
Roger Waters | Amused To Death (1992)
Una lunga analisi del rapporto tra uomo e Tv, tra democrazia e guerra in uno dei migliori album di Waters solista
Dopo la pubblicazione di The Wall – Live In Berlin (1990), concerto che assume significati simbolici che vanno ben oltre il semplice evento rock e che restituiscono a Waters il piacere di esibirsi dal vivo, oltre che una sincera speranza (poi rapidamente tradita) di un possibile futuro di pace. Arriva un nuovo conflitto che è destinato a segnare i successivi venti anni. Come la guerra delle isole Falkland è stata la scintilla che ha dato il via a The Final Cut, così la Prima Guerra del Golfo (1990-1991) colpisce l’immaginario di Waters per il fatto di essere la prima guerra seguita quasi in diretta Tv da tutto l’Occidente. A questo si aggiungono i ricordi delle recenti proteste di Piazza Tienanmen del 1989 che danno la (falsa) speranza che la Tv possa inchiodare alle proprie responsabilità tutti i regimi sanguinari. Da questi due eventi scaturisce una seria riflessione sul ruolo dei media nella società contemporanea; Waters si chiede se la guerra sia percepita davvero per quello che è, o se invece non sia vista come il più eccitante degli spettacoli televisivi.

Roger Waters
“Sono partito immaginandomi un gorilla che guarda la Tv, una metafora di tutti coloro che hanno passato gli ultimi dieci anni a vedere programmi televisivi. Ho immaginato la Tv come un farmaco che lenisce il dolore ma che lentamente uccide la nostra umanità e la nostra cultura. Sono convinto che gran parte dei disastri umanitari degli ultimi anni nascano dalla necessità di una politica estera ‘teatrale’, la guerra diventa un prodotto televisivo di intrattenimento, specie se è in paesi molto lontani”
Da questi pensieri nasce Amused To Death (1992), un nettissimo passo in avanti rispetto agli ultimi due lavori, che avevano fatto emergere legittimi dubbi sulle capacità di Waters di ripetersi ai livelli delle sue esperienze nei Pink Floyd. L’album è incentrato sul rapporto dell’uomo con la Tv, che da potenziale strumento di approfondimento e di denuncia, diviene mezzo di distrazione e assuefazione, fino all’estremo stato di totale alienazione e indifferenza verso ogni forma di sofferenza altrui. Dopo i maiali, i cani, le pecore e i vermi, ecco allora la scimmia, sorta di uomo de-evoluto in stile Residents. Gli esseri umani sono paragonati a scimmie che giocano con un telecomando alla ricerca di qualcosa di violento che li colpisca, senza mai risvegliare alcun senso di rabbia o di ingiustizia. Puro ottundimento che suggerisce come oggi la Tv possa rivelarsi uno dei mezzi più potenti per impedire alle masse di prendere coscienza della realtà. Waters, in modo assolutamente profetico, vede questo molto prima di altri, arrivando a preconizzare la politica come puro show mediatico dove è possibile pensare di dichiarare una guerra solo per tenere le persone incollate al teleschermo, in un triste spettacolo che trasforma gli scenari cupi e totalitari di Orwell in macabri diversivi che i paesi “democratici” organizzano per l’intrattenimento e il divertimento della masse, alla stregua delle battaglie dei gladiatori romani.

Roger Waters
In un progetto tanto chiaro e lungimirante, Waters chiede la collaborazione di Jeff Beck (ex-Yardbirds) alla chitarra e del produttore Pat Leonard, due scelte che si rivelano perfette. In particolare, Beck è senza dubbio il chitarrista che più si adatta alla musica di Waters, riuscendo a inserirsi perfettamente in un contesto che poteva non essergli congeniale.
La guerra e la morte del padre restano sempre gli spettri sul fondale, fin dall’iniziale “The Ballad Of Bill Hubbard”: quattro minuti di tastiere dilatate su cui si inserisce la chitarra di Beck, per una dedica al soldato morto durante la Prima guerra mondiale nella storica battaglia della Somme. Giungono inizialmente i cani, che nella mitologia di Waters sono i profeti di una nuova guerra; improvvisamente una Tv si accende a testimoniare che la guerra oggi è un grande show miliardario. A ricordare la memoria di Hubbard, sono le parole del suo commilitone Alf Razzell, che all’età di 75 anni ricorda – con un parlato disperato capace di far rivivere l’angoscia e il senso di colpa per la tragedia – il giorno in cui dovette abbandonare, pur di salvarsi la vita, il suo compagno ferito a morte nelle terra di nessuno: “Guardai la sua ferita e capii che era una ferita mortale. Puoi solo immaginare in che stato di dolore era. Dopo notai tre fori di pallottole che lo avevano attraversato. C’era un percorso, potevo provare a salvarlo. Lui mi prendeva a pugni, ‘Mettimi giù, mettimi giù, sono già morto, sono già morto, mettimi giù’. Speravo svenisse. Diceva ‘Non posso andare lontano, lasciami morire’. Io gli dissi ‘Se ti lascio qui, non sarai ritrovato. Riproviamoci!’. Lui disse ‘Va bene, allora’. Ma non poteva resistere ancora, e dovetti lasciarlo lì. Nella terra di nessuno”.
