
Kyuss | Blues for the Red Sun (1992)
I pionieri dello Stoner-Rock; brutalità e ipnosi.
Blues for the Red Sun è l’essenza stessa dello stoner-rock, un insieme di sonorità pesanti unite ai suoni del deserto, una miscela di brutalità e visioni ipnotiche, una pioggia incessante che si abbatte sull’ascoltatore senza tregua. I Kyuss nascono a Palm Desert, in California, alla fine degli anni ottanta, si evolvono e studiano la loro musica durante i cosiddetti Generator Party, cimentandosi in session musicali interminabili che rendono possibile la metamorfosi di sonorità classiche derivanti dall’hard rock degli anni settanta in uno stoner nuovo ed estremamente potente. Ci avevano già provato con Wretch (il primo disco della band) ma con Blues for the Red Sun riescono a creare uno dei dischi più aggressivi degli anni novanta, un’esplosione di blues, psichedelia , doom e grunge che sfocia nelle sonorità stoner grezze e sporche tipiche del quartetto californiano. La formazione è composta da John Garcia alla voce, Nick Olivieri al basso, Brant Bjork alla batteria e Josh Homme alla chitarra (suonata in tutto il disco con un amplificatore per basso).
La prima traccia è Thumb che ha inizio con un riff di chitarra lento accompagnato dal basso di Olivieri altrettanto pacato, fino a quando Bjork non decide di far tremare le pareti di casa vostra trasformando un’intro “tranquilla” in un vero e proprio terremoto; naturalmente Homme e Olivieri si adeguano e Garcia con la sua voce graffiante accompagna il tutto. Dal minuto 3:15 il gruppo sembra quasi voler spianare la strada all’arrivo della traccia successiva, Green Machine, che infatti arriva a tutta velocità. Predominante come al solito la chitarra di Homme, riconoscibile tra mille; il mood è sempre lo stesso, pochi giri quasi per far ambientare l’ascoltatore e poi di nuovo bassi alle stelle e pareti che cedono.
La terza traccia Molten Universe è una strumentale lenta e potente che prende velocità per poi ritornare lenta, alternando questi continui cambi di velocità che accompagnano verso 50 Million Year Trip, brano in cui l’intro strumentale dura poco più di un minuto, dove chitarra, basso e batteria sono un flusso unico che si scontra con la voce possente e sempre più ruvida di Garcia, fino al terzo minuto quando poi tutto cambia… e sembra di ascoltare la quiete dopo la tempesta.
Thong song inizia con la voce di Garcia che canta piano, quasi sussurrando, accompagnato da chitarra e basso, formando poi un’alternanza tra calma e violenza che ricorda una distinzione tra bene e male, dove le tenebre predominano nel ritornello finale che inizia dal secondo minuto e va avanti senza sosta fino al termine della traccia. Apothecaries’ Weight si differenzia rispetto al resto delle strumentali del disco essendo quest’ultima più cauta, quasi una ballad che verso la fine si incattivisce tramutandosi nel suono grezzo e sporco che caratterizza il gruppo e che si manifesta in pieno nella breve strumentale successiva dal nome Caterpillar March. La psichedelia entra finalmente senza freni a far parte dell’album dalla traccia Freedom Run che arriva e fa sentire la sabbia di Palm Desert sotto i piedi.
Il resto del disco attraversa momenti di psichedelia pura mista a strumentali stoner che rendono il disco una pietra miliare, come nella traccia Writhe, capace di provocare allucinazioni tipiche da deserto, passando per 800, Capsized e Allen’s Wrench, che picchiano forte come il sole rovente. Rimangono spazi anche per la chitarra acustica, presente all’interno dell’album, momenti in cui i serpenti a sonagli che strisciano nel deserto riescono ad arrivare fino all’ascoltatore. Mondo Generator è visionaria, è l’unica traccia scritta da Olivieri (che la userà poi per dare nome ad un suo progetto futuro). Tra le note ipnotiche di sottofondo sembra che Garcia sia da solo al centro del deserto urlando a squarciagola. Il disco termina con John Garcia che esprime la sua felicità dicendo semplicemente Yeah!.