
Swans | The Seer (2012)
Miglior album del 2012, un'opera mastodontica che trasmette paura allo stato puro
Il Lupo (The Wolf) ti guarda, occhi neri, denti umani, è la pazzia (Lunacy) che cresce dentro di te, è la tua infanzia che finisce. Il veggente (The Seer) sa tutto di te, conosce i tuoi pensieri nel momento stesso in cui nascono. Puoi combattere (Song for a Warrior) ma non puoi sfuggirgli, è dentro di te, la tua vita è nelle sue mani, la tua mente è nei suoi occhi, i tuoi occhi sono nella sua mente. Sei tu che ti guardi allo specchio, è il tuo avatar (Avatar), a meno di non rinnegare te stesso (The Apostate).
Il ventotto agosto 2012 viene pubblicato il dodicesimo album degli Swans, The Seer. I “Cigni” sono stati, nell’arco della loro trentennale carriera, autori di tanti album di elevatissimo valore. Sia con i suoni barbari, estremi e a tratti indigeribili degli esordi, sia con gli ammorbidimenti successivi, hanno rappresentato una colonna sonora delle psicosi dell’uomo contemporaneo e sono stati veri moderni profeti dell’apocalisse.
L’accoglienza tribuita a The Seer è strepitosa, praticamente tutti i critici osannano l’album (con alcune autorevoli eccezioni). Michael Gira (fondatore degli Swans) lo presenta così: “Per scrivere The Seer ci sono voluti trent’anni. E’ il culmine di ogni mia precedente esperienza con gli Swans e di qualsiasi altra musica abbia mai fatto”.
Ecco come viene descritto l’album dalle più autorevoli riviste italiane ed internazionali.
Sputnik music: “Superbo, due ore di follia ripetitiva”.
All music: “Il Veggente è il progetto più vasto, ambizioso, pensieroso mai ideato da Michael Gira”.
The Guardian: “Bellezza ed estasi”
Drowned in sound: “The Seer è il culmine di 30 anni di viaggio di Gira”
Slant Magazine: “Allo stesso tempo rilassante e mostruosamente dissonante, sempre interessante, un suono che è costantemente in guerra con se stesso.”
Onda Rock: “Un monolite di quasi due ore in cui è racchiuso tutto l’universo visionario di Michael Gira: apocalittiche litanie folk, terrificanti cavalcate psichedeliche, oscuri paesaggi sonori post-rock, sinfonie rumoriste, tregue di etera spiritualità. Il disco definitivo di una band straordinaria.
Outsiders: “Album monumentale per un gruppo monumentale”.
Pitchfork: “Gli Swans mettono in discussione i confini tra bellezza e bruttezza, tra musica e rumore, tra catarsi e abuso”.
Impatto sonoro: “Michael Gira ha disintegrato il rock per poi ricostruirlo a suo piacimento”.
L’unica voce fuori dal coro è quella del buon Piero Scaruffi, che pur dando la sufficienza, definisce l’album un astuto tradimento e critica chi osanna solo ora gli Swans mentre li ignorava quando pubblicavano i loro veri capolavori.
Il mio giudizio, pur comprendendo alcune critiche di Scaruffi, è che ci troviamo di fronte un disco importante, uno di quei dischi che non passerà nel dimenticatoio in poco tempo ma che credo farà parlare di sè ancora tra 20-30 anni. Di questo nessuno può essere sicuro, solo il tempo deciderà se The Seer diventerà una “pietra miliare”.
Quello che colpisce di The Seer è la grandezza, tutto è immenso, grande e potente, prorompente e roboante, poderoso in un modo che quasi minaccia l’ascoltatore. The Seer è un lungo viaggio, un incubo della durata di due ore che non lascia tregua, un viaggio lisergico “andato male” dove i compagni di viaggio sono le nostre paure più profonde. Due ore che hanno dentro tantissimo del rock degli ultimi quaranta anni, una miscela di numerosissime idee, sia vecchie che nuove, ma che messe tutte in un unico calderone rendono The Seer una personalissima creatura di Gira, vero poeta apocalittico dell’America di oggi.
