
Swans | Soundtracks for the Blind (1996)
Tante idee realizzate, altre appena abbozzate per uno dei migliori album degli anni novanta. Il flusso di coscienza di Gira crea musica senza tempo che non apparirà mai datata.
Gli Swans sono stati uno di quei pochissimi gruppi capaci di attraversare i decenni riuscendo sempre ad avere tantissimo da dire e comunicare. La loro musica è senza tempo, le generazioni cambiano, i generi cambiano, il mondo cambia, ma il guru/profeta Gira è sempre lì, ad annunziare i suoi messaggi a metà tra speranza e apocalisse, da grande musicista quale ha più volte dimostrato di essere. Il bisogno di comunicare, aprirsi, confidarsi, trasmettere i propri pensieri è, in Gira, un bisogno fisico, direi quasi un’urgenza che deve essere sfogata in modo impellente. Tra la sterminata discografia Swans, i suoi album solisti, le svariate collaborazioni, il suo continuo sperimentare l’avanguardia, minimalismo, massimalismo, musica concreta e tanto altro, non ha mai ceduto di una virgola alle sirene dei soldi facili o della musica “facile”. Ha lasciato il segno in ognuno dei quattro decenni in cui ha suonato, è riuscito a farlo negli anni ottanta con album estremamente brutali, lo ha fatto negli anni novanta in particolare con Soundtracks for the Blind, lo ha fatto negli anni duemila e lo fa tutt’ora nel decennio che stiamo vivendo, ancora segnato da due ottimi album targati Swans, tra cui The Seer considerato uno dei migliori del 2012. In tutto questo, grande merito ha certamente avuto la compagna e musicista Jarboe, che è stata in grado di indirizzare nel verso giusto la rabbia e la depressione di Gira.
Soundtracks for the Blind è un lunghissimo insieme di tanto materiale diverso, due ore e mezzo di musica racchiusi in doppio album che segna uno dei vertici degli anni novanta. Fu accolto dalla critica in modo entusiasta, All Music lo definì addirittura il miglior album di sempre. Dentro Gira mette tantissime idee, alcune solo accennate, pronte per essere sviluppate negli anni successivi, altre perfettamente compiute, altre sono riprese da vecchi loop registrati negli anni ottanta e lasciati lì in attesa di un’idea che gli desse un senso. Da questo punto di vista la genesi dell’album è molto simile a quella del terzo album dei Faust, The Faust Tapes (1973). In effetti vari brani, specie quelli brevi, sono chiaramente omaggi alla mitica band tedesca. Ma le citazioni sono infinite, Gira ha una passione e una cultura musicale sterminata, che unite alla sua mente creativa e al suo carattere inquieto non possono che dare risultati eccellenti. I brani sono tantissimi, addirittura ventisei, alcuni molto lunghi, altri brevi e in ognuno di questi Gira crea dei piccoli scenari a metà tra paura, senso di inquietudine, solitudine e incomunicabilità, tipici fenomeni della società moderna. In tutto questo l’avanguardia mista alla chitarra acustica è lo strumento adatto allo scopo di comunicare. Se a volte l’avanguardia può creare esperimenti freddi e fini a se stessi, lo stesso non può dirsi per Gira che la usa con una sorprendente capacità comunicativa creando un lungo flusso di coscienza che tutt’oggi non conosce fine.
I brani brevi sono quasi sempre piccoli esperimenti sonori o citazioni, Red Velvet Corridor inizia lentamente ma la chitarra acustica è un chiaro omaggio ai Neu! di Seeland, Live Through Me sperimenta un loop di tastiera con chitarra acustica, Her Mouth Is Filled With Honey è musica concreta in cui Gira dimostra di non avere nulla da invidiare ai maestri e precursori del genere, Mellothumb e Secret Friends sono inquietanti brano ambient-minimalisti, il secondo ricorda qualcosa dei primi Pink Floyd acustici, Fan’s Lament è un breve omaggio ai Faust e ai Popol Vuh, Blood Section ricorda la neopsichedelia dei My Bloody Valentine.
Questi brevi quadretti d’avanguardia sono straordinari esempi della genialità di Gira, ma il meglio arriva nei brani lunghi. Il vero capolavoro dell’album è la grandiosa Helpless Child che, dopo un’introduttiva folata elettronica, da spazio alla chitarra e alla voce profetica di Gira, per poi terminare in un grandioso quanto straziante finale epico. E’ in un certo senso una summa della musica degli Swans, parti diverse che non si sovrappongono mai, ma restano ben separate le une dalle altre, il clima desolato che sembra far presagire un’apocalisse imminente.
Animus è un altro capolavoro, inizia lentamente con accordi magnifici e sognanti di vibrafono per poi terminare in un feroce finale elettronico. Gira in questi brani segna nuove strade che in pochi percorreranno.
The Sound continua su una strada simile, i rintocchi del vibrafono accompagnati da un’atmosfera a tratti cosmica terminano in convulsi accordi di chitarra che segnano l’anima più psichedelica del disco. Un discorso simile potrebbe farsi per l’onirica e drammatica The Final Sacrifice.
YRP è il miglior brano cantato da Jarboe. Dopo un breve loop, l’arpeggio di chitarra accompagnato da un lunghissimo bordone di tastiere e la voce che ricorda quella di Nico, ci introducono nei paesaggi apocalittici tanto amati da Gira, per terminare nelle mostruose ripetizioni finali.
Un disco incredibile che non finisce mai di stupire anche dopo tanti ascolti e che segna gli anni novanta, seppur la musica degli Swans possa definirsi tranquillamente senza tempo, in quanto capace di parlare a più generazioni. Proprio per questo non apparirà mai vecchia o datata.