
The Nice | The Thoughts of Emerlist Davjack (1967)
Il tiepido esordio dei Nice e l'inizio della leggenda di Keith Emerson
Alla sorgente del progressive inglese troviamo l’ecosistema dei Nice, la cui storia nacque quasi per caso: nel 1967 il produttore Andrew Loog Oldham (titolare della neonata etichetta Immediate e futuro manager del gruppo) si trovò a dover allestire una backing band per il tour inglese della cantante P.P. Arnold: fu così che, dopo una serie di provini, la scelta cadde sul tastierista Keith Emerson e sul bassista Lee Jackson, coadiuvati dal chitarrista David O’List. Al termine del tour, i tre musicisti decisero però di formare un proprio gruppo e di proseguire per la loro strada, inserendo nel loro progetto anche il batterista Brian Davison. Fu un’esclamazione ripetuta spesso da Steve Marriott degli Small Faces a suggerire il nome alla nuova band (“Here comes the nice“, che suona in italiano più o meno come “adesso viene il bello”), che rimpiazzò la scomoda sigla iniziale “The Little People” (troppo simile a quella di una congregazione religiosa del periodo).
Con un contratto appena strappato alla Immediate, i Nice esordirono con il 45 giri di The Thoughts of Emerlist Davjack, un orecchiabile singolo a cui fece seguito nel dicembre del 1967 l’album che ne riprese l’eccentrico titolo, ampliando la formula pop-psichedelica con inserti estratti dal repertorio classico. Il nome Emerlist Davjack fu uno pseudonimo creato dalla combinazione dei cognomi dei quattro membri del gruppo: EMERson, o’LIST, DAVison e JACKson e sulle note originali questo fantomatico personaggio venne accreditato come unico autore di tutti i pezzi. Curiosa, infine, anche la vicenda relativa agli scatti per la copertina, in cui il fotografo Gered Mankowitz propose al quartetto di levarsi le camicie che indossavano e di avvolgersi in una sorta di pellicola di plastica: un’immagine alquanto bizzarra, con una sfrontatezza appena accennata sul volto del quartetto che pare quasi preludere ad alcuni spettacoli della band, destinati a riverberare la loro polemica nel corso degli anni, come quando bruciarono e calpestarono la bandiera americana in un concerto alla Royal Albert Hall per protesta contro la Guerra in Vietman, suscitando le immediate censure negli USA.

The Nice
Anche se The Thoughts of Emerlist Davjack è essenzialmente un disco psichedelico, parte della critica vi vide negli anni una prima manifestazione di rock progressivo, la cui paternità viene però contesa coi Moody Blues di Days of Future Passed e col singolo di debutto dei Procol Harum A Whiter Shade Of Pale. Siamo nel 1967, due anni in anticipo alla venuta del Re Cremisi, forse il primo album che si può considerare univocamente progressivo nella storia, ed infatti gran parte del disco di esordio dei Nice reca l’impronta inconfondibile dell’anno in cui è stato registrato: la miscela di armonie alla Moody Blues, le chitarre in stile Jimi Hendrix, le recitazioni sussurrate e, infine, quell’impostazione generica di centrifugare tutti i generi su cui si potevano mettere le mani in un unico prodotto. Fatte queste premesse, sarebbe tuttavia un errore accusare The Thoughts of Emerlist Davjack di essere soltanto una mera miscela di ingredienti triti e ritriti, perché esso porta decisamente qualcosa di nuovo sul tavolo, imbandito soprattutto dalle tastiere di Keith Emerson: l’incessante aggressione del suo stile crea infatti una costante minaccia che incombe su tutto l’album, anche nei momenti più frivoli, e anche se questo pericolo si manifesta concretamente soltanto in un paio di tracce, il tastierista è stato capace di plasmare un intrigante bordo oscuro al canto sofferente del chitarrista/arrangiatore David O’List.
Questi ingredienti sono già assaporabili nell’aria di sortita Flower King of Flies, un brano che secondo Lee Jackson è dedicato al “Signore delle mosche” Paul McCartney e che viene modellato in un numero blues-psichedelico scandito dagli abbellimenti del clavicembalo e dell’organo di Keith Emerson – ma il merito non è solo suo, perché l’altra luce di questa unità sonora è naturalmente David O’List: il suo acuto suonare (ispirato a Jimi Hendrix) offre il giusto equilibrio alla prepotenza delle tastiere ed è soprattutto grazie a lui che questo è l’unico disco in cui Keith lavora come membro della band a tutti gli effetti e non come il suo indiscusso leader.
