
Opeth | Pale Communion (2014)
Continua la svolta progressive della band svedese, il futuro degli Opeth guarda al passato
“Heritage ci ha dato un futuro, ci ha permesso di cambiare e non ripeterci”. Mikael Åkerfeldt, leader e vocalist degli Opeth, parla così della nuova fase della loro carriera. La svolta verso il prog classico degli anni settanta, iniziata col precedente Heritage, continua ancora nel 2014, nonostante le critiche di chi non ha accettato o capito questo cambiamento. Indipendentemente dai gusti personali, tra chi preferisce gli Opeth di Blackwater Park o chi apprezza gli ammorbidimenti degli ultimi anni, non si può negare che la qualità del progressive proposto è buona, se non addirittura ottima. Complice anche la produzione di Steven Wilson, abbandonate velleità sperimentali e rinunciando a complessi tentativi di indirizzare la scena progressive verso nuove strade, gli Opeth hanno ormai deciso di continuare, senza grossi scossoni, i percorsi già battuti dai padri e maestri del genere. Ma il cambiamento non è stato un tentativo di “alleggerire” la propria musica, anche se l’idea era quella di riproporre sonorità già note, il progressive proposto resta pur sempre di grande classe.
Impossibile non segnalare la copertina, uno splendido trittico di quadri che raccontano una storia. La prima immagine a sinistra vede una citazione di Axel Oxenstierna, politico svedese del XVII secolo: “Non sai, figlio mio, con quanta poca saggezza è governato il mondo?”. Al centro lo scrittore latino Terenzio: “In questi giorni l’adulazione vince gli amici, la verità genera l’odio”. Infine Marziale: ” È addolorato davvero chi piange senza testimoni”.
La musica non potrà non piacere agli appassionati del progressive rock. Le citazioni, in particolare degli Yes, sono continue (Eternal Rains Will Come), il metal è ormai quasi scomparso, anche se qualche breve cenno rimane. Non mancano anche brani jazzati a metà tra lo stile Canterburiano e l’omaggio agli italiani Goblin (Goblin), una deludente escursione nel neo-prog (Cups Of Eternity), mentre i tre brani finali e la lunga Moon Above, Sun Below, mantengono più le caratteristiche classiche degli Opeth. River, il brano migliore dell’album, inizia con accenni prog-folk per terminare in un finale quasi Petrucciano , Voice of Treason ha un andamento maestoso e cupo mentre con Faith In Others gli Opeth giocano, con buoni risultati, la carta orchestrale con crescendo finale. Questo è quello che possono darci oggi gli Opeth e, a pensarci bene, non è proprio pochissimo, considerato che tanti gruppi più blasonati, dopo venti anni di carriera, ci hanno propinato album molto meno validi di questo. Non svolte, non rivoluzioni, ma musica di buona qualità.