
Psycho Kinder | The Psycho Kinder Tapes (2016)
Tra Martin Heidegger e Ezra Pound, arcaici inni alla natura ed impetuose disamine sul mondo occidentale, il secondo album dei maceratesi Psycho Kinder si fonde in una new-wave decadente e minimalista, contaminata da incantesimi elettronici e maledizioni post-punk.
The Psycho Kinder Tapes è il secondo disco della cerbera creatura electro-wave degli Psycho Kinder, sotto il cui curioso epiteto si nasconde il trio formato dal vocalist e paroliere Alessandro Camilletti con Michele Caserta e Giorgio Mozzicafreddo, qui affiancati ad hoc da una serie di autorevoli musicisti della scena underground nostrana.
Il titolo di questo lavoro, personalmente, mi ha subito portato alla mente The Faust Tapes, misconosciuto disco dei Faust che vendette milioni di copie in Inghilterra, grazie alla Virgin che decise di pubblicarlo al prezzo stracciato di 49 centesimi. Proprio in quel quell’album, vi sono due brevissimi pezzi dedicati a Kurt Schwitters, poi omaggiato da Einstürzende Neubauten, Billy Childish e Brian Eno, un artista nel tempo legatosi a diversi fenomeni artistici, nonchè uno dei padri dell’arte povera, realizzata con gli scarti della società industriale. Analogamente, nell’architettura visiva degli Psycho Kinder bisogna in primo luogo sottolineare l’estrema importanza del lavoro del quarto membro Marco “El Topo” Luchetti, amico e grafico della band: tre soli sono i colori che dipingono la copertina di questo The Psycho Kinder Tapes, gli stessi tre colori che colorano laconicamente tutta la discografia del gruppo. Una bella scelta di semplicismo – come quella di Schwitters – che si pone, già nel primo impatto, in netta controtendenza rispetto all’artificiale barocchismo dei più, incarnando al meglio l’incisivo lavoro poetico e musicale di Alessandro Camilletti. D’altronde, chi ha molte cose interessanti da dire riesce paradossalmente a farlo in maniera efficace anche con le soluzioni melodiche apparentemente più minimali.

Alessandro Camilletti e Michele Caserta
Si inizia quindi senza inchini nè aperitivi, direttamente da questa odierna apparenza di pace che, come un velo di Maya, nasconde soltanto un potenziale Stato di violenza. Con l’aiuto di Ali Salvioni (Settore Giada), Camilletti punta subito la sua gelida lama contro “chi detiene il potere e la servitù incapace“, accusando prima di tutto i complici di questa contemporanea omertà sociale (definiti “vigliacchi e parassiti“), coloro che con i loro silenzi sono stati gli artefici di questa “elegante falsità” costruita nei secoli – tanto per parafrasare un personaggio come Emil Cioran, che presumo Camilletti abbia ben presente mentre è intento a “gambizzare” verbalmente questa disonesta società ormai alla deriva. Scavalcando il muro dei sintetizzatori, “nell’età della tecnica” la ieratica sentenza di Camilletti è perentoria quanto quella, per esempio, di Gil Scott-Heron, che quaranta calendari fa, su una base di nudo jazz, urlava sarcastico ad una società assopita che “la rivoluzione non verrà teletrasmessa”, scagliandosi contro chi, anzichè lottare per i propri diritti, se ne stava imbambolato davanti alla televisione a farsi mentalmente sodomizzare dalla verità ufficiali. Le voci in tedesco di Martin Heidegger, uno dei vertici della filosofia esistenzialista, contribuiscono a fomentare un clima altamente claustrofobico e criogenizzato, in cui “regnano il ghiaccio e l’assurdo“, fissando le condizioni atmosferiche a cui l’ascoltatore verrà sottoposto durante lo scorrere di questo disco.
Successivamente, in Oltre il tempo gli Psycho Kinder si rivolgono proprio a quelli che mediaticamente “tiranneggiano la verità“. Senza occhio critico, senza la volontà di conoscere il mondo al di là delle sue fenomeniche apparenze, veniamo quindi “circondati dai fantasmi di un ego collettivo ipertrofico”, finendo inevitabilmente con questa tracotante ignoranza collettiva ad “inquinare” il bello del nostro pianeta, oltre che della nostra stessa esistenza. Passato, presente, ma soprattutto l’angoscia per un futuro incerto si fondono in una odierna “kling-klang music” che è fondamentalmente una bellissima e sincera lauda verso un ritorno alla Natura, ricordando nelle evocazioni il binomio uomo/macchina dei primi Kraftwerk, oltre che le concezioni dualistiche sulla natura di Giacomo Leopardi.
