
Lou Reed | Berlin (1973)
Un film per le orecchie che traccia un percorso nel lato più oscuro e degradato dell'animo umano.
“Berlin è un disco adulto scritto per adulti. Dovevo farlo, se non l’avessi scritto sarei impazzito, se non l’avessi tirato fuori la mia testa sarebbe esplosa”. Siamo nel 1973 e Lou Reed viveva i fasti del suo recente successo internazionale. La pubblicazione di Transformer nel 1972 lo aveva appunto “trasformato” in un musicista famoso in ogni angolo del mondo, il suo sogno si era realizzato, era diventato una vera e propria rock-star. Il merito di tutto questo però non è soltanto suo. E’ infatti innegabile che una grossa parte debba andare all’amico/rivale David Bowie che salvò letteralmente la carriera di Reed. Questo però Reed non poteva sopportarlo, il suo ego smisurato non poteva tollerare una divisione di meriti, il continuo paragone tra i due che le riviste e i giornalisti gli proponevano era un peso troppo grande che non poteva durare in eterno. L’idea che la sua carriera potesse essere dipendente o comunque svilupparsi all’ombra di un altro musicista era insopportabile. Già nell’autunno del 1972 i rapporti tra i due si logorano, Lou Reed rilascia interviste che dovettero suonare davvero ingiuste: “Mi domando cosa farà Bowie quando smetterà di copiarmi, in realtà è una persona molto cattiva”. Chi conosce bene la personalità di Lou Reed non potrà essere sorpreso da queste dichiarazioni. La difficoltà di Reed di mantenere buoni rapporti con amici, conoscenti, parenti è nota. Partendo dall’odio verso i genitori, accusati molto al di là delle loro vere colpe, possiamo giungere, attraverso svariati esempi, ai rapporti violenti con la moglie. Proprio la povera moglie Bettye era, in quegli anni, la vittima preferita di Reed, picchiata e umiliata sia in casa che in pubblico. Un giorno tentò il suicidio. E’ proprio Reed a raccontarcelo: “Un giorno la stronza cercò di uccidersi nella vasca da bagno dell’albergo. Aveva lo sguardo di una che vuole ucciderti ma invece di accoltellare me iniziò a tagliarsi i polsi. Era tutto pieno di sangue. Comunque non morì”. In quell’intervista Reed non mostrava colpa o risentimento, descrive in modo asettico quello che vedeva, quasi come se la cosa non lo riguardasse. Ma Reed era fatto così, i suoi problemi caratteriali appaiono evidenti, ma a differenza di tante altre persone problematiche aveva alcune caratteristiche che lo resero grande. Una spiccata attitudine all’osservazione dei comportamenti umani accompagnata alla capacità di tradurre quello che vedeva in poesia e in musica. Solo un grande poeta poteva descrivere l’abuso di eroina come fecero i Velvet Underground e solo un poeta poteva descrivere il rapporto con la moglie e trasformarlo in album come Berlin. Perchè Berlin è proprio questo, la storia dei due protagonisti è in effetti la storia di Lou e Bettye ambientata in un’altra città. E chissà se tutto sommato Reed, da sempre affascinato dall’idea della morte e del suicidio, non ambisse a finire come i protagonisti di Berlin. Per fortuna non fu così.
La pubblicazione di Berlin fu estremamente osteggiata dall’etichetta RCA. Secondo loro la scelta logica era registrare un nuovo album in stile Transformer e sfruttare economicamente il precedente successo commerciale. Ma Lou Reed non è tipo da prendere strade facili, i suoi problemi familiari lo spinsero a descrivere in modo crudo e diretto quello che lui stesso viveva e vedeva, proprio come aveva fatto anni prima con i Velvet Underground. Per poter pubblicare l’album dovette promettere alla casa discografica l’uscita di due album successivi, un live e un disco facile, “commerciale”, quello che poi sarà il mediocre Sally Can’t Dance. Lou Reed, pur di pubblicare il suo ambito progetto, accetta questo patto col diavolo. Avrà comunque modo di vendicarsi con la RCA pubblicando nel 1975 il devastante, da un punto di vista commerciale, Metal Machine Music. La produzione è affidata a Bob Ezrin, lo stesso che dopo pochi anni produrrà un altro viaggio nelle psicosi individuali, The Wall dei Pink Floyd.
Berlin è una storia di disperazione, povertà, droga, immoralità, violenza. I protagonisti, alter ego di Reed e Bettye, sono Carolyne e Jim, due tossicodipendenti che vivono nella Berlino degli anni settanta in condizioni di estrema povertà e degrado, non solo materiale, anche morale.
L’inizio da subito l’impressione dell’atmosfera decandente della Berlino degli anni trenta. Sembra di essere immersi nelle scene del film di Luchino Visconti “La Caduta degli Dei”. Si parte da vecchi ricordi di momenti felici, ma il clima malato e un piano jazzato inquieto ci fanno capire che questi ricordi sono ormai molto lontani, quasi come fossero di un’altra epoca.
Lady Day si può intendere sia come la continuazione della storia di Carolyne o la storia della cantante Billie Holiday, la cui vita ha varie somiglianze con quella immaginaria di Carolyne.
Men of Good Fortune era stato scritto da Reed già nel 1966 e doveva essere pubblicato in uno degli album dei Velvet Underground. Lou Reed lo modifica e riprende in questa occasione perchè ritiene, giustamente, che il suo clima deprimente stia bene all’interno di Berlin. Qui Lou Reed coglie l’occasione per riflettere e far riflettere sull’influenza del denaro sulla nostra crescita.
Gli uomini facoltosi spesso fanno cadere imperi, mentre gli uomini di umili origini
spesso non possono fare proprio nulla.
