
Pink Floyd | The Piper at the Gates of Dawn (1967)
La nascita del mito. Un album surreale, geniale, maturo ma con tratti ingenui ed infantili, il vertice dell'arte visionaria di Barrett.
The Piper at the Gates of Dawn non è soltanto il primo album dei Pink Floyd. Sarebbe bastato solo questo a farlo entrare nella storia. In effetti, è molto di più. E’ il vertice assoluto dell’arte visionaria del geniale Syd Barrett, che troppo presto inizierà a mostrare i primi sintomi di una malattia che lo spegnerà ogni giorno di più. E’ anche uno dei più importanti (forse il più importante) album psichedelici britannici e non solo. E’ l’inizio di una psichedelia che miscela alcune atmosfere del rock psichedelico classico americano (Jefferson Airplane con il classico formato canzone), lunghe jam strumentali (Interstellar Overdrive) e lo sperimentalismo che in America può ritrovarsi nella Scena Texana (Red Crayola e 13th Floor Elevators). Evidenti appaiono anche le influenze dei gruppi beat dell’epoca. In ogni caso, trovare precedenti influenze nella genesi di questo album non è semplice, in quanto non si può non tener conto della folle, unica ed irripetibile genialità del suo protagonista, Syd Barrett.
Indipendentemente dalla musica che Barrett ascoltava, che lo ha certamente influenzato (chi lo ha frequentato afferma che ascoltava moltissimo i Love, i Rolling Stones, i Beatles e i Kinks), è dentro se stesso e la sua incontenibile immaginazione che sono nate tutte le sue canzoni. In effetti siamo quasi di fronte ad un album singolo, tanta è la sua leadership e la sua creatività esplosiva, tutti i brani e i testi sono scritti da lui, se si eccettua Take Up Thy Stethoscope And Walk che è scritta da Waters.
Questo concetto è stato ribadito proprio da Waters in un’intervista di qualche anno fa: “Nel 1967 ero solo uno studente di architettura che spendeva tutti i suoi soldi acquistando bassi, le canzoni erano tutte di Barrett, non aveva importanza chi suonasse il basso o la batteria, era del tutto insignificante”.
Syd Barrett non deve essere visto come un “semplice” musicista, bensì come un artista completo, interessato a tutte le forme di arte, in particolare la pittura. La sua era un’arte visionaria, che con le note descrive immagini, sogni, incubi, viaggi lisergici, visioni di mondi immaginari. La sua personalità e i suoi interessi sono al centro di tutto l’album, dall’amore per l’astronomia, in quanto paesaggio ideale per lunghi viaggi interstellari, all’amore per il fantasy, anche qui per la possibilità di viaggiare con la mente e ritrovarsi in mondi fiabeschi. Da questo emergono alcune caratteristiche di Barrett, una personalità molto distaccata dal mondo reale, che l’uso continuo dell’LSD porterà in luoghi sempre più distanti dalla vita reale, ed un carattere a tratti molto infantile, come fosse ancora un adolescente visionario restio ad abbandonare i propri sogni e mondi immaginari, indeciso, forse timoroso, se crescere e diventare adulto.
E’ strano pensare che una rivoluzione tanto radicale nella fruizione della musica rock sia nata da Barrett che aveva certamente un’immaginazione straordinaria, ma non un altrettanto straordinaria tecnica alla chitarra. Almeno cosi ci dicono Gilmour e Peter Jenner (primo manager del gruppo).
David Gilmour: “Prima di fare parte dei Pink Floyd era più interessato alla pittura che alla musica, io stesso pensavo che suonare la chitarra era una cosa che proprio non sapesse fare, riuscì comunque a creare un suo stile chitarristico personale e ben definito“.
Peter Jenner: “Era un chitarrista notevole, ma non era affatto un eroe della chitarra, la sua tecnica non era nemmeno paragonabile a quella di Jimmi Page o di Eric Clapton”.
Ultima caratteristica di Barrett che segnalo è il suo amore per le canzoni brevi, quasi tutti i brani dell’album non superano i quattro minuti, ma la complessità, le innovazioni apportate sono tali da poter descrivere alcuni di loro come vere e proprie suite di 3-4 minuti. Questa è una differenza fondamentale con quanto farà Waters negli anni successivi, essendo lui più interessato a composizioni più lunghe e complesse.
L’inizio del primo brano, Astronomy Domine, con i suoi segnali radio intermittenti, è una delle cose più geniali create dalla mente di Barrett, un brano che descrive, pur in modo favolistico, la grandezza dell’universo che non può che farci paura e farci sentire insignificanti. La psichedelia si sposta nello spazio, come mai era successo prima.
Lucifer Sam è un brano anomalo per i Pink Floyd, un riff di chitarra ci introduce in un’atmosfera luciferina pur restando sempre riconoscibile la tecnica di Barrett.
Matilda Mother è davvero un brano eccezionale nella sua incredibile semplicità. Poche note di basso ci introducono in una dolce atmosfera psichedelica. E’ il primo brano autobiografico di Barrett che si rivolge alla madre chiedendole di di continuare a raccontargli le sue fiabe (cioè le chiede di farlo restare ancora bambino).
Flaming è un altro brano perfetto, poco più di due minuti dove c’è un grado di fantasia ed innovazione che sembra quasi impossibile possa stare in un tempo tanto breve. Dopo un inizio inquietante si alternano vari collage e momenti d’avanguardia. I testi sono senza senso, descrizioni di visioni a metà tra il sogno e il fantasy tanto amato da Barrett.
Pow R. Toc H. è il primo brano strumentale che dopo una breve introduzione vocale, un giro di basso e poche note di piano ci porta in un clima orrorifico ed estremamente cupo.
Take Up Thy Stethoscope And Walk è l’unico brano scritto da Waters, ancora lontano dalla fervida mente creativa che diventerà negli anni a venire. Segue quello che forse è il capolavoro dell’album e forse di tutta la produzione di Barrett, l’incredibile viaggio interstellare di Interstellar Overdrive. E’ la descrizione di un universo che affascina ma fa paura, di alienazione, di sensazione di vuoto e di impotenza, forse mai l’immensità dello spazio è stata descritta in modo tanto esaustivo. Uno dei vertici assoluti del rock psichedelico.
Con The Gnome si torna al fantasy e alle atmosfere teneramente infantili di Barrett. Niente più paura o sofferenza, solo la tranquilla vita di uno gnomo che vive felice mangiando, dormendo e bevendo vino. Di nuovo un Barrett che ricorda le favole della madre dalle quali non vuole allontanarsi per poter essere ancora felice.
Chapter 24 ha un andamento lento ed onirico, testi stralunati e una tastiera a metà tra la psichedelia e la musica orientale.
Ancora un brano brevissimo, appena due minuti, ma interessante come una suite di venti minuti, Scarecrow (Lo spaventapasseri). Su un tappeto percussivo di Mason si fanno largo tastiera, chitarra e la voce di Barrett, che descrive lo spaventapasseri come un fantoccio incapace di pensare, ragionare e muoversi tranne che il vento non lo spinga. Forse un triste presagio di quello che attenderà il povero Barrett. Anche qui una semplicità geniale.
Si chiude con Bike, brano goliardico che termina con un lungo collage di rumori.
Il mito è nato, dopo questo esordio praticamente perfetto i Pink Floyd riusciranno a realizzare una delle imprese più difficili che un musicista ha davanti a sè, conciliare alta qualità con alte vendite, cioè rendersi comprensibili ad un grande numero di ascoltatori. Ma questa è una storia che dovremo ancora raccontare.