
The Doors | Waiting For The Sun (1968)
L'attesa del sole mise paradossalmente in luce tutte le ombre sul futuro dei Doors
Il terzo disco dei Doors, dopo il mezzo flop commerciale dello splendido Strange Days, nei piani avrebbe dovuto essere il loro più grande successo, ma il progetto venne parzialmente sventato dall’interno: dopo l’apertura delle porte di The Doors ed il viaggio estraniante di Strange Days, il terzogenito Waiting for the Sun venne alla luce nel 1968 in modo più “leggero” rispetto ai due dischi che lo hanno preceduto, nonostante la serenità della foto di copertina (scattata da Paul Ferrara nel sobborgo di Laurel Canyon) sia soltanto l’istantanea della quiete prima della tempesta che nei due anni a venire avrebbe travolto i Doors. Musicalmente, il livello è ancora alto, anche se non spettacolare ed innovativo come nei primi due sforzi vinilici: mentre Manzarek, Densmore e Krieger continuavano sulla loro strada ascetica (col tastierista che passò da un Vox Continental ad un organo Gibson G-101), Morrison stava allora cominciando a mostrare i primi segni del suo decadimento psico-fisico: la barba iniziava a crescere incolta, i suoi capelli alla Alessandro Magno erano diventati lunghi e spettinati, il suo corpo stava cominciando ad ingrassare per gli eccessi ed il suo profondo baritono si stava trasformando in un rantolo pastoso ed alcolico, che Jim stesso auto-definiva “a metà tra il grido e la cantilena malata“, mentre il suo cantante preferito era diventato improvvisamente Frank Sinatra. Insomma, con queste premesse l’attesa del sole si stava rivelando più escatologica e tetra del previsto per i Doors, o almeno per Jim Morrison.

The Doors
Paul Rothchild ricevette diversi pressioni dalla Elektra per produrre un altro disco di successo: il fulcro di questo album doveva essere il lungo poema teatrale di Morrison, The Celebration of the Lizard, un visionario esodo dalla civiltà moderna, ma alla fine soltanto un suo frammento sarebbe stato utilizzato, data anche la maestosità del progetto non compatibile con la commercializzazione auspicata dalla label del prodotto. Anche la title-track “Waiting for the Sun” subì la stessa sorte e venne lasciata fuori da questo album, ma sarebbe stata inclusa in Morrison Hotel. Tre canzoni di Waiting for the Sun vennero composte esclusivamente dal chitarrista Robby Krieger (che, ricordiamo, aveva scritto il più grande successo dei Doors, “Light My Fire”), e, come il loro secondo lavoro, le altre tracce vennero ricavate dagli avanzi delle sessioni precedenti, in particolare del primo LP: si possono immediatamente riconoscere i contributi riempitivi di Krieger a causa del loro romanticismo sfrenato e dall’assenza del cinismo che caratterizza invece le opere di Morrison.
Si inizia con la hit Hello, I Love You, rispolverata dai cassetti di Jim dal capo della Elektra Jac Holzman, una delle canzoni più note del repertorio doorsiano: si dice che il titolo derivi da un’affermazione di Morrison che, sulla spiaggia di Venice Beach, vide una bellissima ragazza di colore, presentandosi alla sconosciuta con la frase “Hello, I love you. Won’t you tell me your name?”. Nelle note interne al cofanetto The Doors Box Set, Robby Krieger negò categoricamente che la band si fosse ispirata ad “All Day and All of the Night” dei Kinks (pubblicata quattro anni prima) per la struttura musicale della canzone, ma indicò invece “Sunshine of Your Love” dei Cream come fonte di ispirazione: nonostante la questione controversa, la causa di plagio che venne portata in tribunale in Gran Bretagna venne vinta da Ray Davies e dalla sua band, determinando così che ogni royalties derivante dal brano fosse pagata ai Kinks.
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Il capricciosa melodia di Love Street, coccolata dal pianoforte di Manzarek, venne pubblicata come lato-B di “Hello, I Love You” e venne scritta da Jim per la sua fidanzata Pamela Courson, con cui condivideva una casa nella zona di Laurel Canyon a Los Angeles, al 1812 di Rothdell Trail, una strada denominata “Love Street” perché la coppia era solita sedersi sul balcone a guardare gli innumerevoli hippies che camminano sotto la loro dimora.
