
Soft Machine | Volume Two (1969)
L'arrivo di Hugh Hopper al posto di Kevin Ayers rende i suoni più jazzati e strutturati. Un preannuncio del capolavoro Third.
L’esordio dei Soft Machine del 1968 è uno di quegli album che segnano un’epoca. Al suo interno c’erano tantissime delle idee che permetteranno la nascita e lo sviluppo di una scuola di musica di enorme influenza, la Scena di Canterbury. La sua spontaneità, giovilità, allegria, appaiono indubbiamente in contrasto con Third di appena due anni dopo. Cosa succede in mezzo, nel 1969? Succede un pò di tutto, è una storia che vede intrecciarsi, anche in modo superficiale, la vita di Frank Zappa, Syd Barrett con i Pink Floyd, Jimi Hendrix e Thelonius Monk, che vede come scenari le spiaggie della California, il sole di Ibiza e la nebbia di Londra. Non è un romanzo d’avventura bensì la genesi del secondo album dei “sovrani” di Canterbury, Volume Two.
Dopo la pubblicazione del loro primo album i Soft Machine partono per l’ormai storico tour americano con Jimi Hendrix. Kevin Ayers ricorda quei giorni: “L’indicibile energia che sprigionava (Jimi Hendrix) era al di là dalla nostra portata, oltre ogni mia aspettativa. Mai vista roba del genere. La facilità con la quale riusciva a generare quel potere, quella luce abbagliante… era chiaro si trattasse di una stella cadente in rapida collisione con la Terra, una stella prossima a disintegrarsi a causa della sua stessa insostenibile intensità”.
Terminata la tourneè i tre si separano, probabilmente in modo che pensavano dovesse essere definitivo. Kevin Ayers non riesce a tollerare lo stress dei lunghi viaggi, i trasferimenti dei numerosissimi concerti e fugge a Ibiza dove vivrà per anni. Mike Ratledge torna a Londra per continuare i suoi studi musicali, mentre Robert Wyatt resta in America ospite di Jimi Hendrix. Li avrà l’opportunità di conoscere Frank Zappa con il quale parlerà molto e riceverà vari consigli e suggerimenti che si ritroveremo in Volume Two (in effetti è un album molto più ricco di collage deliranti rispetto al precedente). Ad ogni modo la separazione sembrava definitiva, i tre si trovavano in due continenti e in tre stati diversi.
L’etichetta non era affatto d’accordo. L’esordio dei Soft machine era considerato di ottimo livello non solo artistico ma anche come successo commerciale (trentottesimo nella classifica americana). Ci fu quindi una notevole spinta per la registrazione di un secondo album. Kevin Ayers sperduto nei paradisi per nulla artificiali di Ibiza era irrintracciabile, nessuno riusci a contattarlo e fu considerato autoescluso. Wyatt e Ratledge furono invece convinti e si ritrovarono a Canterbury. Il sostituto ideale di Kevin Ayers era ovviamente Hugh Hopper, caro amico dei due “superstiti” e già collaboratore nel primo album. La scelta non poteva non avere conseguenze. Lo spirito allegro, infantile, un pò dandy di Ayers, riscontrabile chiaramente in tutti i suoi album, viene sostituito da un più serioso, forse anche più colto, Hugh Hopper, che crea un sound molto più solido e strutturato. Se Ayers guardava molto al beat, alla psichedelia e ad un approccio allegro e spensierato alla musica, Hopper guarda molto più al jazz e ad una visione più intellettuale. Hopper apporta anche una differente amplificazione del basso, il fuzz che diventerà uno dei suoi marchi di fabbrica. I tre si incontrano e partecipano al Actuel Music Festival, in Belgio, dove suoneranno insieme a Zappa, ai Pink Floyd, Blossom Toes e Captain Beefheart. Pochi mesi dopo i Soft Machine suoneranno come gruppo di supporto ai concerti del pianista jazz Thelonius Monk. E’ sorprendente quanti grandi musicisti, direttamente o indirettamente, hanno partecipato alla pubblicazione di Volume Two. A questi si potrebbe aggiungere Syd Barrett che in quei giorni registrava, con la collaborazione dei tre Soft Machine, uno dei brani del suo primo album solista, The Madcap Laughs (verrà pubblicato pochi mesi dopo, nel gennaio 1970).
Volume Two perde molto dello spontaneismo dell’esordio, ma non lo perde del tutto, lo spirito dadaista, patafisico di Wyatt permane (Pataphysical Introduction) anche se la partenza di Kevin Ayers indubbiamente si fa sentire. Hugh Hopper è un bassista molto diverso, Ratledge comincia a mostrare ambizioni jazz che prenderanno il sopravvento da Fourth in poi. Varie sono le influenze dei musicisti conosciuti in quei mesi, da Zappa si prende il concetto di collage di vari piccoli brani che, uniti tra loro, formano due facciate molto compatte. Jimi Hendrix è presente in un brano a lui dedicato, Have You Ever Bean Green. La prima facciata è scritta in gran parte da Wyatt, la seconda da Ratledge. Credo che si possa dire che questo sia l’album dei Soft Machine con maggiori sonorità progressive.
L’inizio di Wyatt è la parte migliore, la sua follia delirante è sempre presente come anche quel tocco di geniale immaturità (apparente) che contraddistinguerà la sua carriera. Dopo il brano dedicato alla fisica dell’assurdo, Pataphysical Intro, Wyatt canta l’alfabeto britannico (A Concise British Alphabet) dimostrando che con la sua voce può cantare praticamente di tutto. Subito dopo arrivano le ottime, lunghe improvvisazioni di Hibou, Anemone and Bear che sono una variazione di So Boot if At All dell’album precedente.
Dada was here è il primo brano di Wyatt cantato in spagnolo, con ritmi tra jazz e dadaismo tipicamente wyattiani.
Il primo lato si conclude con l’ottima Out of Tunes, a metà tra progressive e psichedelia. Credo sia un brano molto influente per tutti quei gruppi prog che guarderanno al jazz-rock. Se penso all’Italia mi vengono in mente i Raccomandata con Ricevuta di Ritorno i cui brani più jazzati devono molto a questo brano.
La seconda facciata, maggiormente influenzata da Ratledge, inizia con una dedica al disperso Kevin Ayers (As Long as He Lies Perfectly Still) e con una ballata in cui Hopper si dimostra anche un buon chitarrista (Dedicated to You but You Weren’t Listening). La voce triste e malinconica di Wyatt segna la differenza tra una semplice ballata e un grande brano.
Il finale di undici minuti di Esther’s Nose Job è uno dei vertici raggiunti da Ratledge nella sua carriera. Viene mostrata una passione molto forte per la musica sperimentale, per l’avanguardia di Terry Riley e per il jazz. Un brano molto interessante, con frequenti variazioni, che merita più di un attento ascolto.