
Mike Oldfield | Ommadawn (1975)
Il terzo album di Mike Oldfield, superate le atmosfere agresti di Hergest Ridge, sonorità folk con uno sguardo a Tubular Bells
Il terzo album di Mike Oldfield, Ommadawn, può essere considerato una via di mezzo tra l’esordio Tubular Bells e il successivo Hergest Ridge. Superate le atmosfere bucoliche precedenti e dopo la deludente versione orchestrale di Tubular Bells, Mike ripropone ritmi più energici e rabbiosi che sembrano quasi un ritorno alle sue origini.
Da questa introduzione si può avere l’impressione di parlare di un affermato musicista trentenne o quarantenne, invece, non dimentichiamoci mai che Mike è ancora un timidissimo ragazzo di ventidue anni. E’ in questi anni, quelli della sua giovinezza, che Oldfield pubblicherà i suoi lavori migliori. Tra questi rientra certamente Ommadawn, da alcuni ritenuto il suo album migliore, ma che per chi scrive è invece da considerarsi lievemente inferiore al suo vero capolavoro Tubular Bells.
Per cercare di ripeterne il successo Mike riprende suoni più duri e veloci, aggiunge vari strumenti, quali l’arpa, cornamuse irlandesi (Uilleann pipes), flauti, violoncelli ed abbandona quell’isolamento forzato a cui si era sottoposto l’anno precedente. Rispetto ai lavori precedenti c’è un’influenza molto maggiore del folk-rock, soprattutto nella parte finale dei due brani. Si continua ancora con l’ormai collaudata suddivisione del disco in due lunghe suite, stavolta lievemente più brevi. Per la prima volta Mike “ci mette la faccia”, nel senso che si vede il suo viso nella copertina in una foto molto bella. Non solo, per la prima volta si sente la sua voce che canta un semplice ed orecchiabile ritornello, con un testo infantile.
Il primo brano, più energico, è certamente il più interessante tra i due. Si parte con la chitarra classica di Mike, per continuare con un sottofondo di tastiere, un bell’intermezzo folk con flauto e chitarra. Alla fine viene ripreso il motivo iniziale con chitarra elettrica, percussioni africane, flauti, cori femminili sino alla parte finale, la migliore e più famosa, un crescendo continuo di chitarra elettrica, sempre più veloce, accompagnata, tra l’altro, anche dal Glockenspiel, già usato in Tubular Bells. Complessivamente direi che è un ottimo brano, uno dei migliori di Oldfield in assoluto.
Il secondo brano inizia con le sovrapposizioni di chitarra, cosa non nuova per Mike. Qui si ha l’impressione di qualcosa di già sentito, di un prolungamento artificioso del brano. Il meglio arriva dopo circa sette minuti con lo splendido suono della cornamusa di Paddy Moloney, leader dei Chieftains, per poi arrivare al finale folk con un notevole sfoggio di tecnica di Oldfield, qui davvero in gran forma.
Il finale è in effetti un nuovo brano, On Horseback. Una semplice canzoncina dove per la prima volta si sente la voce di Mike, accompagnata da un coro di bambini. Il testo è infantile e, in un certo senso, rispecchia la personalità semplice e chiusa dell’autore, che ci dice quanto sia bello bere birra, mangiare formaggio e andare a cavallo. In pratica, la semplice vita della campagna inglese che Mike amava tanto.
Ommadawn può considerarsi il miglior disco di Oldfield dopo Tubular Bells ed in certi momenti il risultato è davvero ottimo. Dopo un altro buon album, Incantations (1978), la carriera di Oldfield conoscerà alti e bassi, tanti dischi accettabili, alcuni che sfruttano economicamente il nome di Tubular Bells e alcuni tonfi. Ma il tonfo maggiore è, purtroppo, il suo disco più recente, lo scempio di Tubular Beats (2013). Ma questa è un’altra storia e non toglie il fatto che Mike Oldfield sia uno dei musicisti più importanti della storia del rock britannico e mondiale.