In seguito, la sacralità lisergica di Thoughts of Emerlist Davjack cattura pienamente l’essenza della psichedelia inglese, ma le tastiere barocche di Keith le donano un’aura assolutamente “sui generis”.
La vulcanica Bonnie K offre poi tutt’altri sapori, in una pietanza di rauco rock’n’roll dove, di conseguenza, lo strumento più importante è la chitarra. Qui è inevitabile il rimando al recente passato dei Nice come backing band R&B per la Arnold, con la chitarra ringhiante di O’List che quasi prefigura il suono hard-rock degli anni a venire.
La celeberrima Rondo è, invece, una rivisitazione del “Blue Rondo a la Turk“ del Dave Brubeck Quartet, con un breve estratto dalla “Toccata & Fuga in Re Minore” di Johann Sebastian Bach: è una traccia che è diventata la rappresentazione forse più emblematica di qualsiasi concerto di Emerson Lake & Palmer, in cui la musica classica incontra il rock in una prodezza sinfonica satura di armonie jazz, colori gotici ed una spavalderia tutta rock’n’roll. Non vi è nessun bluff, nessun trucco: Emerson lancia in in frantumi il ritmo 9/8 di Brubeck ed esalta chirurgicamente i pezzi rimasti in un galoppante 4/4.
L’abrasiva War And Peace è un altro brano strumentale con una potente chitarra che si prende la sua rivincita dalla precedente traccia pareggiando la sua battaglia contro l’organo, senza però mai strafare o dargli il colpo di grazia. Tuttavia, alla fine Davide non batte Golia e questo componimento risulta sicuramente dimenticabile, con l’ascoltatore lasciato senza la possibilità di ancorarsi ad alcun riff principale, perso in una vorticosa entropia melodica.
La stravagante Tantalising Maggie, invece, suona più come uno scherzo che una traccia, salvata in corner da un evocativo pianoforte classico: essa avrebbe forse potuto stare alla pari con “See Emily Play” ma purtroppo i suoi tanti frammenti individuali paiono incollati quasi a caso. Ascoltare questa canzone fa però ripensare al fatto che non fu poi così assurdo il fatto che David O’List abbia sostituito Syd Barrett in alcuni live dei Pink Floyd dopo la sua dipartita dai Nice, tuttavia in questo album essa appare come un introito stilistico.
Nel soliloquio mistico di Dawn siamo in grado di sentire un autentico festival della respirazione, con un tripudio di battiti irregolari di tamburi, suoni sperimentali ed opprimenti tastiere: si tratta però di un componimento piuttosto pesante, non aiutato affatto dal racconto sussurrato ed ansimante di Lee Jackson che, minaccioso, si presenta all’inizio in un lugubre connubio con l’organo. Ci pensa però il fanalino di coda The Cry of Eugene, nonostante il suo titolo, a rassicurarci: si tratta di un’idilliaca ballata psichedelica dedicata ad Arlecchino e Colombina, dove la voce ovattata e l’organo melanconico vengono fusi in una abbagliante combinazione, in un rock progressivo ancora embrionale, ma già percepibile ad occhio nudo.
Per concludere, probabilmente The Thoughts of Emerlist Davjack non fu il primo disco progressivo della storia, ma sicuramente fu uno dei primi infusi di motivi classici e jazz nella tazza del rock, in un liquido miscuglio di pop-psichedelico e proto-progressive che sarebbe forse la formula migliore per sintetizzare la musica di questo disco, con diverse parti originali che sublimano la debolezza di altre sezioni – e tutto questo avvenne non come un esperimento psichedelico con elaborati trucchi in studio (si vedano le infinite ore di lavoro su Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band), ma attraverso il talento di quattro musicisti intelligenti, che hanno avuto il coraggio di sostenere tali ambizioni.
Due delle bonus-track avrebbero forse migliorato l’esperienza d’ascolto di questo esordio gradevole, ma qualitativamente troppo discontinuo; in particolare, meritano una menzione speciale l’eccentrica America, una rilettura iconoclasta di un celebre tema di Leonard Berstain per “West Side Story”, e l’impetuosa Azrial (Angel Of Death), forse una delle composizioni migliori che i Nice abbiano mai prodotto, che avrebbe sicuramente meritato un posto nella track-list ufficiale. Bisogna infine ricordare come dopo The Thoughts of Emerlist Davjack i Nice rinunciarono all’intemperante David O’List senza rimpiazzarlo, proseguendo la loro carriera come trio e ponendo sempre di più il fulcro dell’attenzione sulle tastiere: proprio con questo esordio finí paradossalmente la storia “democratica” dei Nice ed iniziò l’ascesa leggendaria del virtuoso Keith Emerson.