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La beffarda Not to Touch the Earth torna al classico suono psichedelico: si tratta di un frammento di “The Celebration of the Lizard”, registrata nella sua interezza solo nell’album Absolutely Live, anche se il testo completo appare nella copertina apribile di Waiting for the Sun. La sciamanica ed etilica danza tribale di Morrison ci mostra una mente completamente incorporata in un labirinto acido a luci stroboscopiche: si inizia con una strana linea di basso su cui scivola una bizzarra chitarra elettrica, coi tamburi e le tastiere che ci spingono poi spalle al muro verso un’entropia cerebrale e lisergica. La canzone viene battezzata coi versi “not to touch the earth, not to see the sun“, sottotitoli del sessantesimo capitolo del Ramo d’oro di James Frazer, in cui lo scrittore riportava alcune superstizioni ricorrenti in molte culture primitive, in particolare quelle legate al menarca e, in tal modo, ai riti di iniziazione femminile, mentre il verso “Dead presidents corpse in the driver’s car” si riferisce, invece, alla morte del presidente J.F. Kennedy.
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La flemmatica ballata di Summer’s Almost Gone è una delle prime canzoni che la band compose, in cui è evidente come Morrison stava iniziando ad emulare il suo nuovo idolo Frank Sinatra. Successivamente, troviamo il suo contraltare stagionale Wintertime Love che, nel suo breve valzer, ne estende l’atmosfera romantica con maggior brio, correndo poi verso una direzione completamente opposta, anche grazie al basso del session-man Douglas Lubahn.
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Cambia ancora una volta le carte in tavola The Unknown Soldier, un manifesto di protesta contro la Guerra del Vietnam, combinando elementi pop-rock convenzionali con un taglio più surreale: Morrison era stato disturbato dal modo in cui la guerra era stato venduta al pubblico e cercò quindi di mettere in evidenza la disperazione e la logica, spesso viziata, di un’intera generazione. In principio, così come dopo la metà della canzone, i misteriosi suoni dell’organo dipingono l’enigma del “Milite Ignoto” mentre, nel mezzo, i Doors producono quella che ha tutta l’aria di essere una marcia militare: nelle esibizioni live Robby Krieger puntava la sua chitarra verso Morrison come un fucile, il batterista John Densmore emulava i colpi della pistola, producendo un forte boato colpendo il bordo del rullante e rompendo le bacchette, mentre Morrison cadeva urlando a terra. Dopo questa parte centrale, vi è un ritorno della sezione canora con Jim che, con voce rassegnata, suggerisce: “Make a grave for the unknown soldier” (“fate una tomba per il milite ignoto”), mentre la canzone si conclude poi con la celebrazione estatica di una guerra giunta al termine. Ci vollero più di 130 tentativi per ottenere una versione di questa traccia che si accordasse con gli standard elevati di Paul Rothchild – Jim era, infatti, spesso troppo ubriaco in studio, così Ray e Robby proposero al produttore di assumere qualcuno che tenesse d’occhio Morrison, ed assicurarsi così che si presentasse alle sessioni: Rothchild suggerì quindi il nome di Bobby Neuwirth, ex roadie e collaboratore della band di Bob Dylan, che poteva pensare di bere con Jim Morrison in maniera responsabile. La Elektra pagò la metà dello stipendio di questi, passando a John, Ray e Robby l’altra metà: fu così Jim e Bobby si unirono per bere nei bar di tutta la città, finanziati e, ovviamente, senza troppo self-control.
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La calda Spanish Caravan è invece una una rielaborazione della melodia classica Asturias (Leyenda), composta da Isaac Albéniz, che è la ragione per la quale gli elementi propri del flamenco dominano la canzone. Dopo lo sfoggio di abilità sulla chitarra acustica di Krieger, la traccia si sofferma in un territorio sensuale, con un ritmo ipnotico ed ossessivo che si protrae, mentre il resto della composizione è fortemente dominato dalle distorsioni, agglomerate infine in un turbolento crescendo percussivo.
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Passano poi senza infamia nè gloria l’inquietante My Wild Love, una canzone sperimentale cantata “a cappella” (con battiti di mani e percussioni, su suggerimento di Bobby Neuwirth), il blues allucinato di We Could Be So Good Together e la ballata malinconica di Yes, the River Knows, con un’atmosfera molto jazz ed un testo alquanto ermetico e controverso.
