
Pink Floyd | More (1969)
L'album più sottovalutato dei Pink Floyd schiacciato da due giganti, A Sacerful of Secrets e Ummagumma
Otto giorni. Questo è stato il tempo necessario per ideare e registrare la colonna sonora del film More di Barbet Schroeder. Un tempo incredibilmente breve se pensiamo alla qualità del prodotto e al fatto che per Waters e Gilmour questa era il vero primo album privo dell’influenza di Barrett. More è, per vari motivi, l’album più sottovalutato dei Pink Floyd. Uno di questi è di essere prevalentemente acustico, cosa che spiazzò non poco all’epoca della sua pubblicazione. Altro motivo è di trovarsi schiacciato da due album memorabili e totalmente differenti, il viaggio cosmico A Sacerful of Secrets (1968) e il monumento psichedelico Ummagumma (1969).

Mimsy Farmer, protagonista femminile del film More
E’ il 1969, un anno fondamentale per la storia dei Pink Floyd. Le recensioni dei loro concerti di quel periodo sono entusiastiche. Memorabile il concerto del 16 aprile al Royal Festival Hall, chiamato The Massed Gadgets of Auximenes. I Pink Floyd mostravano interesse verso il cinema, avevano l’idea fissa dell’accoppiare la loro musica a delle immagini, erano anni in cui i film come Easy Rider erano veri e propri simboli generazionali. Vengono contattati dal regista Barbet Schroeder e accettano immediatamente la sfida. Otto giorni di totale isolamento ed ecco pronto il disco. E’ in pratica il primo album dei “secondi” Pink Floyd, quelli senza la minima traccia di Syd Barrett. La storia d’amore segnata dall’abuso di eroina descritta dal film è perfetta per la psichedelia malinconica di Waters che punta su semplici brani acustici che trovano proprio nella semplicità la loro forza. L’atmosfera bucolica e rilassante da la sensazione di un viaggio nell’assolata estate di Ibiza che, in un percorso onirico, ci porterà sino alla morte per overdose della protagonista Mimsy Farmer. I brani acustici scritti da Waters, tutti nella prima facciata, (Cirrus Minor, Crying Song, Green Is the Colour, Cymbaline), sono simili a quelli presenti nei successivi Atom Heart Mother e Meddle e sono i migliori dell’album, in particolare il brano iniziale Cirrus Minor che inizia col cinguettio degli uccelli e termina con l’organo di Wright, ha una forza psichedelica e allucinatoria incredibile.
La seconda facciata presenta brani strumentali, ponte di congiunzione ideale tra A Sacerful of Secrets e Ummagumma, mi riferisco a Main Theme, Dramatic Theme e alla rarefatta Quicksilver.
Tra gli altri brani spiccano la durissima e insolita per i Pink Floyd, The Nile Song e la jazzata Up the Khyber scritta da Mason e Wright.
Sottovalutato ma imperdibile, More è una vera e propria perla, una chicca nota a pochi che segna un passo fondamentale nella strada che i Pink Floyd orfani di Barrett avevano appena iniziato a percorrere.