
Second Hand | Death May Be Your Santa Claus (1971)
Una misconosciuta perla del progressive rock britannico
La storia del rock è costellata da vari esempi di album che hanno riscosso successi esagerati, immeritati o comunque non proporzionali ai loro meriti. Molti di più sono invece quei dischi che, seppur eccellenti, sono caduti nell’oblio e non hanno avuto neanche una piccola parte del successo che avrebbero meritato. Uno di questi è, senza dubbio, Death May Be Your Santa Claus dei londinesi Second Hand.
I Second Hand nascono nel 1965 (quindi molto prima della nascita del prog-rock) nel quartiere londinese di Notting Hill, sede di una nascente scena freak britannica. Prendono il loro nome dal fatto di usare solo strumenti usati e di proporre copertine con carta volutamente sgualcita. Tralasciando questa curiosità, tutto sommato non importante, l’album è una pagina importante di un progressive rock inglese ben miscelato con le influenze freak rock di Zappa e Captain Beefheart. La formazione dei Second Hand era:
Ken Elliott (tastiere, voce), Bob Gibbons (chitarra), Kieran O’Connor (batteria) e Nick South (basso).
Il loro primo album, Reality (1968), non è ancora all’altezza del loro capolavoro del 1971, Death May Be Your Santa Claus. L’album, finanziato in modo anonimo da John Lennon, è sostanzialmente diviso in due parti. La prima facciata è un progressive molto energico con chiarissime influenze freak, tipiche della scena che ha visto nascere e crescere i Second Hand. Tutti i brani sono molto belli, segnalo la splendida Lucifer and the Egg che richiama in parte il progressive degli Atomic Rooster e il brano d’apertura, la title track, brano dominato da tastiera e batteria con sonorità tipicamente progressive. In altri brani quali l’ironica Baby R U Anudda Monster, la voce richiama palesemente quella da orco di Captain Beefheart.
La seconda facciata è una suite molto cupa, divisa in cinque parti, una sorta di messa nera sinfonica che ricorda i baccanali demoniaci degli Amon Duul 2 e nei momenti meno truci sembra una Valentyne Suite in versione più dark.
Si inizia con la sinfonica Cyclops cui seguono la breve Sic Transit Gloria Mundi e le strumentali Revelations Ch. 16, Vs. 9-12 e Take to the Skies che completano la lunga suite e descrivono, come si evince dal titolo, le atmosfere dell’Apocalisse o Libro della Rivelazione di Giovanni. La fine dell’album riprende, con qualche modifica, il brano d’apertura.
Death May Be Your Santa Claus è un disco imperdibile e poco conosciuto del progressive britannico che avrebbe certamente meritato ben altro successo. Immancabile per gli appassionati del genere.