
Red Temple Spirits | Dancing To Restore An Eclipsed Moon (1988)
Una Meteora che continua ad illuminare la musica Rock.
Ciò che i Red Temple Spirits riuscirono a fare con l’album Dancing To Restore An Eclipsed Moon è, senza dubbio, straordinario. Partendo dall’aspetto cosmico della psichedelia dei primi Pink Floyd (Interstellar Overdrive), fondendo elementi gotici (The Cure) e mistici (Savage Republic), seppero giungere ad uno stile originale di inestimabile valore artistico.
I Red Temple Spirits nacquero in California verso la fine degli anni Ottanta per volere di William Faircloth, già voce dei Ministry of Love, di Dino Paredes (basso), Dallas Taylor (chitarra) e Thomas Pierik (batteria). Grati alla scena Dark-Wave inglese, legati alla Psichedelia pinkfloydiana, i quattro si esibivano a Los Angeles che, in quel periodo, pullulava di un nuovo getto Hardcore-Punk. Le loro composizioni erano rifinite da sessioni ritmiche ripetitive, da chitarre appuntite sostenute dai riverberi e dai ritmi tribali delle percussioni, evocative di atmosfere misteriose e indistinte.
Durante uno dei loro spettacoli furono notati da Bruce Licher, leader dei Savage Republic e fondatore dell’etichetta “Independent Project”. Così i Red Temple Spirits si ritirarono in studio e riuscirono a mettere al mondo uno dei dischi più sorprendenti della storia del rock: Dancing To Restore An Eclipsed Moon. L’album, doppio, venne distribuito solamente in 500 copie e mise in evidenza tutte le caratteristiche descritte riadattandole alla luce di un nuovo idioma che restituì al mondo della musica rock un lavoro prodigioso che, di li a poco, divenne un vero e proprio oggetto di culto. Ad oggi, a quanto ne so, l’album non è mai stato ristampato ufficialmente.
Passiamo alla descrizione dell’album.
II lavoro è composto da undici composizioni che descrivono un mondo tenebroso, colmo di paura. Il minimo comun denominatore è una sorta di supplica per invocare il ritorno alla luce: una danza, insomma, per ripristinare la luna eclissata. Il disco, in un primo momento, profuma di Post-Punk. Il suono della chitarra e della batteria sembrano familiari, è comune a band come i The Cure. Andando oltre, però, è facile accorgersi che si è di fronte a qualcosa di diverso. Si odono suoni di campane di yak tibetani, flauti, ritmi tribali, suoni della natura come vento, uccelli, pioggia e getti d’acqua. Un Post-Punk che ha qualcosa di poco convenzionale: ci si ritrovano elementi della psichedelia degli anni Sessanta, archetipi che poi daranno vita al Post-Rock. I testi delle composizioni presentano una spiritualità ed un misticismo molto accentuati: sono tanti i riferimenti a Dio, a Gesù ma non siamo di fronte a proselitismo religioso. La seconda parte del primo brano, ad esempio, tratta degli spiriti del sole, parla di lievitazione del corpo. Argomenti spirituali certamente, ma non esplicitamente religiosi.
Ma ciò che affascina è la musica.
Gli undici brani si librano per settanta minuti circa di rapimento vero e proprio. La musica si divide in momenti caratterizzati da calma meditativa, con linee di basso ipnotiche e arpeggi di chitarra aggraziati, a periodi distinti da un crescendo furioso di percussioni tribali e sfuriate convulse in stile Punk. Tutto questo è sostenuto dalla presenza del canto sciamanico di William Faircloth con un effetto emozionante.
Si parte con i rumori metallici del primo brano Exorcism/Waiting For The Sun che, dopo circa un minuto e mezzo, devia in una danza ritualistica marziale dal tono misterioso, dominata dal canto di Faircloth.
Liquid Temple, è una ballata sfocata in cui Faircloth si sfoga in un lamento sciamanico. La sensazione è che si sia di fronte ad un rito attuato nei confronti di una potente divinità; l’uomo, timoroso dei castighi che gli possono essere inflitti, inizia una sorta di rituale redentivo.
Dark Spirits, in stile Cult, lascia spazio alla violenza. Si respira una atmosfera speciale più vicina al Punk che alla musica Psichedelica, ma molto attraente.
Il quarto pezzo dell’album è uno dei miei preferiti: Bear Cave. Il brano è ipnotico, incentrato su una melodia orientale. Il bellissimo effetto della chitarra distorta ci dà l’idea del viaggio dell’anima che, abbandonando la Terra, beccheggia verso lo spazio celeste.
Electric Flowers, dal tocco esotico, è la dimostrazione di come i Red Temple Spirits sappiano costruire straordinarie atmosfere immaginarie. L’effetto, nella composizione, è garantito dalle ritmiche, dai suoni di chitarra che sembrano roteare in aria e poi giungere al suolo, dai crescendo repentini e sprofondamenti altrettanto improvvisi.
Nile Song a mio avviso è una delle più belle cover dei Pink Floyd mai realizzata (album More del 1969). Il pezzo mette in mostra l’austerità, la grazia e la purezza che rimangono intatte anche dopo due decenni dalla sua registrazione.
Light Of The Christ/This Hollow Ground è il cerimoniale finale, una sorta di sunto di tutti gli elementi fin qui ritrovati. Il brano è composto da due momenti: il primo inizia con accordi riverberati di chitarra su un suono continuo di campanelli ed acqua per poi sfociare in un ritmo primitivo. L’ambiente delineato è cupo, sembra quasi di essere all’interno di un passaggio sotterraneo che bisogna percorrere per giungere da qualche parte (la luce? – Il canto in alcuni momenti sembra un incitamento a proseguire). La composizione, nella parte finale, si risolve in un riposo riconciliatore tra suoni di campane e pioggia.
Dancing To Restore An Eclipsed Moon è stata una meteora che ha illuminato la musica rock. Una meteora che ha lasciato in cielo un bagliore accecante che, a distanza di anni, ce li fa ancora ricordare.