
Silvereight | Left Hand (2016)
Produzione di livello medio-basso nel secondo album dei Silvereight
Produzione di livello medio-basso, il che poco importa, qualora originalità e creatività vera dovesse emergere da questi solchi. Il riferimento diretto e clonato tout court, è il grunge di inizio ’90 (Alice in Chains su tutti), sono passati 26 anni e liberarsi da questo suono, è una chimera in Italia, anche se la parola “indie” (e pensare che sei anni di progressive storico son bastati ad uccidere “dinosauri” in nome del Dio Punk) sinonimo di autoproduzione e nessuno voglia di rimanere nell’ombra. La strumentazione si muove dignitosamente, eccezion fatta per una batteria che avrebbe avuto bisogno di un buon editing. La voce è sin troppo leziosa per un genere che chiama urlo, non fare asettico e che funziona meglio se effettata (From Space). Gradite alcune dissonanze da chitarre e basso, senza dubbio, quanto di meglio prodotto negli arrangiamenti. Quello che si apprezza e non poco, è la diversificazione delle tracce (anche se un po’ di noia qua e là emerge, “8”docet), in quanto ad atmosfere, sospensioni ritmiche (Black Day) e capacità di gestione armonica (Wide Heart). Le citazioni beatlesiane su Love, risultano davvero fuori luogo, peggio Deep Inside. Assai ingenuo l’artwork, di Federico Silvi, autore di ogni traccia. Gradevole lavoro comunque e voglia di ascoltare un seguito con maggiore attenzione a suoni e dettagli, ma soprattutto, con completo distacco da referenze. Intanto, non promossi. Miglior pezzo, Deep Space.