
Soft Machine | Soft Machine (1968)
L'esordio ironico e surreale di una delle principali band di Canterbury
I Soft Machine sono uno dei gruppi principali della prima generazione di Canterbury nata dalle ceneri dei The Wilde Flowers che, scindendosi nel 1966, formano i Soft Machine, con Robert Wyatt, Kevin Ayers, Mike Ratledge e David Allen, e i Caravan, con Richard Sinclair, Pye Hastings e Richard Coughlan.
I Soft Machine negli anni 66-67 vedono accrescere il loro successo e diventano in breve tempo una band di culto; suonano varie volte con i neonati Pink Floyd, nel 1967 nel loro tour in Francia riscuotono un notevole successo. Al ritorno da Parigi David Allen, a causa di problemi con i documenti e non riesce a tornare in patria (c’è chi dice che non voleva staccarsi dalla sua bellissima fidanzata francese, chissà…). In ogni caso la sua permanenza in Francia non è affatto inutile visto che, non avendo di meglio da fare, forma i Gong (ma questa è un’altra storia).
Wyatt, Ratledge e Ayers, invece, tornano a Canterbury e lì, dimentichi del geniale Allen, cominciano le registrazioni del loro primo album.
Soft Machine è un album molto sottovalutato, in pochi lo considerano per quello che è veramente. Intanto guardiamo la formazione; quali gruppi potevano vantare dei nomi di cosi alto livello? Wyatt alla voce e batteria non ha bisogno di presentazioni, Ratledge è uno dei più grandi virtuosi del suo strumento, paragonato da tanti ad un Hendrix della tastiera; infine Kevin Ayers che creava assoli di basso quasi come se questo fosse uno strumento solista.
Il risultato è molto particolare e contiene i germogli di qualcosa che stava nascendo; il progressive rock e il sound di Canterbury. Pur ancora legato ai gruppi beat del momento, se ne distacca per il virtuosismo dei tre componenti, che creano una linea di basso-batteria-tastiera da manuale. E’ un tumultuoso accavallarsi di assoli, come se ognuno dei tre volesse prevalere sull’altro senza riuscirci. Ironico e surreale, con accenni di psichedelia e di un primordiale progressive (bisognava aspettare ancora un anno prima dell’uscita di In the Court of Crimson King). Il jazz, che sarà molto presente nei successivi album, qui è praticamente assente. Una caratteristica da sottolineare è l’allegria che trasmette quest’album, una sensazione che, lungi dall’essere banalità o semplicità, è dovuta soprattutto alla presenza di Kevin Ayers, che riporterà queste atmosfere nei suoi dischi solisti, da Joy of Toy in poi. Dal secondo album questa leggerezza e frivolezza si perderà, probabilmente proprio per la sostituzione di Ayers con Hugh Hopper, che porterà la sua passione per il jazz e per una musica più impegnata all’interno dei Soft Machine.
Consiglio Hope for happiness che inizia con i vocalizzi di Wyatt, Why Am I So Short? con una splendida voce di Wyatt, che precede il furioso brano strumentale So Boot if At All, dove tutti danno prova di grande tecnica ed abilità, un brano imperdibile, un Ratledge che qui dimostra il suo virtuosismo sfrenato. Molto bella la romantica A Certain Kind, l’ipnotica e psichedelica Why Are We Sleeping? (Ayers alla voce) e la sperimentale, ossessiva e ripetitiva We Did It Again.