L’elettronica armata e distopica di Psycho Kinder (nata nella mente di Michele Caserta), approda poi strumentalmente a Vivo e invisibile (Miro Snejdr Remix), in cui Camilletti assieme all’ospite internazionale dei Death in June si getta con veemenza sul “calco del vuoto che chiamano moda, le vetrine della banalità in cui si specchiano per riconoscersi”. Il giudizio finale è, anche qui, rigorosamente tassativo: il culto del corpo non viene considerato degno neanche di una maledizione, tanto che nella celestiale Inviolabili e sacri (scalfita anche da sferzanti linee chitarristiche) il tema è proprio quello dell’alienazione, ormai divenuta una nuova forma di comunicazione tra i muscolosi e vanitosi automi che popolano il mondo occidentale. “Sradicati dall’essente“, gli uomini sono divenuti ormai una cosa tra le cose e vengono qui ironicamente definiti “inviolabili e sacri” come da costituzione lo sono i diritti inalienabili, a cominciare dalla proprietà privata e dalla stessa libertà d’espressione, di cui ci millantiamo di godere.
In With usura viene poi ingarbugliato nelle frequenze del sintetizzatore anche Ezra Pound mentre recita il suo Canto XLV: rifacendosi ai maggiori trattatisti e poeti medioevali (Tommaso D’Aquino e Francois Villon in primis), Pound associa al termine “Usura” un significato molto esteso, inglobandovi qualsiasi attività dalla quale l’individuo può trarre un profitto dovuto al sacrificio altrui. L’Usura viene vista, quindi, da una prospettiva universale, come un morbo che contamina la sorgente stessa della vita: non a caso Pound usa ripetutamente la parola come fosse parte di una qualche atavica formula esorcista contro tutto ciò che è corruttivo e dannoso; invece di godere delle bellezze della terra, l’uomo se ne è avidamente impadronito, lottando soltanto per i propri profitti e per aumentare il proprio potere – un potere che, di fatto, alla lunga si esercita soltanto su ciò che è già morto o è moribondo: pertanto il canto e la canzone si concludono con il versetto dei cadaveri al banchetto dell’usura (“Corpses are set to banquet at behest of usura“). L’Hybris, il topos della superbia delle tragedie greche, viene somatizzata dalle parole di Pound che vengono canalizzate a loro volta in un flusso dark-wave tanto orecchiabile quanto spietato, che trova il suo corollario naturale in Viaggio allucinato. Proprio in questo visionario “viaggio al termine della notte” viene infine esorcizzato l’egocentrismo delle masse, le cui foto postate sui social networks dissimulano soltanto l’infelicità di una vita superficiale e vuota, tra frasi fatte e virtuali vanaglorie (“Vedo cartoline di vite non vissute solo virtualmente. La vostra stella brilla tra noiosi slogan e autocastrazioni, crollano le mura di questa civiltà“).
Crollate le mura delle nostre concezioni sociali, la strumentale Il tramonto dell’evidente (Carnera Remix) viene ricoperta dal lavoro decadente dei Carnera che fa definitivamente tramontare il sole sul mondo occidentale, fino a rivelare in quest’oscurità collettiva quello che è l’autentico Essere, in cui “l’incantesimo dell’uno che ci fa nascere, riprodurre e morire in un ciclo perpetuo di apparenze” porta infine allo smarrimento dell’uomo, grazie anche all’apocalittico scheletro musicale di Ludovico Padovan (Wanda Wulz). Ma proprio da questi dubbi, attraverso il disorientamento esistenziale che ne consegue, possiamo giungere finalmente alla tanto agognata Libertà: Camilletti ci lascia quindi con un barlume di speranza dopo aver aperto il vaso di Pandora, congedandosi con un finale estremamente coerente per un disco che inizia proprio dall’oblio della voce di Heidegger, la cui concezione maieutica dell’angoscia dinanzi al nichilismo viene sapientemente affinata ed usata dagli Psycho Kinder come apertura sul reale significato della Vita.
Dall’ignoranza non può nascere mai nulla di buono: soltanto attraverso lo studio e la conoscenza può essere in grado di scaturire un disco così carico di autentica passione per la musica e messaggi poetici mai banali. Per poter riuscire ad arrivare a destinazione nella mente dell’ascoltatore con una formula di “spoken words”, bisogna innanzitutto avere un bagaglio culturale ed una visione critica della vita fuori dall’ordinario: gli Psycho Kinder ce l’hanno. Al di là dei sempre sopravvalutati cantantini generazionali e dei soliti consumati clichè della scena indie nazionale, gli Psycho Kinder hanno dimostrato – ancora una volta – non solo di avere molto da dire, ma soprattutto di saperlo fare in maniera molto personale ed intelligente, senza belle ed inutili foglie di fico a coprire i vizi dell’Adamo moderno. Partendo dai Pholas Dactylus, passando per gli Offlaga Disco Pax fino ai Massimo Volume, e mischiando queste influenze con il movimento post-punk e la new-wave, Alessandro Camilletti & co. hanno saputo sfornare uno dei dischi più scottanti ed originali di questo nefasto MMXVI.