
Pere Ubu | The Modern Dance (1978)
L'evento fondamentale dell'epopea New Wave. Quaranta minuti di musica in cui viene condensato il programma ideologico e musicale di uno dei gruppi più influenti della musica Rock.
Un sibilo prolungato, assordante, infinito. Ma torniamo indietro. La New Wave, o almeno il suo manifesto culturale, nasce a Cleveland, Ohio per opera di Peter Laughner, un intellettuale tossicodipendente che bazzica le cantine e i locali underground della metropoli del Nord-Ovest degli Stati Uniti.

Peter Laughner, co – fondatore dei Pere Ubu e dei Rocket From The Tombs
A Cleveland – come nel resto del paese – sono innumerevoli le formazioni che propongono garage rock assatanato rifacendosi a Stooges e MC5, ma a differenza di essi Laughner, che nel frattempo suona per i Cinderella Backstreet, non ha solo vigore bensì fervide idee. Innanzitutto decide di fondare nel 1974 assieme al critico musicale Crocus Beehemot, nome d’arte per David Thomas, i Rocket From The Tombs che sembravano voler “ semplicemente “ barbarizzare, se possibile, le già violentissime barricate Proto – Punk dei gruppi a loro coevi. Nonostante l’efferata violenza e la cacofonia pre – Industrial, il sound dei Rocket From The Tombs si contraddistingueva per l’inventiva della chitarra di Laughner, che si muoveva lungo coordinate stilistiche pressoché infinite, in definitiva come fosse un Barrett armeggiante col Punk, e per la voce nasale, oltre misura, e volutamente stonata di David Thomas. Il gruppo non incise dischi ma ebbe abbastanza successo presso i milieu dell’underground cittadino. O’Connor, Bell e Madansky, gli altri componenti del gruppo, cominciarono a non tollerare la voce parossistica di David Thomas e lo sostituirono ben presto con Stiv Bators, cantante feroce e disinibito, quasi un Iggy Pop del sotto – sotto proletariato. Laughner orfano della dipartita del suo sodale Thomas, vi si ricongiunge e forma la cellula primordiale di quelli che saranno i Pere Ubu, lasciando Bators e i Rocket From The Tombs al loro destino: Ossia fondare i Dead Boys che saranno una delle realtà più violente ed influenti per il Punk Rock di quegli anni. Laughner e Thomas hanno ormai, nel 1975, oltrepassato il punto di non ritorno. Il loro approccio artistico alla materia Punk e i temi trattati li portano ben presto a sfornare singoli che esulano dal semplice “ far musica “ quali 30 Seconds Over Tokyo o Final Solution.
La maturazione è evidente e i Pere Ubu sono pronti per dare alle stampe The Modern Dance. Ma il quintetto di Cleveland non aveva fatto i conti con l’alcolismo e la tossicodipendenza estremi di Laughner che portano alle drammatiche conseguenze della sua morte avvenuta il 22 Giugno del 1977, ufficialmente per pancreatite acuta. La perdita di Laughner sembra dover portare a un disfacimento del progetto, anche perché egli rimaneva il leader e compositore della compagine, invece questo evento nefasto sarà fondamentale perché lascerà il via libera a Thomas, ormai assoluto padrone della causa, che potrà plagiare i Pere Ubu a sua immagine e somiglianza e forgiare la sua personale idea di musica. Infatti la formazione classica dei Pere Ubu si cristallizza finalmente con l’acquisto del chitarrista Tom Herman che si aggiunge ad Allen Ravenstine alle tastiere, Scott Krauss alla batteria e Tony Maimone al basso.

Pere Ubu, Londra, 1978, ( Da sinistra verso destra ) David Thomas, Tony Maimone, Allen Ravenstine, Scott Krauss e Tom Herman
Il terremoto del Punk ’77 non sfiora minimamente i Pere Ubu che nel frattempo cambiano pelle lasciando, almeno parzialmente, perdere le velleità psichedeliche tipiche del sound di Laughner e smorzando la pesantezza del suono, muovendosi verso composizioni allo stesso tempo austere, in quanto da camera, free, come il Jazz nella tradizione di Coleman e Dolphy, e scalmanate come da verbo Punk. Ma i Pere Ubu, come dice il nome che è ripreso dall’opera precursora della patafisica, il Re Ubu del commediografo francese Alfred Jarry, sono avulsi dagli eccessi e dall’iconografia della cultura Punk e da tutto ciò che succede nel mondo musicale che li circonda. Il rapporto che essi hanno con la musica è di livello estremamente intellettuale, fatto che li pone su un piano diverso rispetto agli altri artisti di New Wave già in circolazione. La New Wave aveva ormai messo a ferro e fuoco New York e Il CBGB’s grazie alle performances di Television (pupilli dello stesso Laughner), Patti Smith, Ramones e Talking Heads, artisti eccelsi che però avevano travisato il messaggio dell’ ideologia, del quale appunto i nostri rimanevo i veri depositari. Anzi è corretto dire che se davvero si debba trovare un gruppo che incarni perfettamente lo spirito della New Wave, quelli sono i Pere Ubu. Sempre a Cleveland, nascono i Devo che reinterpreteranno con ironia caustica la New Wave, questo per sottolineare la fervida scena che si era creata nel Buckeye State. I Pere Ubu invece continuavano nella ricerca di una musica che fosse caotica ma controllata sapientemente e che affrontasse davvero le ansie del tempo: La disillusione, l’insicurezza creata dal clima Post – nucleare, la disumanizzazione dell’uomo ormai fattosi macchina e questa ricerca sublimò in The Modern Dance, uscito nel Gennaio del ’78, con il clamore dell’opera che fa epoca, disco nel quale i Pere Ubu lambirono vertici di compattezza e creatività che pochi avrebbero toccato in futuro, in ambito Rock.