Altra caratteristica, ripresa dai maestri del minimalismo americano, è la ripetitività ossessiva, spesso i suoni sono ripetuti per minuti, a questi seguono lievi variazioni che si ripetono uguali a se stesse per altri minuti, a queste seguono altre lievissime variazioni, e così via. Il tutto è monolitico, ci si sente come nani di fronte ad un gigante.
Il primo brano è la descrizione della follia che cresce, Lunacy (Follia). Un coro malato che sembra evocare spiriti maligni ci dice che non possiamo nascondere la follia che cresce, dobbiamo chiamarla per nome ed evocarla, ecco la parola Lunacy ripetuta ossessivamente per trenta volte, una vera e propria invocazione. Alla fine parole che tramortiscono, La Tua Infanzia è Finita.
In Mother of the World la ripetitivà diventa quasi intollerabile, due note ripetute continuamente per circa quattro minuti senza alcuna variazione, vengono accompagnate dal respiro di Gira (come Wyatt in Rock Bottom?). Un brano controverso, non tra i migliori, un passo avanti nel’incubo.
The Wolf è una breve introduzione vocale al brano principale, la title track, The Seer, trentadue minuti di inaudita grandezza. Il brano è diviso in varie fasi, un iniziale muro di suono di chitarre, fiati, cornamuse, piatti, continua senza variazioni per ben quattro minuti e culmina in un crescendo strepitoso che inizia con le corde pizzicate di un banjo a cui si aggiungono pian piano tutti gli strumenti. Una vera e propria fuga psichedelica che trova il suo apice tra il decimo e il tredicesimo minuto. Epico. I restanti minuti (ancora diciannove!) non sono all’altezza dei precedenti ma instillano nell’ascoltatore quella paura allo stato puro che accennavo nel sottotitolo. Distorsioni di chitarra accompagnata dalle percussioni metalliche di Thor. Siamo di fronte ad un brano davvero importante.
Non stanchi dei trentadue minuti di The Seer, il veggente ritorna. In The Seer Returns è notevole la capacità di Gira di affabulare, narrare e intrattenere l’ascoltatore con la sua voce cavernosa. Il veggente sa cosa pensiamo e cosa faremo in futuro, ci tiene nelle sue mani, non può mai morire perchè è dentro ognuno di noi.
I brani successivi danno spazio all’avanguardia di 93 Ave. B Blues e all’acustica di The Daughter Brings The Water e di Song For A Warrior, magistralmente cantata da Karen O.
Ma è una breve parentesi, gli incubi The Seer riprendono subito. Avatar, scandita da quattro note delle percussioni di Thor, ripetute dall’inizio alla fine ci dicono che La tua vita è nelle mie mani, La tua mente è nel mio occhio, Il tuo occhio è nel mio occhio. Non c’è differenza tra noi e il veggente, siamo il suo avatar, è la parte malvagia che cresce dentro di noi. Ancora note ripetute, chitarre che scandiscono il tempo con suoni improvvisi e potenti, sino alla voce di Gira che ci ipnotizza.
C’è anche spazio per un brano di diciannove minuti con una splendida introduzione ambient (A Piece of the Sky), non rilassante, ma ovviamnete angosciante ed opprimente che termina in un breve finale folk.
Il disco termina con un altro capolavoro, The Apostate, altri ventitre minuti da incubo. Puoi pensare che il male non sia dentro di te, nella tua mente, ma ti sbagli, se lo pensassi davvero negheresti te stesso, saresti solo un apostata. Un brano splendido, dove poche note di chitarra fanno da sottofondo dal primo all’ultimo minuto. Dal nono minuto un’interessantissima inversione degli strumenti, le chitarre accompagnano, la batteria diventa lo strumento solista e permette a Phil Puleo di mostrare le sue ottime capacità.
Qualunque cosa si possa pensare di questo album, quello che mi appare chiaro è che siamo di fronte a qualcosa di grande, siamo ancora troppo vicini per comprendere bene quello che potrà rappresentare in futuro, la visione è ancora offuscata dall’eccessiva vicinanza temporale. Vedremo se il tempo sarà benevolo con Gira o se relegherà The Seer in un angolo ristretto della storia del rock di questi anni.