liberamente un Preludio di Rachmaninov in DO# Minore (ed è interessante notare come il compositore russo scrisse questo pezzo per pianoforte dopo aver letto una delle storie di Edgar Allan Poe circa un uomo che torna alla vita nella bara dopo la sua sepoltura).
L’intimo valzer di Hang on to a Dream è poi una versione jazz della canzone di Tim Hardin, incentrata sulle maestose parti di pianoforte di Emerson e sui cori sacri, ma appare altrettanto debole quanto subentra la voce poco convinta di Jackson.
La frastornante Diary of an Empty Day, con un testo irriverente e confuso (scritto durante un noioso viaggio da Newcastle a Birmingham), è invece basata liberamente sulle “Symphonie espagnole” di Edouard Lalo, con Jackson che inietta anche una fulminea dosa di ironia per mezzo di una chitarra iberica che appare brevemente verso la fine di questa eccentrica composizione.
Sull’altro versante, la sincopata suite di 9 minuti For Example è un condensato dall’essenza progressiva e barocca, che assume un certo numero di conformazioni senza mai fossilizzarsi in un’unica entità, tra pianoforti jazz, canti gregoriani, riverberi blues e rimandi alla “Norwegian Wood” dei Beatles. L’impressione generale è tuttavia di una suite fredda ma molto appariscente, probabilmente un po’ troppo sopra le righe in alcune delle sue parti.
Le ultime due tracce sono una coppia di incisioni live dal Fillmore East Festival di New York: la galoppante Rondo ’69, rivisitazione del “Blue Rondo á la Turk” di Dave Brubeck già incisa sul primo LP e l’estrosa She Belongs to Me, una cover di Bob Dylan mutata nel DNA ed estesa teatralmente fino a 12 minuti.
Nice è un album non esente da difetti, ma di indubbia importanza nella nascita del progressive inglese e nella carriera di Keith Emerson. I problemi principali, però, rimangono essenzialmente due: Lee Jackson non è Greg Lake e Brian Davison non è Carl Palmer. Due problemi ovviamente non risolubili senza un taglio drastico e, infatti, il talento di Emerson viene pure qui troppo spesso smorzato. In aggiunta, la voce di Jackson continua ad essere un fattore disturbante anche in questo terzo disco e nonostante sia, al pari di Davison, un musicista di talento, entrambi non furono abbastanza eclettici come Lake e Palmer da reggere le aspirazioni di Emerson e rendere leggenda la storia di questi sfortunati Nice.