
NichelOdeon / InSonar | Ukiyoe (2014)
Incatalogabile, inclassificabile, inarrivabile, un nome che è una garanzia, Claudio Milano
Unico, inarrivabile, irripetibile, forse persino inimitabile. Questo e tante altre cose è Claudio Milano, uno degli artisti (a 360 gradi) più eclettici e poliedrici che mi sia capitato di conoscere e ascoltare. Musicista, cantante, attore (o magari cantattore come lui ama definirsi), pittore, musicoterapista, regista, fotografo, Claudio rappresenta l’immagine dell’artista completo, direi totale, che supera ogni barriera per creare un’arte senza limitazioni, che riesce a spaziare attraverso i nostri sensi, dal suono alle immagini. Già da anni protagonista della scena culturale italiana, nel 2014 unisce i suoi due principali progetti, portati avanti con la fatica del pioniere. Il suo sguardo è talmente proiettato in avanti da far fatica a farsi comprendere dai suoi contemporanei e da questo punto di vista la parola pioniere è forse persino limitativa. La sua musica mi appare talmente al di fuori degli schemi comuni a cui, volenti o nolenti, siamo abituati e che utilizziamo per catalogare o ordinare nella nostra mente quello che ascoltiamo, da rendere anche difficile fare persino dei semplici riferimenti alle ipotetiche influenze che hanno creato il mondo immaginario di Claudio Milano. Quella che mi è balzato in primis in mente è la musica di Scott Walker, uno dei musicisti preferiti da Milano (l’album The Drift è uno dei suoi preferiti in assoluto). Trovarne altre non è semplice anche se è lui stesso, in varie interviste sul web, a segnalarci le sue preferenze che vanno dagli album di Nico/Cale (The Marble Index, Desertshore) agli Univers Zero, da Peter Hammill con e senza VDGG (leggete qui il suo articolo su Ondarock) ai Bark Psychosis, David Sylvian, gli Swans di The Seer, dalla musica classica di Fausto Romitelli, Messiaen, Penderecki, Ligeti, al free-jazz di Ornette Coleman, dalle Musiche Medieval-Rinascimentali su direzione di Pickett (ex Albion band) al Robert Wyatt di Rock Bottom, alla psichedelia dei primi Velvet Underground e dei primi Pink Floyd (The Piper at the Gates of Dawn), da Pornography a Robert Fripp, solo per citarne alcuni. Ma nonostante tutte queste influenze la musica di Milano resta unica e inclassificabile, proprio come la vera avanguardia dovrebbe essere. Questo rende Claudio Milano, con la sua ricerca musicale e con la sua voce dotata di un’estensione quasi inarrivabile, una vera perla misconosciuta nel panorama italiano ed europeo.
L’album è dedicato al mare (il mondo fluttuante), non inteso come fece Wyatt come l’allegoria di una risalita verso la salvezza, bensì paradigma di un ciclo vitale che si ripete infinitamente, una riflessione sulla vita e sulla morte, sulla paura che ci segna e sulla felicità che agogniamo, sulla luce che ci pervade e sull’oscurità che incombe. Gli archi, l’harmonium di Stefano Giannotti, la voce cristallina di Milano tessono una fitta trama che si dispiega in tutti i brani. Emblematici i brani Il Marinaio con le percussioni che ricordano Walter Scott seguite dalla voce unica di Milano, Veleno con archi, rimandi alla musica classica e ancora la voce di Milano che sa passare in pochi secondi da atmosfere serene a risvegliare inquietudini, o nella originalissima Fi(j)uru d’acqua, tanto originale da essere difficilmente definibile. Capolavoro dell’album sono i venti minuti finali di MA(r)LE, il cui titolo gioca con l’assonanza male/mare, summa d’avanguardia contesa tra melodia e cacofonia, un lungo viaggio diviso in tre parti che perturba la nostra anima e non da speranze di riconciliazione.