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La classica chiusura col botto arriva, infine, con la goliarda Five to One, un atavico inno alla morte sorretto da un marziale hard-rock con Morrison completamente ubriaco (se si ascolta attentamente la parte conclusiva lo si può sentire prendere un sorso dalla sua bottiglia di Brandy), ma forse l’elemento che più salta all’orecchio è il seppellimento inedito delle tastiere. Nel mezzo di un ginepraio di citazioni, Jim Morrison probabilmente si riferisce nel titolo ad una storia di Dylan Thomas intitolata “The fight”, da “Il ritratto dell’artista da cucciolo”, in cui il protagonista legge una poesia intitolata “Warp” ed i versi “Five into one, the one made of five into one, early, suns distorted too late“. Si è spesso ipotizzato, inoltre, che la proporzione 5:1 fosse presumibilmente un riferimento al rapporto numerico fra la popolazione bianca e quella nera in America nel 1967, oppure tra i vecchi ed i giovani, ma anche tra i fumatori di marijuana ed i non fumatori. Un’ulteriore versione ipotizza pure che il rapporto numerico citato da Morrison sia quello tra i Viet Cong ed i soldati americani in Vietnam durante la guerra: interrogato sulla questione, Jim non chiarì mai l’oscuro significato dell’espressione utilizzata nel testo, né con la stampa né con i propri compagni, rivelando soltanto che la connotazione del brano non era espressamente politica, nonostante l’utilizzo di toni sovversivi e dall’acceso contenuto critico verso il movimento hippie – a conferma di quest’ultima ipotesi, ci sarebbero le parole dello stesso Morrison, per cui il movimento dei “figli dei fiori” era “sostanzialmente un fenomeno piccolo borghese“. Al di là degli enigmi etimologici e concettuali, l’esecuzione più celebre della canzone si ebbe in occasione del concerto che la band tenne a Miami nel 1969 al Dinner Key Auditorium: verso la fine del brano, un Morrison totalmente ubriaco apostrofò il pubblico chiamando gli spettatori “un branco di fottuti idioti” poiché si stavano lasciando maltrattare dal servizio di sicurezza, un concerto che sarebbe inevitabilmente poi terminato con il frontman dei Doors accusato di una serie di capi di imputazione che lo portarono all’arresto ed al noto processo.
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Nella realtà, Waiting For The Sun fu l’inizio della parabola discendente dei Doors: ormai non si potevano più nascondere i problemi, che erano emersi sotto l’occhio di tutti. L’ambizione inappagata di “The Celebration Of The Lizard” contribuì sicuramente al malumore di Jim, ma il suo crescente disinteresse nell’essere parte di una band, aggravato dalla sua assunzione olimpionica di alcol, ostacolò gravemente la realizzazione del disco.. Metà dell’album successivo The Soft Parade portò la firma di Robbie Krieger, che per la prima volta divise i diritti d’autore da quelli di Morrison, divenuto ormai ingestibile: durante i concerti bisognava sempre tenerlo sveglio sul palco, ma anche quando era in sè il suo atteggiamento era del tutto imprevedibile; il primo arresto avvenne nel Connecticut, con Jim apparso in pubblico pieno di lividi dopo aver subito diversi colpi di manganello da parte di un poliziotto, che lo colse in fragrante mentre si era appartato con una sua fan. I Doors iniziarono a guadagnarsi la reputazione di band immorale: ormai il pubblico accorreva soltanto per assistere alle stramberie di Morrison.
Alla fine del decennio, i Doors si esibivano in concerti sempre più grandi: il primo vero tour era stato programmato in ben diciannove città; dopo aver assistito ad uno spettacolo del Living Theatre, il comportamento di Jim sul palco stava diventando sempre più teatrale e provocatorio, arrivando nel concerto di Miami del 1° marzo 1969, in seguito ad un accesissimo discorso, ad urlare “siete un branco di schiavi!” rivolto al suo pubblico, dopo che qualcuno aveva lanciato un secchio di vernice arancione addosso alla band. Tra l’agitazione generale, Jim poi iniziò a togliersi i vestiti, mentre il pubblico insisteva di voler sentire “Light My Fire”: ad un certo punto, un amico di Jim (Lewis Marvin dei Moonfire) gli diede in braccio un agnello, con Jim che asserì tra l’ilaritá generale: “me la farei ma è troppo giovane!“. La sicurezza fu costretta a chiudere il concerto a meno di un’ora dall’inizio e dopo soltanto quattro canzoni a malapena accennate. In seguito, mentre la band riparò in Giamaica per prendersi una pausa, a Miami era in atto la denuncia per quell’esibizione.
Nel 1971 sopraggiunse l’inevitabile “morte a credito”, tanto per rispolverare e parafrasare l’amato Louis-Ferdinand Céline: perché si è autorizzati a morire solo quando si ha una buona storia da raccontare – Jim ne aveva una dannatamente buona: perennemente in bilico tra sacro e profano, tra complessi edipici ed un ego smisurato, bisogna ricordare come Jim Morrison fu, prima di tutto, un ragazzo molto intelligente ed acuto, ma l’essere stato fatalmente incluso nel club necrofilo dei 27 ha incredibilmente rischiarato la sua aura da poeta maledetto ed inafferrabile.
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