La Tv si accende e si parte con “What God Wants, Part I”, traccia di una durezza anomala nella discografia di Waters; la voce di un ragazzo che guarda con assoluta indifferenza la guerra in Tv alla stregua di una partita di calcio: “Non mi interessa la guerra, è una di quelle cose che mi piace guardare, se c’è n’è una. Così posso sapere se la nostra parte sta vincendo o sta perdendo”. Energia e rabbia si affiancano al canto di Waters, che testimonia il suo pessimismo assoluto. Chi è Dio, vuole davvero il nostro bene? Per Waters ognuno di noi ha un Dio modellato a suo immagine e somiglianza a cui credere e obbedire: “Dio vuole la pace, Dio vuole la guerra, Dio vuole la fame, Dio vuole i centri commerciali”. Ogni fanatico, ogni guerrafondaio, può utilizzare un modello di Dio personale per giustificare qualunque crimine utilizzando il famoso detto, ripetuto anche nella Guerra del Golfo, ‘Dio è con noi’: ‘Dio vuole il voodoo, Dio vuole il crimine organizzato, Dio vuole la crociata, Dio vuole la Jihad, Dio vuole il Bene, Dio vuole il Male’”.
Ancora un cambio di canale Tv da parte dell’uomo-scimmia annoiato, e si giunge a “Perfect Sense, Part I”, lenta ballata melodica per piano, archi e voce. La scimmia ora guarda il mondo ridotto in macerie, distrutto dall’ultima guerra, e cerca di capire, inutilmente, come sia potuto accadere. “I tedeschi uccisero gli ebrei, gli ebrei uccisero gli arabi, gli arabi uccisero gli ostaggi, c’è forse da meravigliarsi se la scimmia sia confusa?”. Torna ancora la figura del Dio creato dagli uomini per giustificare i propri crimini: “Gli uomini sono uno strumento nelle mani del grande Dio misericordioso, gli diedero il comando di un sottomarino nucleare e lo mandarono alla ricerca del Giardino dell’Eden”. Un pessimismo cupissimo, che arriva a immaginare che l’uomo abbia distrutto la propria Terra in nome di Dio. In “Perfect Sense, Part II” la voce di Waters si fa sospiro prima di lasciarsi accompagnare da cori femminili in crescendo con ritmo marziale. Anche qui i testi sono preveggenti; cosa può dare un senso a tutte le tragedie e le morti che vediamo in Tv, cosa può dar ordine e quindi lenire il senso di colpa? I numeri che quantificano i morti, le bombe e i soldi spesi in guerra fanno sembrare tutto più freddo e tollerabile. “Non vedi? Tutto assume un senso perfetto se è espresso in dollari, centesimi, sterline, scellini e penny”.
“The Bravery Of Being Out Of Range” si apre con una imponente batteria ed è la traccia più tipicamente rock, con cori da stadio che indicano quanto la guerra e la morte siano lo spettacolo più eccitante che esista, purché avvenga fuori dalla nostra portata. La guerra deve essere sempre in paesi lontani per poter essere “divertente”, mai in Occidente. L’uomo-scimmia guarda la guerra al bar in Tv mentre ordina la birra: “Hey, barman, altri due colpi e altre due birre. Aumenta il volume! La guerra è iniziata! Giochiamo con il coraggio di essere fuori portata, colpiamo e mutiliamo con il coraggio di essere fuori portata”. “Late Home Tonight” – divisa in due parti – inizia come una semplice ballata acustica con successivi archi e ci descrive un giovane che inizia spensierato la vita militare, senza alcuna coscienza di ciò che è una guerra (“La bellezza della vita militare, niente domande, solo ordini e volare”). Se volare è inizialmente un sogno infantile ci penserà “il tenero zio Sam a finanziare, con diecimila miliardi di monete, l’intrattenimento globale del videogame della guerra”. Il giovane bombarda Tripoli, uno spettacolo televisivo perfetto: “Guarda il bambino sanguinare, apparirà meraviglioso in Tv”. Ma dopo questo bombardamento una folla stravolta dall’odio urla: “Morte, morte, morte agli imperialisti!”; la guerra e l’odio si autoalimentano e non conoscono mai fine. La seconda parta ha un avvio da musica ambient, prima con un flusso di synth e voci angeliche, poi con una nota prolungata di tromba; è uno dei momenti più potenti ed emozionanti, che sottolineano la follia della guerra; il ragazzo torna a casa osannato dalla folla: “Hey ragazzo, sei un eroe, prendi questo sigaro e torna a casa. Tutti i giornali e le Tv locali chiameranno tua madre”. “Too Much Rope” è disperata e malinconica con un assolo poderoso di Beck. L’uomo scimmia perde la sua umanità; anche quando una piccola parte emerge guardando in Tv due cadaveri, ritorna subito in uno stato di assuefazione: “Cosa significa questa scena strappalacrime nella mia casa che mi commuove così tanto? Perché tante smancerie? Sono solo due esseri umani”.
