
Marillion | Misplaced Childhood (1985)
Il gruppo di riferimento del neo-prog, tra pregi e difetti sin troppo evidenti.
I neoproggers degli anni ottanta erano gente testarda e ostinata. Ancora increduli della scomparsa dei maestri Emerson Lake & Palmer, Gentle Giant, Van Der Graaf Generator, dell’abbandono dei Genesis di Peter Gabriel, dei nuovi percorsi intrapresi dai King Crimson, del fatto che gli Yes potessero suonare brani come Owner Of A Lonely Heart, presero la decisione più semplice e istintiva possibile; ignorare il presente e fermare il tempo. Non solo ignorarono la rivoluzione del 1977, andarono persino oltre. In un decennio in cui il rock trattava di temi come la morte e il suicidio (Joy Division), continuarono a parlare di fate e gnomi; mentre il testimone dell’innovazione passava decisamente nelle mani della new wave, loro fecero finta di non accorgersene e anziché ascoltare Tuxedomoon, Residents, Pere Ubu, Television, continuarono a far girare sui loro piatti i classici del prog, in particolare i Genesis. Negli anni in cui le etichette indipendenti producevano musica nuova e quasi inaudita, facendo nascere tra l’altro il genere industrial, i newproggers si misero in mente che il loro decennio fosse solo synth-pop da MTV, così contribuendo alla pessima fama – ormai ritenuta immeritata – degli anni ottanta. In pratica anziché ascoltare Tuxedomoon, Joy Division, Throbbing Gristle, Einstuerzende Neubauten, Sonic Youth, Swans, credettero alla menzogna che gli anni ottanta fossero solo Duran Duran, Spandau Ballet, Madonna e tutto il pop più retrivo. Credendo in questo si rinchiusero in una gabbia dorata che gli impedì di vedere bene la loro contemporaneità. Si potrebbe dire: cosa c’è di male di riproporre il vecchio suono prog? Assolutamente nulla; solo che resero manifesto che il progressive rinunciava a un fondamento delle sue origini; quello di essere sorprendente e innovativo, nei suoi vertici addirittura avanguardistico. Il neo-prog trasformò lo stupore di chi per la prima volta ascoltava In The Court of Crimson King, il piacere di chi apprezzava la magniloquenza delle suite degli Yes o dei Colosseum o le favole dei Genesis, in un clichè iper-semplificato adatto per le classifiche della nuova generazione MTV.
All’interno della scena neo-prog i Marillion hanno comunque avuto dei meriti; hanno incarnato più di tutti il movimento riuscendo a diventarne vero punto di riferimento. Pur essendo palesemente e dichiaratamente derivativi – tanto che i detrattori li ritenevano una sorta di cover band dei Genesis – oggi possiamo dire che i Marillion rielaborarono il sound Genesis con una loro personalità che li inseriva pienamente nel contesto anni ottanta. Progressive certamente, ma non proprio il classico prog anni settanta: semplificato, ripulito da eccessivi tecnicismi e da ogni ambizione sperimentale, ridotte a zero le influenze di jazz e avanguardia, era ormai molto più vicino al pop radiofonico (AOR) che ai King Crimson. Epigoni si, derivativi si, ma gli anni ottanta si sentivano eccome.
Misplaced Childhood è ritenuto uno dei loro lavori migliori. Probabilmente per i testi di Fish, qui al suo vertice, per la maggiore complessità rispetto ai due album precedenti, per il fatto di essere un concept album e per mostrare una maggiore autonomia dai Genesis. Il disco contiene il loro primi grandi successi, il pop sfonda-classifica Kayleigh e la ballata Lavender. Brani che, paragonati alle suite degli Yes o alle sperimentazioni di Fripp, erano poco più che mediocri.
Bitter Suite mostrava una maggiore complessità ma sempre all’interno di un contesto pop. Il brano migliore era certamente la lunga Blind Curve, divisa in cinque parti come volevano le regole del prog classico. Stupisce come la chitarra di Rothery non risentiva affatto della lezione di Steve Howe degli Yes o di Fripp dei King Crimson, ma sembrava in certi momenti vicina a Gilmour, in altri vicina a Steve Hackett. Blind Curve era un ottimo brano, poetico e commovente, che citava con grande dignità i Genesis di Gabriel.