Retro della copertina di The Modern Dance, 1978
Ma torniamo a quel sibilo, che è l’incipit alla dichiarazione di guerra dei Pere Ubu ovvero Non-alignment pact, un boogie a velocità supersonica in cui affiorano sin da subito le particolarità del gruppo. Sotto un intricato e notevole sposalizio di basso e batteria, che in qualche modo detta il motivo dei brani, Herman, Thomas e Ravenstine cercano in tutti i modi di squarciare ( Rovinare consapevolmente ) il brano, eppure, e proprio qui sta la grandezza dell’album, questo è un disco che non solo rimane intatto ma anzi guadagna compattezza dalla destrutturazione attuata dai suoi stessi artefici, un po’ come se essi irrobustissero una pietra prendendola a picconate. Herman spesso suona, nel senso ortodosso del termine, mentre Thomas gigioneggia tra i rifiuti della società Post – industriale come un cantore del nulla, instupidito dalla pubblicità, dal consumo, dal fumo e dai rumori delle fabbriche, rivoluzionando il canto nel Rock, che diventa con lui rappresentazione espressionista di un concetto molto più ampio del semplice “ cantare per cantare “. Il canto con David Thomas perde le caratteristiche proprie del gesto in sé acquisendo i connotati di una voce narrante che, estranea dal contesto in cui si trova, si dichiara comunque padrona ( E succube ) del suo contesto, in questo senso c’è un parallelo con la condizione dell’uomo moderno che è, allo stesso tempo, vittima e carnefice del mondo in cui è costretto a vivere; ovvio che ricordandosi di cantare Thomas dà l’idea che è in atto la riproduzione di un brano musicale, ma la sua voce stonata, inappropriata (che trova antesignani solo in Captain Beefheart e molto di più in Bruce Hampton) non viene utilizzata come accompagnamento della musica, diviene bensì un fantasma flebile che vaga fra le pieghe delle canzoni infondendo loro un’aura superiore. Detto ciò, Thomas ogni tanto addirittura prova a canticchiare, mentre Ravenstine proprio no ed è qui che troviamo l’innovazione più geniale apportata dai Pere Ubu. Allen Ravenstine non suona una sola nota per tutta la sua lunga carriera con i Pere Ubu e questo è significativo. Egli crea atmosfere allo stesso tempo depresse e claustrofobiche, dipinge affreschi di desolazione urbana, ricostruisce, particolare dopo particolare, le scene dei delitti con cui l’uomo è diventato un semplice manichino dell’industria. La sua capacità di suonare rumori, senza essere forzato, ed avere una concezione del tempo musicale unica lo rendono uno dei tastieristi più creativi che possiamo ricordare. Il secondo brano è la title track in cui tra citazioni dell’Ubu Roi e cambiamenti repentini di scenario si consuma la Danza Moderna, inno alla follia dell’uomo ormai totalmente trasformato dalla società.
Laughing è uno dei capolavori nel capolavoro; le pulsioni del basso disegnano un motivo sopra il quale i fiati si scontrano in un duello degno della “ Hair Pie: Bake 1 “ di Trout Mask Replica, fino a che lo scontro non sfocia in un ritornello di scatenato blues rock.
Laughing è un esercizio stilistico di elevatissima fattura, e così è per tutti i brani a seguire: dalle folate nucleari e le linee spettacolari di basso di Street Waves, agli arpeggi malinconici di Chinese Radiation, preludio allo show epilettico che si consuma nella seconda metà del brano. Ogni pezzo in realtà necessiterebbe di pagine e pagine di descrizione, come per esempio Life Stinks, ultimo testamento del compianto Peter Laughner, in cui la performance vocale di Thomas è abbacinante per potenza e proprietà, una specie di pioggia di meteoriti, e in cui i Pere Ubu sembrano quasi delineare un Grindcore ante – litteram. Poi l’altro grande capolavoro dell’album, Real World, il brano che meglio rappresenta la creatività di tutti gli strumentisti del gruppo, in pratica una sorta di filastrocca robotica, un groviglio inestricabile di suoni elettronici, una foresta di codici da interpretare.
Over My Head è come distendersi su un prato e assistere all’irrefrenabile frenesia della città che crolla su sé stessa, altro capolavoro assoluto di Ravenstine che ci conduce al terzo capolavoro dell’album che è uno dei brani più arditi della storia della musica “popolare“: Sentimental Journey. Il titolo è appositamente straniante ed introduce questa sinfonia di cortocircuiti che si dipana lungo attese da thriller, piatti infranti, strumenti come cavalli imbizzarriti e voci confuse. Difficilmente i Pere Ubu comporranno nuovamente brani di questa portata.
L’ultimo pezzo è il recital freak di Humor Me, altra grande esibizione vocale di Thomas, che come Didi e Gogo di “ En Attendant Godot “ rimane ignaro e delirante ad aspettare la catarsi in un mondo ormai definitivamente irrecuperabile, un mondo che assomiglia più a un cimitero che ad un posto in cui vivere. The Modern Dance è un risultato insuperato ed è forse, a conti fatti, il più grande testamento della musica alternativa americana degli anni ’70.
Manuel La Valle