Si torna alle scariche di rabbia di “What God Wants, Pt II” e “What God Wants, Pt III”, tra urla di telepredicatori evangelisti (“Credi in un mondo migliore? Se pensi di sì, dobbiamo unirci insieme oggi. Uniti! Uniti finanziariamente! Uniti socialmente! Attraverso il potere del denaro e il potere delle vostre preghiere realizzeremo le vostre suppliche”) e alieni che giungono sulla Terra per comprendere come il genere umano si sia estinto. In “What God Wants, Pt III” troviamo chiaramente l’inconfondibile nota di “Echoes”, mentre il finale è dominato da un grande Beck e dalla voce straziante di Waters.
“Watching Tv”, un brano folk in cui Waters duetta con Don Henley degli Eagles, è dedicato invece a una ragazza cinese morta durante le proteste di Tienanmen. Waters, non sapendo nulla della sua vita, le crea una storia intorno, dandole un padre ingegnere e un lavoro in pasticceria e trasformandola in un simbolo di speranza e di dolore: “E’ differente dall’Azteco, dal Cherokee, lei è la sorella di tutti, lei è simbolica del nostro fallimento, è l’unica in 50 milioni che può aiutarci ad essere liberi, perché è morta in Tv”. Ma l’uomo-scimmia di fronte a tanto dolore non può far altro che continuare a guardare la Tv, incapace anche solo di immaginare azioni diverse. “Three Wishes” è inizialmente segnata dal suono del synth, per poi librarsi in una semplice melodia con l’ennesima ottima prova di Beck. Waters immagina se stesso bambino mentre gli appare innanzi il genio della lampada che dice “Hey, ragazzo, puoi esprimere tre desideri se non ci metti troppo. Io dissi ‘Beh, desidero felicità nel Libano, qualcuno che mi aiuti a scrivere questa canzone e che, quando ero giovane, mio padre non se ne fosse andato””. Il finale, tra ambient e psichedelia, non fa rimpiangere l’assenza di Wright e Gilmour. I brani conclusivi sono tra i più lenti e tristi; il primo, “It’s A Miracle”, da alcuni punti di vista il più floydiano, è anche il più pessimista e crudo: “Hanno la Pepsi sulle Ande, hanno McDonald’s in Tibet, Yosemite è stato tramutato in un campo da golf per i giapponesi, il Mar Morto è vivo con il rap, tra il Tigre e l’Eufrate c’è un centro ricreativo adesso. E’ un miracolo, per grazia di Dio misericordioso e delle pressioni del mercato la razza umana ha civilizzato se stessa”. La voce di Waters, sempre più stanca e spenta, sembra ormai rassegnata e senza speranza.
La title track chiude il cerchio e si ricollega al resto dei brani, raggiungendo da una parte un picco di depressione con un finale da requiem, dall’altra chiarendo ogni singolo quesito. Gli esseri umani si sono estinti senza rendersene conto, divertendosi di fronte alla Tv: “Abbiamo osservato la tragedia realizzarsi, abbiamo fatto come ci veniva detto, comprato e venduto, era il più grande show sulla Terra. Abbiamo guidato le nostre macchine da corsa, abbiamo mangiato gli ultimi barattoli di caviale e da qualche parte fuori tra le stelle, un attento osservatore ha visto il nostro ultimo Urrà”. Gli alieni dopo varie ricerche, intravedono delle ombre – ciò che rimane dei pochissimi superstiti umani – dinanzi a una Tv e, increduli, comprendono la verità: “Ripeterono ogni test e gli alieni antropologi, ancora perplessi, dopo aver eliminato ogni altra ragione per la nostra triste dipartita, capirono l’unica spiegazione rimasta ‘Questa specie si è divertita a morte’”.
Amused To Death diventa quindi un karma ossessivo e un monito per l’intera umanità.
Questa recensione è uno stralcio della monografia su Roger Waters pubblicata su Ondarock.