Il figlio ricco attende la morte del padre, il povero beve, piange e basta
Gli uomini facoltosi molto spesso non sanno fare niente
mentre gli uomini dalle origini umili spesso sono capaci di tutto
e a me non frega proprio un bel niente.
La riflessione si conclude con la frase sgradevole che mostra il totale disinteresse di Reed verso gli altri. E’ l’opposto della cultura dei giovani americani che pochi anni prima volevano cambiare il mondo, è forse l’inizio di una cultura o di una mentalità punk.
Con la prima parte di Carolyne says si entra nel vivo della storia. Jim racconta i motivi degli attriti con Carolyne che sono poi gli stessi che Reed ha con la moglie Bettye. In effetti si ha l’impressione che Reed non parli solo della moglie ma di varie altre donne della sua vita, dalla madre a Nico (Germanic Queen).
Mi tratta come fossi un imbecille, ma per me lei è ancora la mia Regina tedesca.
How Do You Think If Feels è il brano più autobiografico. Come pensi ci si senta è rivolto alla madre che lo aveva costretto all’elettroshock, ai suoi fans a cui fa capire di sentirsi solo e alla deriva a causa della sua dipendenza dalle droghe.
Come pensi ci si senta quando sei solo e fatto d’anfetamina?
Come pensi ci si senta a sentirsi aggressivo e tossico?
Se solo avessi un po’ di roba, se solo avessi qualche spicciolo.
Sono parole tipiche di un tossicodipendente che ha ormai perso ogni speranza.
Il viaggio continua con Oh Jim, in cui i rapporti tra Carolyne e Jim si incrinano sempre di più, gli attriti si trasformano nei primi segnali di odio. Ma è nella seconda parte di Carolyne Says che testi diventano davvero duri. Se la musica ricalca la prima parte, i testi cambiano, dall’odio si passa alla vera e propria violenza.
Caroline dice mentre si rialza dal pavimento
perchè mi picchi? puoi picchiarmi quanto vuoi, ma io non ti amo più
Ma lei non ha paura di morire tutti i suoi amici la chiamano “Alaska”
quando si fa di anfetamine loro ridono.
E’ una situazione di degrado in cui nessuno ha le forze di reagire. Gli amici di cui si parla non sono altro che gli spacciatori che ridono quando Jim picchia Carolyne.
Ma la strada da percorrere verso il totale decadimento è ancora lunga, il brano più straziante è The Kids, in cui con pochi accordi di chitarra ritmica e, sopratutto, col pianto dei figli di Jim e Carolyne si viene letteralmente trasportati dentro la storia. I figli vengono allontanati dai genitori, ritenuti incapaci di accudirli, ma Jim è felice, non pensa al loro pianto e alla loro sofferenza, pensa solo al tremendo supplizio che Carolyne sta vivendo, e questo lo rende felice. E’ davvero la descrizione dell’odio ceco, dell’egoismo più sfrenato, del degrado morale ed etico. E’ un comportamento molto simile a quello del marito Lou Reed.
Le stanno portando via i bambini perchè dicevano non fosse una buona madre
quando ha perso sua figlia sono stati i suoi occhi a inumidirsi e io sono molto più felice così.
The bed è la perfetta descrizione del tentato suicidio di Bettye. Qui però il suo alter ego Carolyne riesce nel suo intento. Il clima estremamente decadente e il finale spettrale sono i momenti più cupi dell’album. La notizia del suicidio non sorprende Jim che aveva intrapreso una strada che, forse in modo inconscio, sapeva avrebbe portato a questo. La sensazione non è nè di piacere nè di dispiacere, Jim-Lou Reed ha un solo pensiero, la sua prossima dose di droga, la vita della sua compagna Carolyne-Bettye è tutto sommato secondaria.
Questo è il posto dove si è tagliata le vene quella notte strana e fatale
e ho detto, oh, oh, oh, oh, oh, oh, che sensazione.
Il finale è forse un auto-assoluzione, ma il suo significato indica ancora la crudeltà di Jim-Lou Reed che per poter stare meglio dice di doverla smettere con i sensi di colpa perchè alla fine non è stato così crudele, chissà cosa avrebbe fatto un altro.
Devo smetterla di perdere tempo qualcun altro le avrebbe spezzato le braccia
Quando i dirigenti della RCA ascoltarono l’album restarono sconvolti. La durezza dei testi e il clima angosciante facevano presagire un flop tremendo che in effetti ci fu. Rolling Stone lo definì “un disastro”, il giornalista Roger Klorese disse che Lou Reed “cantava come una foca agonizzante”, Bruce Malamut lo descrive come “un esorcismo di sindrome maniaco-depressiva”. In realtà avevano davanti quello che oggi è considerato il miglior album di Lou Reed, ma nel 1973 era difficile capirlo. Quello che ottennero fu di ridurre il disco di 14 minuti per evitare di dover pubblicare un album doppio. Bob Ezrin ebbe l’ingrato compito di “tagliare” le parti sacrificabili ma questo ha probabilmente snaturato l’album che in effetti ha pochissime parti strumentali. Bob Ezrin era talmente infuriato che quando consegnò la registrazione a Lou Reed gli disse di non ascoltarla nemmeno perchè la riteneva orribile. A noi purtroppo è arrivata questa versione che è comunque un disco importante, forse il primo album che approfondisce in modo tanto chiaro la psicologia di un musicista. Da questo punto di vista le similitudini con i successivi psicodrammi dei Pink Floyd sono tante.
Berlin è un misto di musica e poesia, le due cose sono assolutamente inseparabili.
Forse proprio qui sta la grandezza di Reed, riuscire a creare note, parole per poi fonderle insieme in modo da renderle inscindibili, separate non funzionerebbero, solo legate in modo indissolubile possono raggiungere la loro grandezza.