
Labradford | Prazision (1993)
Gli anni in cui il rock rinnegò se stesso
Gli anni compresi tra la fine degli ottanta e i primi novanta sono stati fondamentali per lo sviluppo di un modo totalmente nuovo di intendere la musica e la sua fruizione. E’ infatti innegabile che nei decenni precedenti tutti i generi o sotto generi del rock, anche i più estremi e innovativi, erano stati sempre e comunque figli di uno stesso padre; la matrice blues, folk, country, rock’n’roll era sempre riscontrabile. Pochi sfuggivano a questa classificazione; anche il progressive e persino Canterbury avevano chiare radici che non intendevano affatto rinnegare, semmai aggiornare e contaminare. Riuscirono in questa ardua impresa il versante più elettronico e d’avanguardia del krautrock e Brian Eno in alcuni album.
La prima metà degli anni 90 erano quelli in cui il rock ritentava l’ennesimo “eterno ritorno” mostrando due facce di una medesima medaglia: da una parte mostrava i denti con i feroci ruggiti del grunge, ultima ringhiata di un leone ormai stanco. Ecco di nuovo chitarre distorte, giovani apparentemente ribelli e anticonformisti che sembravano voler fare il mondo a pezzi anche se inconsapevolmente non facevano altro che ricostruirlo così come era stato alle sue origini. Dall’altra mostrava il volto più mansueto, conformista e retrogrado con la nuova ondata brit-pop, buona per la nuova generazione MTV dipendente, che stavolta consapevolmente rinsaldava il potere delle major sui musicisti.
Proprio in quegli anni c’era chi stava davvero creando un mondo totalmente nuovo, un mondo in cui i vecchi padri non c’erano più, in cui le vecchie origini venivano spazzate (quasi) del tutto. Erano gli anni in cui si affermava quello che poi venne chiamato post-rock, un movimento che cercava di superare le vecchie radici blues-folk-country-jazz e si svincolava totalmente dalle major e da qualsiasi logica commerciale. La meritevole e ormai leggendaria Kranky è stata la prima casa discografica specializzata nel post-rock e l’album d’esordio degli americani Labradford, Prazision, è stato il primo ad essere pubblicato.
I Labradford di Prazision sono un duo, Carter Brown alle tastiere e Mark Nelson alla chitarra; dal successivo diventeranno stabilmente un trio. Fin dalle prime note si può subito notare di essere davvero in un altro mondo. La strumentazione, a parte l’assenza di ogni tipo di percussione, è più o meno quella di un gruppo rock ma è molto difficile ritrovare qualcosa in comune col rock classico o col blues: questo si nota sia dal modo di suonare gli strumenti – non esiste un riff, non esiste un ritmo preciso – sia dalla voce che non è mai un vero canto come dovrebbe essere nel rock classico, ma è appena sussurrata come fosse parte della strumentazione. I Labradford mettono insieme l’ambient più cupo (isolazionismo), la musica industrial, il krautrock dei Neu! e dei Popol Vuh, la musica cosmica dei Tangerine Dream e un certo atteggiamento psichedelico che rievoca la Bristol Psycho. La loro musica è fatta da lenti droni ripetuti ossessivamente, campionamenti, una chitarra spesso irriconoscibile, un canto simile a un bisbiglio che si perde inconsistente. Il primo brano strumentale, la nera e claustrofobica Listening in Depth, con i suoi loop distorti su un tappeto di synth è esemplare; il risultato è molto lontano da ogni idea di rock. Anche i venti elettronici dei sette minuti di Experience the Gated Oscillator lasciano poche speranze all’ascoltatore.
Se esistono rimandi al “vecchio” rock li troviamo nel folk apocalittico di Accelerating On A Smoother Road, piccolo quadretto di psichedelia alienata che disegna un breve trip senza possibilità di ritorno. Un brano che sarebbe stato benissimo in uno dei capolavori degli Swans, Soundtrack for the Blind.
L’onirica Splash Down cita abbastanza chiaramente i Popol Vuh acustici ma la voce sussurrata e il sottofondo noise sono tipicamente post-rock. L’apparente pacatezza si perde nel finale fatto di rumori e synth.
Soft Return continua i rimandi al krautrock, stavolta ai Neu! più psichedelici. E’ il momento più sereno di Prazision, una vera boccata d’aria prima di Sliding Glass: la chitarra acustica con pochissimi accordi sommersi da una base elettronica cupa e glaciale ci riportano al più freddo isolazionismo.
La cosmica Skyward With Motion raggiunge il fondo dell’abisso prima di perdersi nel silenzio; è un brano che farà scuola a tutta l’elettronica contemporanea. Come tutto il disco del resto.